Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29257 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. I, 22/12/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 22/12/2020), n.29257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.C., rappr. e dif. dall’avv. Romina Possis,

romina.possis.ordineavvocativercelli.eu, con lo studio in Vercelli,

via degli Oldoni n. 14, come da procura spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege e dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici

è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Torino 2.10.2018, n. 1724/2018,

in R.G. 2519/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 22.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.C. impugna la sentenza App. Torino 2.10.2018, n. 1724/2018, in R.G. 2519/2017 di rigetto dell’impugnazione interposta avverso l’ordinanza 7.11.2017 con cui il Tribunale di Torino aveva a sua volta negato la tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. la corte ha ritenuto: a) condivisibile il giudizio di non credibilità del narrato, quale espresso dal tribunale e censurato in modo inappropriato, indicando doglianze generiche e contraddittorie, via via modificate, con condotta non collaborativa del richiedente (poggiante sul mutamento delle addotte ragioni di fuga, prima fondate sul timore per le minacce di uno zio paterno e poi su quello connesso alla carcerazione del padre, oppositore del precedente presidente maliano e premorto rispetto al fine pena, con prospettato pericolo di analoga sorte); b) esclusi di conseguenza i requisiti di meritevolezza della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e per essere assente ogni conflitto armato, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nel sud del Mali, zona di provenienza; c) non dimostrata alcuna specifica situazione soggettiva tale da giustificare la protezione umanitaria, avendo l’appellante evidenziato solo una tematica economica;

3. il ricorrente propone un motivo di ricorso, il Ministero dell’Interno si è solo costituito in funzione della partecipazione ad eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, anche come vizio di motivazione, in punto di esercizio dei poteri officiosi circa credibilità del racconto e dati relativi alla situazione in Mali, oltre che valutazione dei requisiti della protezione umanitaria;

2. il motivo, quanto al primo profilo, è inammissibile, essendosi risolta la complessiva censura in una sostanziale doglianza sulla motivazione del complessivo ed articolato giudizio di non credibilità, oltre che di “mancata leale condotta processuale”, così non rispondendo al principio, cui va data continuità, per cui “D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. 21142/2019, 1195/2020); nella specie, il giudice di merito ha operato una valutazione unitaria degli elementi dichiarativi e documentali emersi in istruttoria (Cass. 6897/2020), rapportati in modo coerente con le informazioni del Paese d’origine, per la zona Sud del Mali (Cass. 26056/2010, 10202/2011), escludendo la linearità tempestiva del racconto, nonchè il rispetto del parametro normativo di valutazione della genuinità soggettiva del richiedente, negando – ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) – che vi sia stato “ragionevole sforzo” nel circostanziare la domanda, tale dovendosi intendere la enfatizzata palese contraddizione tra le due versioni fornite in tema di allontanamento (generica e privatistica la prima e poi a connotazione politica la seconda);

3. va invero ricordato che “in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019);

4. quanto al secondo profilo, va richiamato il principio – rispettato nella sentenza – per cui “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019); la sentenza formula il richiamo delle fonti già utilizzate dal tribunale, così negando che nella zona di provenienza (Sud del Mali) sia sussistente violenza indiscriminata, laddove il ricorso evidenzia in modo del tutto generico la situazione del Mali, con richiamo ad una fonte EASO, per il coinvolgimento anche nel Sud, ma senza alcuna trascrizione, almeno per passi essenziali, delle circostanze indizianti una situazione di conflitto armato interno, oltretutto tale da far presumere la individualizzazione del pericolo al solo ingresso in tale porzione di territorio; nè possono assumere decisività, allo stato, elementi sopraggiunti, integrativi o straordinari attinenti alla situazione in Mali, trattandosi di circostanze la cui rilevanza, in termini di novità rispetto a quelli rappresentati nell’odierno ricorso, può trovare illustrazione in altra domanda, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29;

5. il terzo profilo del motivo è inammissibile; nel riportato quadro motivazionale, è stata esclusa, accanto alla credibilità del ricorrente e al rischio di individualizzazione del pericolo grave in caso di rimpatrio, la fruttuosità di un giudizio comparativo sulla vulnerabilità cui egli sarebbe esposto, sia censurando la mera “tematica economica…invocata”, sia l’insussistenza di radicamento nel territorio, sia l’assenza di ragioni di salute; per tale argomentazione, il motivo non esprime una critica puntuale, evitando da un lato di confrontarsi con la descritta ratio decidendi e, dall’altro lato, menzionando il “recente” reperimento di un lavoro, senza che i relativi tratti siano apprezzabili quali già ritualmente introdotti nel contraddittorio processuale e conoscibili nei propri termini storici, ciò dunque non bastando per infirmare l’apprezzamento di fatto, del tutto opposto, cui è giunta la corte, che ha piuttosto escluso la relativa prova (pag. 4), conseguendone un limite di autosufficienza del ricorso; nè viene aggredita la più generale esplicitazione, descritta in sentenza, della mancanza di altri elementi rilevanti, nemmeno potendo comunque dirsi decisivo in sè il mero fattore lavoro in Italia, alla stregua della precisazione in Cass. s.u. 29459/2019 secondo la quale “l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”;

6. appare pertanto rispettato nella decisione il principio, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), per cui “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente … altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; l’indirizzo è stato ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo nella specie difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla sentenza; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dal giudice di merito, anche in relazione alla non credibilità del narrato quanto alle ragioni dell’allontanamento (Cass. 2682/2020); si può allora ribadire che l’odierna censura, sul punto, è nel suo complesso inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

 

 

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