Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29254 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. I, 12/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 12/11/2019), n.29254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1886/2014 proposto da:

Unicredit Credit Management Bank S.p.a., in qualità di mandataria di

Unicredit S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Belle Arti 8, presso lo

studio dell’avvocato Abrignani Ignazio, rappresentata e difesa

dall’avvocato Ghedini L. Ippolita giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento del (OMISSIS) a r.l., in persona del curatore Dott.ssa

M.H., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cola di Rienzo n.

180, presso lo studio dell’avvocato Fiorilli Paolo, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Franzoi Antonio,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

03/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2019 dal Cons. Dott. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Venezia ha respinto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento del (OMISSIS) a r.l. proposta da Unicredit Credit Management Bank S.p.a. (quale mandataria di Unicredit S.p.a.) avverso il diniego di ammissione al passivo del credito di Euro 294.114,04 con prelazione ipotecaria (cd. mutuo costruttori a s.a.l.) – ed Euro 3.146.101,78 in via chirografaria, a titolo di saldo passivo di dieci rapporti di c/c bancario ed uno di fideiussione.

2. Con riguardo al mutuo, il tribunale ha rilevato la mancanza di prova dell’effettiva erogazione della somma, stante il valore di mera confessione stragiudiziale – inopponibile al fallimento, in quanto soggetto terzo – della quietanza di pagamento rilasciata in sede di stipula del contratto (peraltro relativa a un pagamento ricevuto aliunde, “come da lettera consegnata alla parte mutuataria ed in conformità alle sue istruzioni”, però non prodotta); con riguardo ai rapporti di c/c bancario, ha invece ritenuto inidonea la prova circa la sussistenza del credito, non già per la mancanza di data certa dei contratti (essendo questa desumibile dalla loro produzione nel precedente giudizio monitorio) quanto per mancanza di copia integrale degli estratti conto, dall’inizio del rapporto alla sua cessazione. Circa il rapporto di fideiussione ha rilevato l’inidoneità della documentazione prodotta, consistente nella certificazione di parte ex art. 50 t.u.b. e in una raccomandata mancante della prova della ricezione. Infine, il giudice a quo ha negato valore di riconoscimento di debito alla missiva del 23 marzo 2011, attestante una mera offerta bonaria per un credito espressamente contestato.

3. Avverso detto decreto la banca ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso, corredato da memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo, relativo al credito ipotecario, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2735 c.c. e della L. Fall., artt. 98-99, nonchè l’omesso esame circa un fato decisivo. In particolare, le violazioni di legge denunziate attengono al fatto che il libero apprezzamento della quietanza da parte del giudice non possa sconfinare nell’arbitrio e che le motivazioni del tribunale si fondano su eccezioni non sollevate dal curatore in sede di formazione dello stato passivo. Il vizio motivazionale concerne, invece, l’omesso esame di alcuni documenti – segnatamente: la nota di iscrizione ipotecaria (recante nel “quadro D” l’indicazione della somma erogata “a titolo di prima erogazione parziale”); la “lista operazioni relative al mutuo n. (OMISSIS)” prodotta con memoria autorizzata del 14 febbraio 2013 (produzione che a pag. 6 del controricorso la curatela ricorda essere stata contestata in quanto irrituale e tardiva, oltre che inopponibile ed inidonea); i bilanci del Consorzio – oltre che del fatto che l’invio alla banca della comunicazione L. Fall., ex art. 92.

presuppo rebbe la conoscenza del credito da parte del curatore.

