Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29281 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. I, 12/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 12/11/2019), n.29281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20093/2018 proposto da:

K.F., elettivamente domiciliato in Roma Via Giuseppe Marcora

18/20, presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido e rappresentato

e difeso dall’avvocato Dalla Bona Roberto giusta procura allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 17/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/09/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 2081/2018 depositato il 17-5-2018 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di K.F., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale, pur considerando credibili le vicende personali narrate dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè coinvolto in diatribe familiari tra suoi zii e cugini, che “si colpivano vicendevolmente usando della magia per distruggersi”, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Gambia, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e della Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3. Deduce che il Tribunale non ha valutato la sua situazione familiare avuto riguardo al contesto culturale del Paese di origine e non ha valutato se il richiedente, rimasto vittima di un rito magico che gli aveva procurato un innaturale gonfiore al piede, guarito solo quando era arrivato in Libia, potesse ottenere tutela dallo Stato in relazione al contrasto con i parenti per questioni ereditarie. Il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, acquisendo altri dati informativi, mentre il Tribunale non aveva adottato il metodo istruttorio prescritto dal citato art. 3.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) e della Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3. Ad avviso del ricorrente il Tribunale di Milano ha omesso di valutare anche la situazione politica, sociale ed economica (crisi alimentare e sanitaria) del Gambia. Richiama la giurisprudenza di questa Corte e lamenta la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi.

3. Con il terzo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 8 CEDU, art. 2 Cost. e della Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3. Deduce che il Tribunale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente e su tale aspetto di carattere decisivo non ha svolto accertamenti. La vulnerabilità inoltre deriva dallo stato di instabilità ed insicurezza dello Stato di provenienza e dalla complessiva situazione di detto Stato, con riguardo alle considerevoli criticità, anche per la generalizzata violazione dei diritti umani.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. Il ricorrente, il quale riferiva di aver lasciato il suo Paese a seguito di contrasti familiari per questioni ereditarie (pag. n. 4 del ricorso), si limita, genericamente, a censurare la valutazione effettuata dal Tribunale delle vicende personali dallo stesso narrate, ritenute dai Giudici di merito credibili, ma non idonee ad integrare fatti di persecuzione o il danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), stante la natura della ragione della sua fuga dal Gambia (contrapposizioni private endo-familiari, non connotate da sicuri atti di violenza posti in essere dagli opposti contendenti, i quali usavano la magia per distruggersi vicendevolmente, ed erano originate da meri motivi economici- spartizione eredità – pag. n. 3 e n. 4 del decreto impugnato).

Le doglianze espresse con riferimento al giudizio di credibilità (pag. n. 4 ricorso) non colgono, quindi, la ratio decidendi; nè il ricorrente censura specificatamente il percorso argomentativo di cui al decreto impugnato, limitandosi a riportare, diffusamente, la normativa di riferimento e a richiamare, del tutto genericamente, fatti decisivi di persecuzione asseritamente subiti per vendetta e il contesto culturale del Paese di origine.

Pertanto le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile, in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053/2014).

5. Il secondo motivo è infondato.

5.1. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

5.2. Nel caso di specie il Tribunale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag. n. 5 del decreto impugnato), ha escluso che la situazione generale del Gambia realizzi la fattispecie di cui trattasi, così compiutamente esercitando il dovere di cooperazione istruttoria. La situazione politica del paese è stata, quindi, analizzata dal giudice territoriale, che ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente.

6. Il terzo motivo è inammissibile.

6.1. In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

6.2. Nella specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità con idonea motivazione, valutando le allegazioni del ricorrente e le informazioni sul Paese di origine. Le doglianze sono formulate genericamente, facendo il ricorrente diffuso riferimento alla situazione di instabilità ed insicurezza del Gambia, all’estrema difficoltà sociale ed alle perpetrate violazioni di diritti umani, senza indicare alcun profilo di vulnerabilità specifico.

Considerato, infine, che, in base alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), l’accertata assenza di vulnerabilità rende recessivo il fattore costituito dal percorso di integrazione, la censura di cui trattasi si risolve, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dal giudice di merito.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, nulla dovendosi disporre sulle spese del presente giudizio, atteso che il Ministero è rimasto intimato.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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