Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29285 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. un., 14/11/2018, (ud. 12/09/2017, dep. 14/11/2018), n.29285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 910/2016 proposto da:

NOVAMUSA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 24, presso lo

studio dell’avvocato MARIA STEFANIA MASINI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MASSIMO MORETTO e ROMANO

VACCARELLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TAORMINA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28/S, presso lo studio

dell’avvocato GAETANO ALESSI, rappresentato e difeso dall’avvocato

PIETRO RABIOLO;

COMUNE DI SEGESTA CALATAFIMI, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28/S, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, rappresentato e difeso

dall’avvocato CLAUDIO TROVATO;

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrenti –

contro

PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE

DEI CONTI PER LA REGIONE SICILIANA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 236/2015 della CORTE DEI CONTI – SEZIONE

GIURISDIZIONALE DI APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA PALERMO,

depositata l’1/12/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del

primo motivo del ricorso, inammissibilità del secondo;

uditi gli avvocati Maria Stefania Masini e Pietro Rabiolo in proprio

e per delega dell’avvocato Claudio Trovato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, nel giudizio promosso dalla Procura regionale in relazione alla gestione di servizi in siti archeologici di rilievo storico artistico della Regione, nei Comuni di (OMISSIS), regolata con concessioni del 2003 e del 2004 tra la Regione Siciliana e la srl Novamusa, ha ritenuto provata la sussistenza di un danno erariale recato da questa per non aver provveduto a versare le somme riscosse per la vendita dei biglietti e dovute all’Assessorato regionale ai Beni culturali ed ai vari Comuni ove insistevano i siti di interesse culturale dati in concessione.

Mentre l’importo del danno era pari alle somme non riversate, come analiticamente ricostruito dalla Guardia di finanza, in ordine alle somme che la srl Novamusa reputava fossero ad essa dovute dalla p.a. per lavori effettuati nell’ambito dei siti culturali – somme di gran lunga inferiori rispetto a quelle di cui era debitrice – il giudice contabile ha tra l’altro stabilito che esse non potevano ritenersi opponibili in compensazione nell’ambito del rapporto contabile, limitato alla verifica degli obblighi periodici di integrale versamento delle somme riscosse.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana, adita dalla srl Novamusa nei confronti del Procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana, del Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana, del Comune di Taormina e del Comune di Calatafimi-Segesta, per l’annullamento e/o la riforma della detta sentenza di primo grado, all’udienza del 10 novembre 2015, dopo aver limitato la discussione e la decisione della causa solo alla questione preliminare, sollevata dal PM, di inammissibilità dell’appello, perchè questo, notificato il 25 giugno 2014 e depositato il 30 giugno 2014, era stato depositato senza la prova (gli avvisi di ricevimento della notifica postale) dell’avvenuta notifica dello stesso, accoglieva l’eccezione e dichiarava l’inammissibilità dell’appello.

La Corte, partita dalla premessa che il R.D. n. 1038 del 1933, art. 26, stabilisce che “nei procedimenti contenziosi di competenza della corte dei conti si osservano le norma e i termini della procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del presente regolamento”, alla luce della sentenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 2/2008/QM, ha osservato che il detto art. 26 “non autorizza un qualsiasi innesto nel processo davanti alla Corte dei conti di norme del codice civile, dovendo previamente effettuarsi… una valutazione di compatibilità con la struttura del processo e dovendo verificarsi che non esiste già una disciplina di settore… In realtà con l’operazione d’innesto di cui trattasi le conseguenze della inosservanza dei termini… verrebbero ad essere disciplinate non dalle singole disposizioni del regolamento, bensì da norme che regolano un altro processo, con ciò violando palesemente i criteri di rinvio dettati dallo stesso art. 26…”.

Pertanto non sono applicabili le norme del codice di procedura civile quando vi sia, come nella specie, una disciplina processuale speciale, espressamente prevista per il giudizio contabile:

dal D.L. 15 novembre 1993, n. 453, art. 1, comma 5-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19, che stabilisce che l’appello è proponibile dalle parti, dal procuratore regionale competente per territorio o dal procuratore generale, entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, entro un anno dalla pubblicazione…”, ed inoltre che l’appello “… entro i trenta giorni successivi deve essere depositato nella segreteria del giudice d’appello con la prova delle avvenute notifiche, unitamente alla copia della sentenza appellata”;

dal R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 8 (Regolamento per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), il quale dispone che “i termini previsti per la proposizione dei gravami sono perentori. Le decadenze hanno luogo di diritto e debbono pronunziarsi anche d’ufficio”.

