Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29269 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 701-2011 proposto da:

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo studio dell’Avvocato FRAZZINI

MARCO, rappresentata e difesa dall’Avvocato ALBERGHINA ROSARIO;

– ricorrente –

contro

GA.AC. (OMISSIS), BR.PA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SILLA 7,

presso lo studio dell’Avvocato OLIVIERI MANUELA, rappresentati e

difesi dall’Avvocato MOROSSO LUCIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1574/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/05/2010.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI;

uditi gli Avvocati GREGORIO TROILO, per delega dell’Avvocato ROSARIO

ALBERGHINA, e SILVIA MARIA CINQUEMANI, per delega dell’Avvocato LUCIA

MOROSSO;

udito il P.M. in. persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso come da relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 31 ottobre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 14 ottobre 2005, rigettò la domanda proposta da B. E. e Ge.Lu. (alla quale, deceduta nelle more del giudizio, erano succedute le figlie G. e B.D.) nei confronti di Ga.Ac. e Br.Pa., intesa ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza dei diritti reali vantati dai convenuti su una porzione di terreno circostante l’edificio in (OMISSIS), e, in accoglimento della domanda dei convenuti, dichiarò l’acquisto per usucapione, da parte di costoro, della comproprietà di tale porzione di terreno, identificata al mappale 395 del catasto terreni .

La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 26 maggio 2010, ha rigettato l’impugnazione dei B.. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello B.G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 dicembre 2010, sulla base di due motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso. Il primo motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140 e 1158 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato l’area in questione, posta ad esclusivo servizio dell’area dei B., non rientrante tra le possibilità di possesso o di compossesso, atteso che l’uso precario della stessa sarebbe stato esercitato esclusivamente per consentire rapporti di buon vicinato. Il motivo è, ad avviso del relatore, privo di fondamento.

Confermando la sentenza di primo grado, la Corte d’appello – con logico e motivato apprezzamento delle risultanze istruttorie – ha rilevato che “dalle prove testimoniali è rimasto inequivocabilmente confermato che sia gli appellati che i loro danti causa hanno utilizzato l’area di cui al mapp. 395 non solo per il passaggio pedonale, ma come area cortilizia comune”. In particolare, “a partire dall’epoca (1966) della costruzione del piano sopraelevato e dalla relativa abitazione da parte dei proprietari succedutisi nel tempo sino all’introduzione del presente giudizio (20 ottobre 1999), e dunque per ben oltre vent’anni (sommati i relativi periodi ex art. 1146 cod. civ.), l’area in contestazione (mapp. 395) è sempre stata utilizzata in maniera pacifica e non clandestina da parte degli appellati e dei danti causa, come se fosse area condominiale, non incontrando alcuna opposizione da parte dei proprietari esclusivi della stessa, e con le varie modalità di uso che i condomini fanno di un’area cortilizia comune, comportandosi come tali anche nella ripartizione della spesa per la relativa pavimentazione e per l’incremento dell’uso comune determinato dall’installazione di un lavatoio”.

Cosi motivando, la Corte territoriale ha argomentato sulla sussistenza in concreto di tutte le condizioni dell’usucapione, dando conto del proprio convincimento anche con il richiamo puntuale agli esiti delle deposizioni testimoniali.

Il motivo di ricorso, anche là dove denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di legge, si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito; e non tiene conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.

Il secondo mezzo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e con-traddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) prospetta che, ai fini dell’usucapione da parte del condomino, sarebbe stata necessaria la prova del carattere esclusivo del suo godimento. La censura è infondata.

La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio – da ultimo confermato da Cass., Sez. 2, 11 novembre 2004, n. 21425 – secondo cui su di un immobile di proprietà esclusiva di un soggetto può ben crearsi una situazione di compossesso prò indiviso tra lo stesso soggetto proprietario ed un terzo, con il conseguente possibile acquisto, da parte di quest’ultimo, della comproprietà prò indiviso dello stesso bene, una volta trascorso il tempo per l’usucapione, nella misura corrispondente al possesso esercitato; nè tale situazione di compossesso, che consiste nell’esercizio del comune potere di fatto sulla cosa, in tota et in qualibet parte della stessa, da parte di due soggetti, esige la esclusione del possesso del proprietario (che in tal caso si tratterebbe di possesso esclusivo), nè richiede che il compossessore effettivo ignori l’esistenza del diritto altrui, non valendo la contraria eventualità ad escludere l’animas possidendi che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa uti condominus.

Per il resto, il motivo, anche là dove prospetta un generico travisamento dei fatti, finisce con il richiedere una – inammissibile in sede di legittimità – revisione del giudizio di fatto.

In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 cod. proc. civ., per esservi rigettato”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi specifici rilievi critici;

che pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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