Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29271 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. I, 12/11/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 12/11/2019), n.29271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20721/2018 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in Roma L.go Somalia 53 presso

lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Tarchini Maria Cristina;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 35/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

D.A., nato in Mali, con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, impugnava dinanzi il Tribunale di Brescia, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il richiedente proponeva gravame, insistendo per il riconoscimento della protezione umanitaria, dinanzi alla Corte di appello di Brescia che lo respingeva.

Egli aveva riferito di essere mussulmano, di essere vissuto, unitamente alla madre malata di mente, presso la casa del fratello del padre deceduto in precedenza e di avere aggredito la moglie dello zio, che aveva trovato intenta a bastonare la propria madre; che la zia aveva perso il figlio di cui era in attesa e ciò lo aveva costretto a fuggire, sia per le minacce di morte profferite dallo zio, sia per la denuncia che questi aveva fatto all’autorità statale; riferiva di temere di essere imprigionato in caso di ritorno in Mali.

La Corte, nel respingere l’appello, pur confermando la valutazione circa la credibilità del narrato, ha tuttavia rimarcato che il richiedente non aveva fatto cenno ad una situazione di pericolo a cui sarebbe stato esposto per la situazione generale del Paese e che la mancanza di tutele giuridiche in Mali era stata dedotta in modo sommario, mediante la mera prospettazione di torture e maltrattamenti ed ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Nel ricorso è sviluppato un unico motivo; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’unico motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5: il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Richiama Cass. 4455 del 23/2/2018 e sostiene che la vulnerabilità può essere accertata anche effettuando il bilanciamento tra l’integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione del richiedente, correlata alla situazione di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento dalla Patria e ricorda di essere fuggito a causa dell’aggressione subita, delle minacce di morte e del timore di finire in carcere. Lamenta la decisione della Corte di appello che ha escluso personale vulnerabilità.

2. La Corte di appello ha ritenuto credibile il racconto, sottolineando, tuttavia che andava ascritto a ragioni personali e che vi erano significative carenze espositive.

Come già affermato da questa Corte, “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. n. 17072 del 28/06/2018); invero, anche ove il cittadino straniero abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, il riconoscimento della protezione umanitaria deve fondarsi “su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso in esame, non sono state allegate ragioni personali di vulnerabilità diverse da quelle esaminate per le altre forme di protezione delle quali è stata esclusa la rilevanza, anche in considerazione della non ascrivibilità dei problemi sollevati dal ricorrente all’autorità pubblica, nemmeno in via indiretta.

Il motivo risulta inoltre formulato in maniera astratta, senza che in alcun passaggio ci si soffermi sulle personali ragioni di vulnerabilità che avrebbero giustificato il riconoscimento della protezione richiesta. Anche l’invocato bilanciamento non costituisce nel ricorso occasione per illustrare in cosa sarebbe consistita l’integrazione sociale, di guisa che il precedente di legittimità richiamato non risulta pertinente per le ragioni già illustrate.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva della controparte.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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