Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29277 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13711-2019 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE, DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MAURO MOCCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7074/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RITA

RUSSO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- C.E. ha chiesto l’annullamento di cinque cartelle di pagamento impugnando il relativo estratto di ruolo, eccependo la mancata regolare notifica delle cartelle e la prescrizione. Il ricorso del contribuente è stato rigettato in primo grado ritenendo che le cartelle fossero state regolarmente notificate. Il contribuente ha proposto appello e la CTR con sentenza del 15.10.2018 ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo regolare la notifica, in difetto di prova da parte del contribuente che il plico non contenesse l’atto impositivo e infondata in radice la eccezione di prescrizione poichè doveva essere proposta con la tempestiva impugnazione delle cartelle.

2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia riscossione. Assegnato il procedimento alla sezione sesta, su proposta del relatore è stata fissata l’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. notificando la proposta e il decreto alle parti.

Diritto

RITENUTO

CHE:

3.- Con il primo motivo del ricorso, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11 e del D.L. n. 193 del 2016, art., comma 8. Deduce che ADER ente pubblico economico non può essere rappresentato in giudizio da avvocati del libero foro e pertanto la CTR avrebbe dovuto “stralciare dal processo” le controdeduzioni e la documentazione depositata da ADER, in quanto invalidamente rappresentata da un avvocato del libero foro.

Il motivo è infondato.

La questione della rappresentanza in giudizio dell’Agenzia riscossione è stata esaminata dalle sezioni unite di questa Corte, le quali hanno precisato che l’Agenzia riscossione si avvale dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta, oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; mentre si avvale di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, nè della Delib. prevista dal R.D. cit., art. 43, comma 4, – nel rispetto del D.Lgs. n. 50 del 2016, artt. 4 e 17 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del D.L. 193 del 2016, conv. in L. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi (Cass. s.u. del 19.11.2019 n. 30008).

Pertanto la costituzione dell’agente di riscossione in grado di appello a mezzo di un avvocato del libero foro può ritenersi valida ed efficace. Il secondo motivo del ricorso è genericamente intitolato “prescrizione” e si deduce che la CTR è caduta in errore ritenendo che il ricorrente avrebbe impugnato l’estratto di ruolo e non direttamente le cartelle e che tale errore è facilmente riscontrabile nel ricorso introduttivo del giudizio ove si chiede espressamente l’annullamento delle cartelle ivi descritte. Deduce inoltre che dalla data di “presunta notifica indicata dal concessionario” alla data di impugnazione erano trascorsi oltre cinque anni senza che vi fosse interruzione della prescrizione maturata. Secondo il ricorrente le cartelle si prescrivono in cinque anni dalle notifiche, non trattandosi di sentenza passata in giudicato la cui prescrizione è decennale, come affermato dalle sezioni unite della Corte con sentenza n. 23397/2013.

Il motivo è inammissibile nella sua genericità e non coglie appieno la ratio decidendi, posto che la C IR ha affermato che la prescrizione del credito tributario deve farsi valere impugnando le cartelle e non il ruolo e che il ricorrente era decaduto dalla impugnazione delle cartelle perchè non proposta nei termini, avendo egli ricevuto regolare notifica delle stesse.

In ogni caso il principio affermato dalle sezioni unite nell’anno 2016 è invocato in modo inesatto e non pertinente. Il principio di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., (Cass. 20425/2017) non significa che tutti i crediti tributaria abbiano una prescrizione più breve di quella ordinaria, anzi è vero il contrario: secondo consolidata interpretazione di questa Corte (cfr. Cass. n. 24322/14; n. 22977/10; n. 2941/07 e n. 16713/16) “il credito erariale per la riscossione dell’imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo) è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all’art. 2948 c.c., n. 4, “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivo”.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.400,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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