Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29259 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/12/2011, (ud. 15/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2139/2008 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato TOSI Paolo, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LALLI Claudio, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1331/2007 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/01/2007 R.G.N. 187/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega TOSI PAOLO; udito

l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 20.12/12.1.2007 la Corte di appello di Genova confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra le Poste Italiane e L.L. con riferimento al periodo dal 16 giugno 2000 al 15 settembre 2000 (“per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre nonchè in funzione delle punte di più intensa attività stagionale”).

Osservava la corte territoriale che contrastava con la ratio della disciplina generale sui contratti a termine la indicazione simultanea, a giustificazione dell’apposizione del termine, di due motivazioni “ontologicamente diverse” e che, comunque, la società ricorrente non aveva dato dimostrazione dell’esistenza, nel periodo in questione, di esigenze di servizio determinate dall’assenza per ferie dei propri dipendenti.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con tre motivi. Resiste con controricorso L.L..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 3, della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione alla normativa contrattuale applicabile, nonchè vizio di motivazione.

Osserva, al riguardo, che nessuna disposizione normativa o di contratto collettivo obbligava a ricondurre i motivi di assunzione ad una sola ed unica fattispecie giustificativa e che il richiamo di una duplice causale non comportava, comunque, ai fini della legittimità dell’apposizione del termine, la necessaria positiva verifica della sussistenza di entrambe, ben potendo sussisterne una sola, purchè sufficiente, da sola, a legittimare l’apposizione della clausola.

Con il secondo motivo, deducendo analoghi vizi, osserva che, operando la L. n. 56 del 1987, art. 23, una ampia delega alla contrattazione collettiva, la quale è libera di individuare le fattispecie in ordine alle quali è possibile l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, resta sottratta al sindacato giurisdizionale la valutazione della legittimità delle fattispecie individuate dagli agenti negoziali, con la conseguente impossibilità di sovvertire l’equilibrio contrattuale dagli stessi stabilito, e che, in ogni caso, ricorrevano tutte le condizioni legittimanti l’assunzione a termine, essendo stata la L. avviata al lavoro nel periodo indicato nel contratto collettivo, in corrispondenza col periodo feriale.

Con l’ultimo motivo, infine, deducendo ancora violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1372 c.c., comma 1, art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), la società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso che, nel caso, fosse ipotizzabile la risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro, ritenendo l’inerzia dell’interessata inidonea a configurare una volontà dismissiva della relazione contrattuale.

2. Il primo motivo è fondato.

Per come, infatti, non ha mancato già di sottolineare la giurisprudenza di legittimità, l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è di per sè causa di illegittimità della clausola di durata per contraddittorietà o incertezza della ragione giustificativa della stessa, fermo restando la necessità di una valutazione in concreto della effettività e coerenza delle ragioni indicate (cfr. Cass. n. 16396/2008).

Ed, in realtà, nessuna norma di legge o della contrattazione collettiva condiziona la validità dell’apposizione della clausola alla indicazione di un’unica ragione giustificativa, purchè il datore di lavoro dia dimostrazione della sussistenza in concreto di almeno una delle stesse e, quindi, della connessione esistente fra i motivi rappresentati nel contratto e la sua concreta attuazione, per quanto di rilievo nella specifica fattispecie.

Ne deriva che non di incompatibilità logica o astratta può parlarsi nel caso, quanto di una incompatibilità che va verificata in concreto, attraverso il raffronto fra il modello legale del rapporto di lavoro speciale adottato e la concreta sistemazione degli interessi realizzata con l’assunzione a termine.

3. Con riferimento, poi, al secondo motivo, vanno ribaditi i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001.

In particolare, e per quanto qui di interesse, decidendo su fattispecie analoghe a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), ha reiteratamente affermato (cfr., ad es., Cass. n. 4933/2007) l’insussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto il nome del lavoratore sostituito, per determinare la tesi opposta la violazione di norme di diritto, oltre che una erronea interpretazione della normativa collettiva.

Si è rilevato, infatti, che, ad escludere l’autonomia del contratto a termine regolato dalla contrattazione collettiva rispetto alla previsione legale, si determinerebbe un palese contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte e già richiamato (Cass. S.U. n. 4588/2006), secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Giova soggiungere che altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr., ad es. Cass. n. 26678/2005, Cass. n. 6204/2008) hanno confermato le decisioni di merito che, nel ritenere l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale, hanno interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso di riconoscere, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Così come (cfr. ex multis Cass. n. 8122/2008) si è confermato che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale … l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro, di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”.

Alla luce dei principi indicati, il ricorso, assorbito l’ultimo motivo, va, dunque, accolto.

La sentenza impugnata va, in conseguenza, cassata e la causa rimessa ad altro giudice di pari grado, il quale, attenendosi ai criteri di interpretazione specificati, provvederà anche in ordine alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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