In presenza di una specifica disciplina processuale, ha concluso il giudice d’appello, non sono pertanto applicabili per la soluzione della questione le norme del codice di procedura civile, con la conseguenza che i principi individuati in Cass., sezioni unite, n. 627 del 2008, riferibili solo al processo civile innanzi alla Corte di cassazione, non appaiono parimenti applicabili al processo di appello dinanzi ad essa Corte dei conti.

Nei confronti della decisione propone ricorso per cassazione la srI Novamusa con due motivi attinenti alla giurisdizione, illustrati con successiva memoria.

Resistono con distinti controricorsi la Procura generale presso la sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, il Comune di Calatafimi-Segesta ed il Comune di Taormina.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la srl Novamusa denuncia la “illegittimità del rifiuto di esercitare il potere-dovere di giudicare, quale effetto della illegittima dichiarazione di inammissibilità dell’appello (in violazione del D.L. n. 453, art. 1, comma 5 bis, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost.)”

Critica infatti la sentenza impugnata per aver desunto, dalla disposizione secondo cui l’appello è proponibile entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, entro un anno dalla pubblicazione, e secondo cui “entro i trenta giorni successivi esso deve essere depositato nella segreteria del giudice d’appello con la prova delle avvenute notifiche, unitamente alla copia della sentenza appellata”, che “l’appellante, prima di depositare l’atto di appello avrebbe dovuto attendere di essere in possesso degli avvisi di ricevimento, sottoscritti, per ricevuta, dal destinatario, ovvero di una attestazione proveniente dall’amministrazione postale… al fine di ottenere certezza della avvenuta notifica dell’appello stesso e dunque della regolare instaurazione del contraddittorio (ciò al fine del rispetto del suddetto termine di trenta giorni)”, e per avere, in conclusione, desunto che poichè nel caso in esame “l’appello è stato depositato prima che l’appellante fosse in possesso della prova dell’avvenuta notifica, nessun rilievo può avere la circostanza che l’appellante, per motivi indipendenti dalla sua volontà od estranei alla sua sfera d’azione abbia ricevuto in ritardo gli avvisi di ricevimento”.

Dal principio di diritto enunciato con la sentenza n. 8 del 2009 dalle Sezioni riunite della Corte dei conti (poichè “l’onere del deposito deve ritenersi dipendente dall’avvenuto perfezionamento della notifica per tutte le parti, il notificante non è tenuto al deposito prima che il procedimento di notifica sia andato a buon fine”) la sentenza impugnata avrebbe tratto la “acrobatica conseguenza che “l’appellante avrebbe dovuto attendere di essere a conoscenza del buon esito della notifica”, di guisa che il non è tenuto al deposito sarebbe diventato un non può depositare, e quindi sarebbe evidente il mancato rispetto del termine previsto dal D.L. n. 453 del 1993, art. 1, comma 5 bis, da parte di chi ha effettuato un deposito entro 30 giorni dalla notifica ma senza contestualmente provare l’avvenuta ricezione dell’atto.

La difesa della società ricorrente “è perfettamente consapevole che, in sè e per sè considerato, quello esibito dalla sentenza impugnata è, tecnicamente, un error in procedendo, ma è altresì convinta che l’enormità dell’abbaglio e l’assurdità delle argomentazioni addotte a sua giustificazione non impediscano a codeste Sezioni unite di considerare prioritariamente l’effetto – di vero e proprio illegittimo rifiuto di giudicare – da esso prodotto: di considerare, insomma, che l’arbitrario rifiuto di esaminare nel merito l’appello si risolve nel consentire che una ostentata violazione del giudicato formatosi con l’ord. n. 12252 del 2009 delle Sezioni unite, sulla giurisdizione provochi un grave, quanto ingiusto danno alla società ricorrente”.

