Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2926 del 10/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2926 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

DI CENCIO Nunziato (DCN NNZ 52M09 L113B) e DI CENCIO Anna
Lisa

(DCN NLS

58H44

L113E),

rappresentati

e difesi,

per

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati Ennio
Cerio e Giovanni Romano, elettivamente domiciliati presso
lo studio del secondo in Roma, via Valadier n. 43;
– ricorrenti –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– resistente –

Data pubblicazione: 10/02/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Bari
depositato in data 11 settembre 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Giovanni Romano;
sentito

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 5 aprile

2011 presso la Corte d’appello di Bari, Di Cencio Nunziato
e Di Cencio Anna Lisa chiedevano la condanna del Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamento del danno non
patrimoniale derivato dalla irragionevole durata di un
giudizio iniziato, dinnanzi al TAR per il Molise Campobasso, con ricorso depositato il 21 giugno 2000 e
definito con decreto di perenzione depositato il 30
ottobre 2010;
che l’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio
presupposto – protrattosi dal giugno 2000 all’ottobre 2010
avesse avuto una durata eccedente quella ragionevole di
sette anni e quattro mesi e, tenuto conto dell’obiettivo
scarso interesse manifestato dalle parti alla definizione
del giudizio, conclusosi con decreto di perenzione,
liquidava un indennizzo di euro 1.850,00, ragguagliato al

Stefano Petitti;

parametro riduttivo di euro 250,00 per anno di ritardo,
considerando i due istanti come una unica parte
processuale avente diritto all’indennizzo;
che secondo la Corte d’appello sussistevano giusti

procedimento, in considerazione del rilevantissimo
scostamento tra la somma richiesta e quella riconosciuta;
che per la cassazione di questo decreto Di Cencio
Nunziato e Di Cencio Anna Lisa hanno proposto ricorso
sulla base di due motivi;
che l’intimato Ministero non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai
fini della partecipazione alla discussione della causa.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2
della legge n.

89 del 2001 e degli artt. 6, par. l, e 41

della CEDU, si dolgono della non riconosciuta autonoma
legittimazione attiva a ciascuno di essi e quindi del
fatto che l’indennizzo sia stato commisurato
cumulativamente e non riconosciuto a ciascuno di essi;
che con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2

motivi per compensare per la metà le spese del

della legge n. 89 del 2001 e degli artt. 6, par. l, e 41
della CEDU, si dolgono della esiguità della liquidazione
dell’indennizzo,

sottolineando

come

il

rilevato

disinteresse si fosse via via manifestato in

propria conclusione;
che il primo motivo di ricorso è fondato;
che la Corte d’appello, nel considerare i due
ricorrenti nel giudizio presupposto come una unica parte
processuale, non ha colto la finalità del rimedio previsto
dalla legge n. 89 del 2001, che intende offrire una via
interna a ciascuna delle parti del giudizio
irragionevolmente protrattosi, singolarmente considerate,
essendo le stesse autonomamente legittimate alla
proposizione della domanda di equa riparazione;
che il secondo motivo di ricorso è fondato nei sensi
di seguito indicati;
che questa Corte ha avuto modo di affermare il
principio per cui «in tema di equa riparazione per
irragionevole durata del processo amministrativo,
l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi,
introdotto dall’art. 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205
– nel testo, applicabile ratione temporis,

anteriore alle

modifiche di cui all’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008, n.
112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133 – non si

considerazione del fatto che il giudizio non vedeva una

traduce in una presunzione di disinteresse per la
decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo
che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la
necessità che le parti siano messe in condizione, tramite
avviso,

di

soffermarsi

sull’attualità

dell’interesse alla decisione e di manifestarlo. Ne
consegue che la mancata presentazione dell’istanza di
fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per
la decisione di merito, giustifica l’esclusione della
sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale
del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione
dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo
precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione
mano a mano decrescente, e quindi come base per una
decrescente valutazione del danno e del relativo
risarcimento» (Cass. n. 6619 del 2010);
che a seguito della entrata in vigore dell’art. 54 del
decreto-legge n. 112 del 2008, poi, si è chiarito che tale
norma, «pur disponendo per il futuro, dà rilievo alla
circostanza che, nei giudizi amministrativi, l’istanza di
prelievo ha da tempo assunto la funzione di segnalare al
giudice il permanente interesse della parte alla
definizione del giudizio, sovente venuto meno per
circostanze sopravvenute alla sua proposizione (quali atti
di autotutela o sanatorie), con la conseguenza che la

