Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29274 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. II, 22/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 22/12/2020), n.29274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23971/2019 proposto da:

I.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato LARA

PETRACCI, presso il cui studio in Porto Sant’Elpidio, via Adige 113,

elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici a Roma, via dei Portoghesi

12, domicilia per legge;

– resistente –

avverso il DECRETO n. 7859/2019 del TRIBUNALE DI ANCONA, depositato

il 17/6/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con il decreto in epigrafe, dichiaratamente comunicato in pari data, ha respinto l’impugnazione che I.P., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

I.P., con ricorso notificato il 17/7/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 35 bis, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria.

1.2 La decisione impugnata, infatti, ha osservato il ricorrente, ha ritenuto che, alla luce delle informazioni raccolte dalle fonti, i territori a sud della Nigeria non sono interessati da un conflitto armato tale da comportare un grado di violenza talmente generalizzata e permanente da comportare per i civili, per la loro semplice permanenza nell’area, il concreto rischio per la vita o l’incolumità personale.

1.3 Le informazioni raccolte, tuttavia, ha osservato il ricorrente, si riferiscono ai solo territori del Delta del Niger e sono state, peraltro, reperite da fonti tutt’altro che conformi alla norma prevista dagli artt. 8 e 35 bis cit.. Il tribunale, quindi, non ha provveduto all’acquisizione di informazioni precise ed aggiornate sulla situazione della Nigeria ricavate da fonti internazionali accreditate ed elaborate dalla Commissione nazionale.

1.4 Il tribunale, inoltre, ha aggiunto il ricorrente, non ha verificato, in ossequio al dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, la capacità delle autorità statali di fronteggiare la violenza diffusa, individuale e collettiva, specie a fronte delle notizie ricavabili dai rapporti depositati in giudizio dal richiedente.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 19 e 35, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 35 bis, art. 32 Cost. e dell’art. 35 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria.

2.2. Il tribunale, infatti, ha osservato il ricorrente, non ha considerato, alla luce di fonti internazionali aggiornate, nè la situazione di grave e sistematica violazione dei diritti umani cui sono sottoposti i cittadini della Nigeria, nè il percorso d’integrazione svolto dal richiedente in Italia, dimostrato dalla conoscenza della lingua, dalla partecipazione a vari corsi professionali, dallo svolgimento di attività lavorativa e dal conseguimento di una disponibilità economica sufficiente.

2.3. D’altra parte, ha concluso il ricorrente, la vulnerabilità del richiedente è connessa al timore di essere sottoposto ad un’ingiusta pena detentiva da scontare in carcere in condizioni disumane.

3.1. Il primo motivo è infondato.

3.2. Il riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), presuppone, infatti, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), che, in conseguenza degli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione di provenienza, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

3.3. La decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti.

Il tribunale, infatti, con apprezzamento in fatto che (corretto o meno che sia) non è stato specificamente impugnato per omesso esame di fatti decisivi a suo tempo dedotti nel giudizio di merito, ha ritenuto che, nei territori a sud della Nigeria, i conflitti ivi riscontrati non avessero generato una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità (v. il decreto impugnato, p. 5 e 9), facendo, a tal fine, riferimento alle informazioni raccolte da fonti, come il rapporto EASO 2017, nonchè il Centro austriaco per la ricerca e la documentazione sui paesi di origine e asilo o il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti (v. il decreto impugnato, p. 2 ss.), sicuramente riconducibili a quelle previste dall’art. 8, comma 3, cit..

Il ricorrente, d’altra parte, non ha adempiuto all’onere di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), e tali da far ritenere che, nella zona di provenienza del richiedente, per un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

4.1. Il secondo motivo è parimenti infondato.

4.2. La protezione umanitaria, in effetti, è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

4.3. Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando l’insussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente (p. 2 e 10 ss.).

4.4. Si tratta di un apprezzamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive a suo tempo dedotte innanzi al giudice di merito: che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato.

4.5. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

4.6. Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, però, il tribunale, con apprezzamento in fatto rimasto incensurato, ha, in sostanza, escluso (v. il decreto, p. 11 ss.), non potendo derivare nè dalla conoscenza della lingua italiana, nè dallo svolgimento di un’attività lavorativa, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra di aver dedotto nel giudizio di merito (Cass. n. 8367 del 2020).

5. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

6. Nulla per le spese di lite, in difetto di controricorso del ministero.

7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

 

 

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