Con il secondo motivo, denunciando “eccesso di potere giurisdizionale per violazione del giudicato derivante dall’ordinanza della Corte di cassazione, SS.UU., n. 12252/2009. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti”, la srl Novamusa rileva che la Corte dei conti non si è pronunciata sui motivi di appello da essa proposti, tra i quali la contestazione della giurisdizione della Corte, ma si è limitata a respingere, in rito, l’appello. Ciò concreterebbe una vera e propria “ribellione” al dictum delle Sezioni unite, giudice della giurisdizione.

Il primo motivo è inammissibile.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “il ricorso per cassazione contro la decisione della Corte dei conti è consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicchè il controllo della S.C. è circoscritto all’osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale. Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’accertamento in ordine ad errores in procedendo o ad errores in iudicando rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata (Cass. sezioni unite, 18 maggio 2017, n. 12497).

Si è infatti chiarito (Cass., sezioni unite, n. 12106 del 2013, in motivazione) come non ogni pretesa deviazione dal corretto esercizio della giurisdizione, sotto il profilo interpretativo ed applicativo del diritto sostanziale o di quello processuale, si risolve in un difetto di giurisdizione sindacabile ad opera della Corte di cassazione. E’ naturale che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può esser letto in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perchè la tutela si realizza compiutamente soltanto se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame. Non per questo, però, ogni errore di giudizio o di attività processuale imputabile al giudice è qualificabile come un eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta oggi delineato dalle citate disposizioni dell’art. 362 c.p.c. e dell’art. 110c.p.a., in conformità al dettato dell’art. 111 Cost.. Ne risulterebbe altrimenti del tutto obliterata ogni distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione ed il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice amministrativo verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario: ciò che le disposizioni processuali e costituzionali dianzi richiamate non sembrano invece consentire. Infatti, questa corte in ripetute occasioni non ha mancato di avvertire che anche gli eventuali errores in procedendo riscontrabili in sentenze del giudice amministrativo, quando non costituiscano un aprioristico diniego di giustizia o non implichino un così radicale stravolgimento delle norme di rito da comportare la configurabilità di un siffatto diniego, ma siano soltanto espressone di un possibile errore di diritto, non ne giustificano la cassazione per eccesso di potere giurisdizionale (si vedano, tra le altre, Sez. un. 21 giugno 2012, n. 10294 e 14 settembre 2012, n. 15428)”.

Nel caso in esame è palese che, ove pure fossero fondati gli assunti posti a base delle censure prospettate dalla ricorrente, non si potrebbe mai ravvisare un diniego di giustizia o, comunque, un sostanziale svuotamento della tutela giurisdizionale.

Nè varrebbe obiettare che una questione inerente alla giurisdizione sarebbe comunque prospettabile quando il giudice speciale si sia rifiutato di esercitare il proprio potere giurisdizionale denegando giustizia per un manifesto e radicale stravolgimento delle norme di riferimento (Cass., sez. un., 29 dicembre 2017, n. 31226).

Non è certo questa la situazione che si riscontra nel caso in esame, come è confermato, sia pure indirettamente, dall’essere la tesi accolta dalla sentenza impugnata inscritta in un più vasto indirizzo della giurisprudenza contabile, che ha dato luogo ad un contrasto che soltanto la sentenza n. 34/2017/QM resa dalle sezioni riunite della Corte dei conti in data 8 novembre 2017 è intervenuta a dirimere (cfr. Cass., sezioni unite, n. 3146 del 2018).

Con riguardo al secondo motivo del ricorso, osserva il Collegio che l’esame di ogni questione posta con l’appello è preclusa in quanto assorbita dall’esito dello scrutinio del primo motivo, che ha confermato l’inammissibilità, per le ragioni esposte, di quel gravame.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese in favore della Procura, stante la sua natura di parte in senso soltanto formale, mentre per i due Comuni controricorrenti le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Sussistono i presupposti di applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la srl Novamusa al pagamento delle spese in favore dei Comuni controricorrenti, che si liquidano per ciascuno di essi in Euro 4.000 oltre accessori di legge e spese forfetarie, ed Euro 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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