Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29267 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1255/2019 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in Sarzana (SP), Via 8

marzo 3, presso lo studio dell’avv. Federico Lera, che lo

rappresenta e difende per procura in calce al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1143/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/7/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Dott. Roberto Bellè.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Genova ha rigettato l’appello proposto da B.A. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale;

il B. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

con il primo motivo il ricorrente ha sostenuto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) sostenendo l’erroneità della valutazione di non credibilità svolta dalla Corte territoriale rispetto al racconto con cui egli aveva esposto di essere fuggito dal Ghana per l’insorgere di violente liti familiari dopo la morte del nonno, già re della città, nel cui contesto i propri fratellastri avevano ucciso il padre e la sorella, accusando poi lo stesso B. di averlo fatto;

la Corte d’Appello ha ritenuto tale racconto non credibile, per non essere stato chiarito quale interesse il B. avesse rispetto all’uccisione dei propri familiari ed avuto riguardo alle contraddizioni (uccisione del parente con machete o suo mero ferimento) delle descrizioni fornite;

il motivo, rispetto a ciò, ha la consistenza di una rilettura del racconto fornito, richiedendo una diversa valutazione di esso, certamente estranea al giudizio di legittimità (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148), stante la pacifica pertinenza al giudice del merito del giudizio di fatto sull’attendibilità in tema di protezione internazionale (v. tra le molte, Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

con il secondo motivo è addotta (art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in tema di protezione sussidiaria, facendosi ancora leva sulla situazione di pericolo personale già posta al centro del primo motivo, con particolare riferimento al rischio di imprigionamento in condizioni inumane;

tale motivo, evidentemente da riportare alla fattispecie di cui all’art. 14 lett. b), cit., è inficiato dalla valutazione di non credibilità, che non consente evidentemente di argomentare, seppure a diverso fine giuridico, su situazioni consequenziali alla narrativa ritenuta inidonea dalla Corte di merito;

il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in tema di protezione umanitaria;

il ricorrente in proposito si limita ad affermazioni generiche ed insiste sulle possibilità lavorative riconnesse al contratto di lavoro part time svolto in Italia, senza sostanzialmente misurarsi con il rilievo fondante della decisione della Corte territoriale e consistente nella mancanza di elementi idonei ad evidenziare una situazione di vulnerabilità, indispensabile per ogni eventuale conseguente valutazione rispetto alla protezione umanitaria;

il ricorso si manifesta quindi come nel complesso inammissibile;

nulla sulle spese, stante appunto il fatto che il Ministero non ha partecipato al giudizio.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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