Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29259 del 20/10/2021

Cassazione civile sez. III, 20/10/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 20/10/2021), n.29259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25047/2018 proposto da:

U.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

SEVERANO N. 35, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRI,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO CAROLI;

– ricorrenti –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.

CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

S.E.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1808/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

 

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con atto notificato il 19 luglio 2018 U.M.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1808/2018 pubblicata il 25 gennaio 2018. Con controricorso resiste Sara Assicurazioni s.p.a. S.E.G., intimato, non ha svolto difese in questa sede.

2. Il ricorso è stato discusso in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della decisione in forma di sentenza. Il Sostituto Procuratore Generale ha formulato le sue conclusioni scritte, ritualmente comunicate alle parti.

3. Per quanto ancora rileva, U.M.M. conveniva in giudizio S.E.G., nonché Sara Ass.ni s.p.a., quale impresa designata alla gestione del FGVS, per sentirli condannare, in solido, al pagamento di Euro 17.000,00 per i danni derivati dal sinistro occorso il 26/11/2006, allorché il furgone di proprietà e condotto dal convenuto S.E.G. – privo di copertura assicurativa aveva urtato il banco di esposizione delle merci dell’attore, sito in un mercato all’aperto, danneggiando il banco, le attrezzature per l’esposizione della merce, nonché gli oggetti esposti. Il Giudice di Pace accoglieva in parte la domanda attorea limitatamente a un importo di Euro 1.500,00, somma minore rispetto alla offerta scritta di Euro 2.500,00 fatta ante litem dalla compagnia designata al danneggiato.

4. U.M.M. proponeva gravame dinanzi al Tribunale di Roma deducendo che il giudice di prime cure nel liquidare il danno non aveva tenuto conto dell’offerta di Euro 17.000,00 fatta dalla compagnia designata, per il tramite del funzionario liquidatore D.M., a seguito della valutazione del perito A.D.; pertanto, chiedeva di condannare la compagnia al pagamento del predetto importo e, in subordine, previa ammissione delle prove testimoniali, di accertare che i danni subiti ammontavano a Euro 17.000,00.

5. Il Tribunale di Roma, con la sentenza in questa sede impugnata, dopo avere respinto le istanze istruttorie ha rigettato il gravame e, per l’effetto, ha confermato la pronuncia di primo grado. In particolare, il giudice ha ritenuto non provata la transazione tra il danneggiato e la compagnia assicuratrice, in mancanza di forma scritta, nonché superflua l’escussione dei testi indicati da parte attrice inerenti alla prima offerta – in tesi – avanzata dal primo liquidatore, conforme alla valutazione del perito, accettata dal legale del ricorrente, ritenendo non provato in concreto il danno dedotto e non rilevante la prima offerta, in quanto rientrante nello schema delle mere trattative svolte ex art. 148 c.d.a., scaturite in una diversa offerta scritta, accettata dal danneggiato solo a titolo di acconto prima della controversia;

infine, ha ritenuto corretta la minore quantificazione del danno determinata dal GdP, sulla base della ricostruzione della dinamica del sinistro.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Il ricorrente censura la sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché per vizio motivazionale in quanto il Tribunale non avrebbe dato risposta alla domanda svolta in via principale dall’attore, con la quale avrebbe chiesto la condanna della compagnia al pagamento della somma di Euro 17.000,00 già offerta dall’assicuratore per via del suo liquidatore, fonte di obbligazione ai sensi dell’art. 148 c.d. ass. priv..

1.1. Viene a tal fine dedotto che il liquidatore, succeduto al primo, avrebbe inviato “a titolo di integrale risarcimento un’offerta di Euro 2500,00, al netto della franchigia di Euro500,00 senza fornire motivazioni di sorta”, a motivo della quale l’attore aveva avviato il giudizio per ottenere la “somma già concordata ” (v. ricorso pp. 23)

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 167c.p.c. e dell’art. 416 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, per avere il Tribunale di Roma violato il principio di non contestazione (error in procedendo)”. Nella comparsa di costituzione e risposta la compagnia convenuta non avrebbe contestato specificamente i fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, ma si sarebbe limitata a dichiarare di contestare la domanda attorea in ordine all’an e al quantum. Tale dichiarazione non costituirebbe contestazione specifica, in specie, rispetto alla circostanza dedotta dall’attore per cui l’offerta fatta dal dipendente della compagnia in veste di liquidatore avrebbe dovuto considerarsi fonte dell’obbligazione di procedere al pagamento, risultando conforme alla perizia svolta dal dipendente della compagnia che aveva quantificato il danno in Euro 17.000,00.

3. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’artt. 360, comma 1 n. 4, per avere il Tribunale di Roma non ammesso le prove specificamente richieste”. Si deduce che il Tribunale avrebbe dapprima ritenuto superflue le testimonianze del liquidatore e del perito della compagnia assicuratrice in relazione all’entità del danno e, poi, ritenuto non provato l’ammontare del danno dedotto dall’attore, con motivazione anomala e incomprensibile.