ì

apposito

mancata presentazione dell’istanza, nonostante il lungo
tempo trascorso dalla proposizione della domanda,
costituisce indice di scarso interesse alla lite e
legittima, pertanto, la liquidazione del risarcimento in

congrua» (Cass. n. 3271 del 2011); ed ancora si è
affermato che «la mancata proposizione dell’istanza di
prelievo rende improponibile la domanda di equa
riparazione (nella specie proposta nel 2009) nella parte
concernente la durata del giudizio presupposto successiva
alla data (del 25 giugno 2008) di entrata in vigore
dell’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in
legge 6 agosto 2008 n. 133, che, avendo configurato la
suddetta istanza di prelievo come “presupposto
processuale” della domanda di equa riparazione, deve
sussistere al momento del deposito della stessa, ai fini
della sollecita definizione del processo amministrativo in
tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, fermo
restando che l’omessa presentazione dell’istanza di
prelievo non determina la vanificazione del diritto
all’equa riparazione per l’irragionevole durata del
processo con riferimento al periodo precedente al 25
giugno 2008» (Cass. n. 5914 del 2012);
che dunque, accertata la legittimità di una
liquidazione effettuata sulla base di un criterio

misura inferiore rispetto a quella normalmente ritenuta

riduttivo rispetto agli ordinari standard di liquidazione
dell’indennizzo da irragionevole durata nel caso in cui la
parte di un giudizio amministrativo non abbia depositato
istanza di prelievo, la questione diventa quella di

Corte d’appello sia o no idoneo ad assicurare una
riparazione di un pregiudizio sofferto, sia pure in misura
attenuata;
che, ad avviso del Collegio, al quesito deve essere
data risposta negativa, atteso che il criterio riduttivo
adottato dalla Corte barese determina uno scostamento
eccessivo rispetto al criterio ordinario di liquidazione
del pregiudizio da irragionevole durata del processo;
che, tuttavia, nel caso di specie deve rilevarsi
ulteriormente che il diritto di entrambi i ricorrenti
all’equa riparazione sussiste solo entro il limite del 25
giugno 2008, non essendo contestata la mancata
presentazione di una istanza di prelievo nel corso del
giudizio presupposto;
che entro tali limiti il secondo motivo di ricorso può
quindi essere accolto;
che all’accoglimento dei due motivi di ricorso
consegue la cassazione del decreto impugnato;

valutare se lo scostamento in concreto adottato dalla

che, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, infatti, accertata una durata utile del giudizio

ragionevole durata individuato dalla Corte d’appello in
tre anni, il periodo indennizzabile è di cinque anni;
che, quanto alla individuazione del criterio di
liquidazione, il Collegio ritiene che lo stesso possa
essere individuato in 500,00 euro per ciascuno degli anni
di irragionevole durata;
che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, se
è vero che il giudice nazionale deve, in linea di
principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi

presupposto di circa otto anni e detratto il segmento di

concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte
Volta et autres

c. Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia,
del 6 aprile 2010) e recepiti dalla giurisprudenza di
questa Corte (Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass., 10
febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914),
relativamente a giudizi amministrativi protrattisi per
oltre dieci anni, questa Corte è solita liquidare un
indennizzo che rapportato su base annua corrisponde a
circa 500,00 euro per la durata del giudizio;
che tale approdo consente di ritenere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa
costituire un idoneo indennizzo del pregiudizio morale
sofferto dalla parte di un giudizio amministrativo in cui
non sono stati posti in essere strumenti sollecitatori, ed
anzi si è poi pervenuti ad una decisione di perenzione;
che, dunque, a ciascuno dei ricorrenti spetta un
indennizzo di euro 2.500,00 euro, oltre agli interessi
legali dalla data della domanda al saldo;
che ai ricorrenti compete altresì il rimborso delle
spese dell’intero giudizio;

9

europea dei diritti dell’uomo (decisioni

che,

tuttavia,

in considerazione del limitato

accoglimento della domanda, le spese del giudizio di
merito possono essere compensate per metà e liquidate, per
l’intero, in euro 873,00, di cui euro 50,00 per esborsi,

alle spese generali e agli accessori di legge;
che le spese del giudizio di legittimità vanno invece
poste interamente a carico dell’amministrazione
soccombente e si liquidano nella misura indicata in
dispositivo;
che le spese del giudizio di merito, come liquidate,
devono essere distratte in favore degli Avvocati Ennio
Cerio e Annibale Guido Campopiano, dichiaratisi
antistatari, e quelle del giudizio di legittimità devono
essere distratte in favore dei difensori dei ricorrenti,
Avvocati Ennio Cerio e Giovanni Romano, anch’essi
dichiaratisi antistatari.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al
pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della
somma di euro 2.500,00, oltre agli interessi legali dalla
domanda; condanna il Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento di metà delle spese del giudizio di

euro 445,00 per diritti ed euro 378,00 per onorari, oltre

merito, che liquida in euro 873,00, di cui euro 50,00 per
esborsi, euro 445,00 per diritti ed euro 378,00 per
onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di
legge, dichiarando compensata la restante metà; condanna

legittimità, che liquida in euro 506,25, oltre ad euro
100,00 per esborsi e agli accessori di legge. Dispone la
distrazione delle spese del giudizio di merito in favore
degli Avvocati Ennio Cerio e Annibale Guido Campopiano,
dichiaratisi antistatari, e di quelle del giudizio di
legittimità in favore dei difensori dei ricorrenti,
Avvocati Ennio Cerio e Giovanni Romano, dichiaratisi
antistatari
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Civile della Corte suprema di cassazione, il 16
gennaio 2004.

il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di

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