Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2928 del 16/02/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 2928 Anno 2016
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 7072-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
4091

contro

NARDINOCCHI TOMMASO MARCO C.F. NRDTMS73B11F585D,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195,
presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che lo

Data pubblicazione: 16/02/2016

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO
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LALLI, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 336/2009 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 10/03/2009 R.G.N.
1093/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/10/2015 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI ) che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

.

7072.10

Udienza 29 ottobre 2015.

Pres. F. Roselli
Rel. V. Di Cerbo

Sentenza
La Corte
Rilevato che
1. La Corte d’appello degli Abruzzi L’Aquila, in riforma della sentenza di prime cure,
ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in
data 6 giugno 2001 da Poste Italiane s.p.a. con Tommaso Marco Nardinocchi e per
l’effetto ha dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato ed ha condannato Poste Italiane s.p.a. a corrispondere al
lavoratore, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni maturate dalla data
della costituzione in mora, dedotto Valiunde perceptum.
2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato
a quattro motivi illustrati da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso,
anche esso illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Come si evince dalla sentenza impugnata il Nardinocchi è stato assunto con
contratto a termine stipulato ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

5.

La Corte di merito ha ritenuto l’illegittimità del termine apposto al suddetto
contratto sul rilievo della mancata prova, da parte di Poste Italiane s.p.a., sulla
quale gravava il relativo onere, del rispetto della c.d. clausola di
contingentamento, e cioè del rispetto dei limiti percentuali posti dalla disciplina
contrattuale collettiva per le assunzioni a termine rispetto al numero dei lavoratori
assunti a tempo indeterminato (più in particolare, il 5% dei lavoratori in servizio
alla data del 31 dicembre dell’anno precedente, su base regionale). Premesso che
il rispetto dei suddetti limiti percentuali costituisce un presupposto essenziale per
la legittimità del termine, ha rilevato che la documentazione prodotta dalla società
non era idonea a fornire la suddetta prova.

6.

Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 1372, primo e secondo comma, cod. civ. nonché vizio di
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione e nullità del procedimento) il
mancato accoglimento dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo
consenso:

7.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema
Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio
instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di
lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al
relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla
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..

8. Col secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 1362 e
segg. e vizio di motivazione assumendo che la sentenza impugnata avrebbe
violato il principio consolidato espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo
cui l’art. 23 della legge n. 56 del 1987 opera un ‘ampia delega alla contrattazione
collettiva la quale è libera di individuare fattispecie in relazione alle quali è
possibile I ‘apposizione di un termine al contratto di lavoro.
9. La censura è inammissibile in quanto sostanzialmente in conferente rispetto alla
ratio decidendi. Ed infatti la sentenza impugnata ha, diversamente da quanto
ritenuto dalla parte ricorrente, correttamente applicato il principio sopra enunciato
affermando, in coerente applicazione dello stesso, che dall’ampiezza della delega
deriva, quale conseguenza, la non necessità della specificazione, nella lettera di
assunzione a termine, di una causale che consenta di collegare eziologicamente la
singola assunzione con le esigenze organizzative.
10. Col terzo motivo la società ricorrente denuncia violazione e erronea applicazione
dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ. nonché vizio di
motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata
concernente la mancanza di prova relativa al rispetto della c.d. clausola di
contingentamento. Deduce che I ‘onere di fornire tale prova incombeva sul
lavoratore. In ogni caso, avendo la Corte territoriale ritenuto insufficiente la
relativa documentazione fornita da Poste Italiane s.p.a., avrebbe dovuto
esercitare i poteri istruttori d ‘ufficio ex artt. 421 e 437 cod. proc. civ. per
verificare in concreto la situazione relativa al rispetto della clausola di
contingentamento.
11. La censura è priva di fondamento.
12. Deve premettersi che in tema di prova dell’osservanza della percentuale dei
lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati dall’azienda con
contratto di lavoro a tempo indeterminato, questa Corte di legittimità (cfr., in
particolare, Cass. 19 gennaio 2010 n. 839 e, da ultimo, Cass. 19 gennaio 2013 n.
701) ha ripetutamente precisato che il relativo onere è a carico del datore di
lavoro, in base alla regola esplicitata dall’art. 3 della legge n. 230 del 1962,
secondo cui incombe al datore di lavoro l’onere di dimostrare l’obiettiva esistenza
delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro.
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base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a
termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una
chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine
ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni
non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di
diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del
lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua
durata, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far
ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo
consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste
alle censure mosse in ricorso.

Ciò premesso deve osservarsi che la conclusione della Corte territoriale circa la

13. Infine, con riferimento alla censura concernente il mancato esercizio, da parte
della Corte territoriale, dei poteri istruttori ufficiosi, deve ricordarsi che, secondo il
costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 22
luglio 2009 n. 17102), nel rito del lavoro, I ‘esercizio di tali poteri, previsti dall’art.
421 cod. proc. civ. è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di
legittimità; in ogni caso tali poteri non possono sopperire alle carenze probatorie
delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti
medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di
acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale. E’ stato altresì
precisato (cfr. Cass. 10 gennaio 2006 n. 154) che, in ogni caso, l’esercizio dei
poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune
circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con
conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di
integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti,
l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad
una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui
fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze
di causa. Tali circostanze non ricorrono nel caso di specie.
14. Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione
di nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità
al caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e
70 della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
15. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che
abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle
questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di
legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è
altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia
altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che, con
riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione
ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso
investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del
termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame,
il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla
data di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009
(data di entrata in vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere
altresì corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un
adeguato quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione
temporis ad essi applicabile.

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mancanza di prova del rispetto del requisito del rispetto della clausola di
contingentamento è basata su motivazione priva di vizi logici e quindi
insindacabile in questa sede di legittimità.

17. Osserva il Collegio che la censura è inammissibile in quanto formulata in termini
astratti e sostanzialmente privi di autosufficienza oltre che sostanzialmente
inconferenti (basta pensare al fatto che nel motivo si riporta il nome di un
lavoratore diverso da quello che è parte nel presente giudizio). Inoltre il suddetto
quesito risulta del tutto generico rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella
enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il
momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai
giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583);
ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in
particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il quesito di diritto,
richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in
maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in
giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non pertinente, con
conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di specie. Lo
stesso vale per il vizio di motivazione rispetto al quale manca il “momento di
sintesi” che la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 25
febbraio 2009 n. 4556) ha individuato come una esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione.
18.11 ricorso va in definitiva respinto.
19. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese
del presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura,
liquidata in dispositivo con distrazione a favore degli avv.ti Sergio vacirca e
Claudio Lalli antistatari.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3500
(tremilacinquecento) per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge
con distrazione a favore degli avv.ti Sergio vacirca e Claudio Lalli antistatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 ottobre 2015.

16. Nel caso in esame il quarto motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina
di cui all’art. 32 prima citato. Con tale motivo è stata denunciata violazione e falsa
applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione sul rilievo che la condanna
irrogata dalla Corte di merito al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data
di messa in mora non sarebbe supportata da idonea prova del danno ricevuto. La
ricorrente deduce inoltre la violazione del principio di corrispettività della
prestazione. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis
attesa la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in
cod. proc. civ.:
applicazione del principio generale di effettività e di corrispettività della
prestazione, sia dovuta o meno l’erogazione del trattamento retributivo pur in
assenza di attività lavorativa.

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