4. I motivi vanno trattati congiuntamente perché logicamente connessi. Essi, peraltro, risultano inammissibili perché non si confrontano con la ratio decidendi, e, dunque, non si dimostrano in grado di mettere in crisi l’impianto della motivazione della sentenza impugnata, risultando del tutto aspecifici ex art. 366 c.p.c., n. 4.

5. L’attore qui ricorrente ha introdotto il presente giudizio con due distinte domande: 1) richiesta di condanna di Sara a pagare la somma di Euro 17.000,00 già offerta dall’assicuratore, sulla base della valutazione dei danni effettuata da un perito fiduciario della stessa Sara ass.ni; 2) richiesta di condanna comunque di Sara ass. a pagare la stessa somma a titolo di risarcimento in forza dell’art. 2043 c.c. (v. ricorso, p. 5).

6. Il Tribunale, per un verso, ha escluso che, in difetto di prova scritta, potesse ritenersi provata tra le parti l’intervenuta transazione tra liquidatore e il danneggiato; per altro verso, ha ritenuto che quelle intercorse tra l’attore e la compagnia assicuratrice prima del versamento di Euro 2500,00 potessero considerarsi “mere trattative, non implicanti un impegno” rendendosi inutile pertanto anche la prova per testi vertente sulla effettiva formulazione di una offerta in quella fase (p. 4 sentenza). Sotto il profilo processuale, poi, ha ritenuto di non poter aderire alla censura dell’appellante secondo cui il Giudice di Pace avrebbe violato l’art. 115 c.p.c., sotto il profilo della mancata contestazione “avendo la compagnia convenuta contestato, nel costituirsi dinanzi al Giudice di Pace, l’an e il quantum della pretesa risarcitoria”, negando valore di transazione, o anche solo di offerta implicante un impegno, alla prima fase delle trattative intercorse con il liquidatore, prima del versamento di Euro 2500,00 (p. 4). Pertanto, dopo avere ritenuto infondata in iure la prima domanda, ha deciso sul merito della domanda, svolta in via subordinata, di condanna al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., per come allegata e provata in punto di an e quantum debeatur.

6.1. Per rendere scrutinabili i motivi, invero, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare l’affermazione del giudice, posta a fondamento del rigetto della prima domanda, secondo cui “in difetto di prova scritta” non può ritenersi provata l’offerta formulata in sede di trattative, in seguito alle quali l’attore qui ricorrente ha avviato il giudizio à sensi dell’art. 148, commi 7 e 8 cod.ass. priv..

6.2. La ratio decidendi espressa in motivazione, invero, rivela una interpretazione della normativa nel senso anzidetto, e quindi non induce a scrutinare il vizio processuale dedotto di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo il giudice statuito sul punto dando una interpretazione della normativa in questione, anche se del tutto diversa da quella proposta dal ricorrente.

6.3. Lo stesso discorso vale con riguardo all’assunta violazione del principio di non contestazione, posto che la ragione per cui è stata ritenuta insussistente l’eccezione di mancata contestazione ex art. 115 c.p.c., è riposta sull’osservazione, in iure, che la fase delle trattative condotte à sensi dell’art. 148, commi 7 e 8 cod.ass. priv. non rileva se non ne è scaturita una transazione: anche su questo punto, invero, manca ogni argomentazione.

6.4. Allo stesso modo, deve rammentarsi che il vizio di motivazione sulle istanze probatorie può essere denunciato solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando la prova non ammessa ovvero non esaminata sia in concreto idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/2/2007; tra le più recenti Cass., Sez. 6 1, Ordinanza n. 23194 del 4/10/2017; Sez. L, Sentenza n. 66 dell’8/1/2015).

6.5. Invero, i capitoli di prova formulati dall’attore in primo grado, e riportati nel ricorso (p. 13) sono stati rigettati in quanto incentrati su fatti, ritenuti irrilevanti e non decisivi, attinenti al quantum – in tesi- concordato tra le parti in sede di trattativa.

6.6. Il danno effettivamente ricevuto, peraltro, è stato valutato dal giudice sulla base delle testimonianze acquisite in relazione alla dinamica dell’occorso e alle richieste inizialmente inoltrate dal danneggiato, inerenti unicamente al ristoro del banco di esposizione e di due ombrelloni, e non della merce, costituita in prevalenza da bigiotteria, con giudizio in fatto qui insindacabile e non oggetto di specifica impugnazione.

6.7. Sicché, i motivi ricadono tutti nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto sancito da Cass. SU n. 7074 del 2017 (in motivazione) secondo cui “il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

7. Conclusivamente, il ricorso va ritenuto inammissibile, con condanna alle spese del ricorrente sulla base delle tariffe vigenti, oltre al raddoppio del Contributo Unificato, se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; per l’effetto, condanna il ricorrente alle spese in favore della parte resistente, liquidate in Euro 1800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie e ulteriori oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021

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