Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29265 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 03/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A.S., rappr. e dif. dall’avv. Matteo Giacomazzi,

elett. dom. presso lo studio dello stesso in Venezia-Mestre, Corso

del Popolo n. 8, matteo.giacomazzi.venezia.pecavvocati.it, come da

procura spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Cagliari 22.11.2018, n.

1005/2018, in R.G. 1188/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 3.11.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. I.A. impugna la sentenza App. Cagliari 22.11.2018, n. 1005/2018, in R.G. 1188/2017 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso l’ordinanza 28.9.2016 con cui il Tribunale di Cagliari aveva a sua volta negato la tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, nelle sue tre forme e da tale organo disattesa;

2. premesso che il gravame era circoscritto al diniego della protezione sussidiaria e di quella umanitaria (oltre che del diritto di asilo) e che il tribunale aveva escluso tutte le ipotesi di tutela ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, stante la natura economica della migrazione e l’assenza di conflitto armato in Bangladesh, la corte ha ritenuto: a) nuova la richiesta di protezione sussidiaria avanzata avendo riguardo al pericolo di coinvolgimento pregiudizievole connesso ad una violenza generalizzata nel Paese di provenienza; b) insussistente la situazione di conflitto nel Paese secondo dell’art. 14 cit., lett. c); c) non provato, già per difetto di allegazione, uno stato di vulnerabilità connessa al rientro nel Paese, avendo il ricorrente omesso anche di esporre quali diritti fondamentali gli sarebbero conculcati; d) infondata la richiesta di protezione umanitaria, per irrilevanza del profilo economico prospettato per il rientro e la non sufficienza in sè dell’inserimento lavorativo attuale, peraltro precario e della sua rete relazionale;

3. il ricorrente propone due motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si lamenta l’omessa comparazione della situazione personale del ricorrente con la reale situazione esistente in Bangladesh;

2. con il secondo motivo si deduce l’errato disconoscimento della protezione umanitaria, anche come vizio di motivazione, relativamente all’omessa giustificazione del diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria;

3. i motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione e sono inammissibili, per plurimi profili; va in primo luogo negato ingresso alla censura sul diniego dello status di rifugiato, quale avanzata come parte del secondo motivo, laddove essa s’infrange nella perentoria affermazione della corte, secondo la quale tale statuizione negativa assunta dal tribunale appariva non riprodotta tra i motivi d’appello; sul punto, il ricorrente non s’incarica di smentire l’accertamento di giudicato così derivatone, almeno riportando la parte del gravame in cui la doglianza sarebbe stata riprodotta;

4. l’intera censura sulla protezione sussidiaria è poi inammissibile, già in quanto non è stata censurata la connotazione di novità con cui la corte ha qualificato la questione del timore di coinvolgimento in violenze generalizzate e con riguardo all’incolumità; la corte ha poi dato conto di una assorbente ragione di allontanamento per ragioni solo economiche e, per altro, ha accertato – con fonti specifiche – l’assenza di conflitto armato in Bangladesh; nè, sulla seconda vicenda, le informazioni riportate in ricorso si configurano idonee a superare la coerenza del giudizio negativo cui è pervenuta la sentenza, evidentemente su fonti più specifiche, cui il ricorrente ha opposto fonti più generiche e meramente alternative nella ricostruzione di uno stato di degrado e disordine, più che di un conflitto armato;

5. va così ripetuto che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019);

6. non appare poi scalfita da idonea censura la motivazione con cui la corte ha giudicato insufficiente l’ampiezza dell’integrazione, in carenza della qualità dei titoli di relazione sociale, culturale, linguistica, abitativa e dunque della pluralità di indici di interazione comunitaria, così essendo impedito un compiuto giudizio di comparazione circa la vulnerabilità con riguardo alla menomazione dell’esercizio di diritti fondamentali in caso di rientro in Bangladesh, diritti nemmeno declinati e senza contestazione adeguata sul merito di tale statuizione;

7. appare pertanto rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla sentenza, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il mero rinvio ad un contesto di povertà economica del Paese di provenienza e ad una generica regressione delle condizioni di vita; nè appare censurato in modo idoneo il giudizio d’insufficienza della stessa integrazione quale emersa avanti al giudice di merito, consistente in attività lavorativa precaria (contratto di lavoro scaduto), carenza di reddito e di titolo abitativo, difetto di relazioni affettive rilevanti in Italia;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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