Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29285 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. I, 12/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 12/11/2019), n.29285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25140/2018 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in Roma Viale G. Mazzini, 6

presso lo studio dell’avvocato Agnitelli Manuela che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 17/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/09/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 3850/2018 depositato il 17-7-2018 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di C.E., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha considerato credibili le vicende personali narrate dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per il timore di essere arrestato e incarcerato, nonchè di non essere sottoposto ad un giusto processo, essendo stato egli accusato della sparizione di due fucili appartenenti alla Polizia, alle cui dipendenze lavorava in qualità di addetto alla custodia delle armi. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, non sussistendo l’impossibilità per il richiedente di ricevere protezione dalle autorità statali e non rinvenendo fonti con previsione di sanzioni specifiche per il comportamento negligente tenuto dal richiedente, nonchè avuto anche riguardo alla situazione generale e politico-economica del Gambia, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Illogica, contraddittoria e apparente motivazione per avere il Collegio rigettato la richiesta di protezione sussidiaria “non riuscendo ad individuare sanzioni specifiche per il comportamento negligente tenuto dal richiedente”, sebbene abbia accertato la piena credibilità del ricorrente, anche in termini di danno effettivo che lo stesso subirebbe in caso di rimpatrio”. Lamenta che la motivazione del decreto sia illogica e meramente apparente in ordine al rischio di danno grave integrante il presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, acquisendo altri dati informativi, mentre il Tribunale non aveva dato conto, nè acquisito notizie sul sistema giudiziario e sulle condizioni delle carceri gambiane, per verificare la sussistenza del rischio effettivo per il ricorrente di subire torture o trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio

2. Con il secondo motivo lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a e b e art. 14 e artt. 3 e 7 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto della protezione sussidiaria è stato emesso anche sulla base di un giudizio prognostico, futuro e incerto e non sullo stato effettivo del Paese di origine. Difetto di istruttoria per non aver considerato, nè menzionato il mandato d’arresto prodotto dal ricorrente”. Ad avviso del ricorrente il Tribunale di Milano ha omesso l’esame del mandato di arresto prodotto e non ha dato conto dell’inefficienza del sistema giudiziario e delle condizioni di vita nelle prigioni, come risultano dalle fonti che richiama (Amnesty International rapporto 2017/2018, ECOI e sito viaggiare sicuri del Ministero degli Esteri aggiornato all’aprile 2018).

3. Con il terzo motivo lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Illogica, contraddittoria e apparente motivazione per avere il Collegio rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico e attuale della situazione oggettiva e soggettiva del richiedente, con riferimento al Paese di origine”. Deduce che il Tribunale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente e, in particolare, che un rientro forzoso esporrebbe il ricorrente ad un immediato arresto in condizioni carcerarie disumane ed ad un lungo processo, pur essendo egli innocente.

4. Il primo motivo è fondato.

4.1. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale” (Cass. ord. n. 30105 del 2018). Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 19716 del 2018).

Al fine di ritenere adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. ord. n. 11312 del 2019).

4.2. Nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto credibile la vicenda personale narrata dal ricorrente, il quale riferiva di essere fuggito per il timore di essere arrestato, nonchè di non essere sottoposto ad un giusto processo, essendo stato egli accusato della sparizione di due fucili appartenenti alla Polizia, alle cui dipendenze lavorava in qualità di addetto alla custodia delle armi, ed avendo negligentemente omesso di controllare lo stato del magazzino ove erano custodite le armi della polizia.

4.3. Una volta accertata dal Giudice di merito la credibilità delle vicende personali narrate dal richiedente, l’ulteriore indagine circa la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in cui rileva la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, necessita dell’attivazione dei poteri di istruzione officiosa, finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale, ossia, nella specie, sulla situazione legislativa, sull’efficienza del sistema giudiziario e sulle condizioni carcerarie del Gambia, nonchè sulla gravità del reato commesso al di fuori del territorio nazionale e sulla sua eventuale configurabilità come condizione ostativa al riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16, comma 1, lett. b), come modificato dal D.Lgs. n. 18 del 2014.

In ipotesi come quella in esame, dunque, si impone, alla stregua del disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, citato art. 8, comma 3, l’indagine nel senso indicato, proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti ritenuti dimostrati dai Giudici di merito, presenta il richiesto grado di personalizzazione.

Nel decreto impugnato si legge: “Come si è in precedenza rilevato nel presente caso non si ravvisa l’esistenza di un danno grave, nè l’impossibilità di ricevere protezione dalle autorità statuali. Inoltre non sono state individuate fonti che potessero indicare sanzioni specifiche per il comportamento negligente tenuto dal richiedente” (pag. n. 7).

Il Tribunale non ha indicato specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto ed, invero, neppure risulta esplicitato se e come sia stato attivato il potere istruttorio per acquisire le notizie ed informazioni necessarie per valutare la sussistenza del rischio paventato dal ricorrente.

Inoltre la motivazione sul diniego della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b) citato, espressa nei termini sopra testualmente riportati e senza ulteriori ragioni giustificative, non rinvenibili in altre parti della motivazione, è stata argomentata dai Giudici di merito in modo apodittico e mediante considerazioni incongrue rispetto alle questioni prospettate, tali essendo quelle riferite all'”impossibilità di ricevere protezione dalle autorità statuali”. La motivazione deve, quindi, ritenersi solo apparente, pur essendo graficamente esistente, atteso che non rende percepibile il fondamento della decisione, recando argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., sez. unite, n. 22232 del 2016).

Ricorrono, pertanto, nella specie, il vizio di violazione di legge e quello motivazionale denunziati.

6. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, restando assorbiti gli altri motivi, con la cassazione del decreto impugnato e rinvio al Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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