Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29257 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 14/11/2018), n.29257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel.Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14906-2017 proposto da:

T.N.C. TRASPORTI NAZIONALI CASTO SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dagli avvocati MASSIMO BAGNO, GIOVANNI BELLISARIO;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MASSIMO FASANO;

– controricorrente -(mc

avverso la sentenza n. 1187/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 06/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/10/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA

CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Lecce, accogliendo l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da R.L. nei confronti della T.N.C. s.r.l., revocò il decreto ingiuntivo (emesso per la somma di euro 21.890,08) e condannò la società opposta al pagamento delle spese di lite.

2. La sentenza è stata impugnata dalla società T.N.C. e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 6 dicembre 2016, ha dichiarato l’appello inammissibile per tardività, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

A sostegno della propria decisione la Corte salentina ha osservato che la sentenza di primo grado era stata depositata il 19 settembre 2014 e che l’atto di appello era stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica il successivo 2 novembre 2015. Pertanto, anche considerando che nella fattispecie doveva applicarsi, ratione temporis, il termine lungo di un anno, a decorrere dall’anno 2015 la sospensione feriale era pari a trentuno giorni, e non a quarantacinque, per cui l’impugnazione doveva ritenersi tardiva.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce ricorre la T.N.C. s.r.l. con atto affidato ad un motivo.

Resiste R.L. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, come modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche nella L. 10 novembre 2014, n. 162.

Sostiene la società ricorrente che ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile dovrebbe tenersi conto della data di pubblicazione del provvedimento e non di quella in cui l’impugnazione è stata in concreto proposta; per cui l’intervenuto deposito nel 2014 avrebbe fatto sì che l’odierna ricorrente maturasse il diritto a proporre appello sulla base della sospensione dei termini feriali a quel tempo vigente (cioè quarantacinque giorni).

1.1. Il ricorso non è fondato.

Questa Corte ha già affermato che, ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, la modifica di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, (convertito, con modifiche, nella L. n. 162 del 2014) – norma che, sostituendo la L. n. 742 del 1969, art. 1, ha ridotto il periodo di sospensione da 46 a 31 giorni (dal 1 al 31 agosto di ciascun anno) – trova applicazione, in mancanza di una disciplina transitoria, a partire dalla sospensione dei termini relativa al periodo feriale dell’anno solare 2015, non rilevando, a tal fine, la data dell’impugnazione o quella di pubblicazione della sentenza (così le ordinanze 11 maggio 2017, n. 11758, e 6 settembre 2017, n. 20866).

E’ appena il caso di aggiungere che la tesi sostenuta dalla ricorrente – che potrebbe, in astratto, essere anche plausibile, posto che alcune volte la legge ha disposto in questi termini (come nel caso della norma sul raddoppio del contributo unificato) – richiede una precisa disposizione di legge; mentre nella specie il D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 3, cit., ha espressamente stabilito che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 acquistano efficacia a decorrere dall’anno 2015; il che significa che il regime applicabile è quello del momento in cui l’impugnazione viene proposta (tempus regit actum), e non quello del momento in cui il provvedimento da impugnare è stato depositato.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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