Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29268 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 02/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29169-2010 proposto da:

F.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso lo studio dell’Avvocato SMEDILE

SERGIO, rappresentato e difeso dall’Avvocato CALDARINI ROMANO;

– ricorrente –

contro

L.W. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, P.LE FLAMINIO 9, presso lo studio dell’Avvocato FOTI CARLO

SEBASTIANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato

PERUGINI LUCA;

– controricorrente –

e contro

L.O., L.G., D.R.I., L.

U., L.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1104/2009 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/12/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2

dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Sergio Smedile, per delega dell’Avv. Romano Caldarini;

sentito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. ZENO Immacolata, che ha concluso: “nulla osserva”.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 12 settembre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: ” F.L. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Brescia L.P. con una domanda di negatoria servitutis, dopo che il Pretore di Salò, in sede possessoria, aveva disposto la reintegra del L. nella servitù di passaggio sulla proprietà dell’attore. Il convenuto si costituì, resistendo e chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del diritto di servitù.

L’adito Tribunale, con sentenza depositata l’11 dicembre 2004, respinse la domanda dell’attore e accolse la riconvenzionale del convenuto.

Questa pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Brescia che, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 16 dicembre 2009, ha rigettato il gravame del F..

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il F. ha proposto ricorso, con atto notificato il 1 dicembre 2010, sulla base di due motivi. Ha resistito, con controricorso, L. W., erede di L.P., già costituitosi in appello dopo l’interruzione del processo a seguito della morte del de cuius, mentre gli altri eredi intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il primo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. con riguardo al combinato disposto degli artt. 1165 e 2943 cod. civ., in relazione all’efficacia interruttiva del decorso dell’usucapione (art. 360 c.p.c., n. 3). Ad avviso del ricorrente, il decorso del termine per l’usucapione non si era ancora perfezionato, perchè il termine iniziale del possesso avrebbe dovuto farsi coincidere con il termine della costruzione, termine che – come indicato dai testimoni e documentato dalla stessa richiesta della concessione in sanatoria – non era ancora perfezionato nel 1988.

La censura è inammissibile. Con logico e motivato apprezzamento, la Corte d’appello ha rilevato che il fabbricato è stato realizzato, secondo quanto indicato dal c.t.u., negli anni 1959-1961 e che le prove testimoniali hanno confermato che il passaggio era utilizzato dall’appellato fin dalla costruzione del fabbricato. Il motivo di censura, al di là del richiamo ad una non sussistente violazione di legge, si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito, per di più senza trascrivere – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – le risultanze probatorie (documentali e testimoniali) che si assumono trascurate e dalle quali si deduce che emergerebbe una diversa data di costruzione del fabbricato.

Il secondo motivo censura violazione e falsa applicazione dell’art. 938 cod. civ. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) con riguardo all’accessione dell’edificio al suolo. La Corte d’appello, dichiarando l’applicazione dell’usucapione e non dell’accessione invertita, e negando l’applicabilità dell’art. 938 cod. civ., avrebbe violato quest’ultima norma. Il motivo è inammissibile.

Per costante giurisprudenza (Cass., Sez. 1, 17 maggio 2006, n. 11501;

Cass., Sez. 1, 8 marzo 2007, n. 5353), il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. La deduzione del vizio risulta inidoneamente formulata, essendo nella specie l’errore di diritto individuato per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrato per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia.

In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 cod. proc. civ., per esservi dichiarato inammissibile”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi specifici rilievi critici;

che pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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