4.1. I profili del motivo in parte infondati e in parte inammissibili.

4.2. Innanzitutto, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di impugnazione dello stato passivo (soggetto al regime introdotto dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 9 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, applicabile ratione temporis) non opera – nonostante la sua natura impugnatoria – la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, che il curatore può proporre L. Fall., ex art. 99, comma 7; ciò in quanto il riesame (a cognizione piena) del risultato della cognizione sommaria propria della verifica del passivo, demandato al tribunale fallimentare, esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, ma non ne comprime il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non previamente sottoposte all’esame del giudice delegato, restando affidato al giudice dell’impugnazione il compito di assicurare il diritto di difesa della controparte, nelle forme compatibili con il rito camerale (Cass. 9929/2018, 19003/2017, 8929/2012, 7918/2012, 20622/2007). E’ stato altresì precisato che non incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c., il tribunale che, esercitando il proprio potere d’ufficio di accertare la fondatezza della domanda proposta, rigetti l’opposizione allo stato passivo proposta dal creditore, dovendo l’accertamento sull’esistenza del titolo dedotto in giudizio essere compiuto dal giudice ex officio in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi, in base alla risultanze rite et rette acquisite, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (Cass. 24972/2013).

4.3. Anche la violazione dell’art. 2935 c.c., è insussistente, alla luce della condivisibile giurisprudenza di questa Corte che ritiene liberamente apprezzabile dal giudice la quietanza rilasciata (anche) in atto pubblico – così come il riconoscimento del debito e la confessione stragiudiziale – nei confronti del curatore, in quanto terzo (v. Cass. 26334/2016), risolvendosi tale aspetto in una questione di valutazione del materiale probatorio, non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo motivazionale (Cass. 10215/2019, 16104/2018, 24690/2017, 21258/2014, 23318/2012, 4288/2005, 3055/1996, 2339/1994, 13095/1992, 544/1986; cfr. Cass. 9929/2018 ove si è valorizzato il riconoscimento del debito contenuto in atto pubblico in presenza però di un giudicato interno sulla effettiva erogazione del mutuo).

4.4. Ebbene, sotto quest’ultimo aspetto il motivo è inammissibile, poichè si limita a prospettare il mancato esame non già di fatti decisivi, bensì di documenti, al riguardo dovendosi ribadire che “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Cass. 16812/2018, 19150/2016, 25756/2014). Nel caso di specie, la mancanza di tali indicazioni, in uno alla estrema genericità dei connessi rilievi, rende appunto la censura inammissibile.

5. Il secondo mezzo, afferente il credito chirografario, contiene plurime contestazioni, relativamente: all’omesso esame di un fatto decisivo, con riguardo alla “copiosa documentazione prodotta con il ricorso in opposizione allo stato passivo” (segnatamente le fideiussioni prestate, gli estratti conto certificati, l’elenco dei movimenti dei vari rapporti, i contratti e relativi documenti di sintesi sottoscritti dal Consorzio, il riconoscimento di debito del 23 marzo 2011); all’erronea affermazione del mancato rinvenimento, nel fascicolo del ricorrente, della documentazione relativa alla fideiussione rilasciata da A.P.; all’erronea affermazione della diversità soggettiva tra Banco di Sicilia e Unicredit, a causa dell’omesso esame del relativo atto di fusione; alla violazione degli artt. 2704 e 2728 c.c., nonchè della L. Fall., art. 45, con riguardo alla ritenuta inopponibilità dei contratti di conto corrente per carenza di data certa.

5.1. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.

5.2. Innanzitutto, con riguardo all’omesso esame documentale valgono i rilievi già svolti al punto 4.4., cui si rinvia.

5.3. In secondo luogo, la censura riguardante la mancanza del doc. 11/A nel fascicolo di parte integra un’ipotesi di vizio revocatorio non correttamente denunziato, mentre quella afferente la fideiussione rilasciata in favore del Banco di Sicilia è priva di autosufficienza e di decisività, in quanto formulata senza rispettare i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile ratione temporis) che, ai fini dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onera il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis, Cass. 27415/2018).

5.4. La censura sulla mancanza di data certa è invece inammissibile poichè non coglie la relativa ratio decidendi, avendo il tribunale in realtà affermato che “la data certa dei contratti bancari deriva dalla loro produzione nel procedimento monitorio” (v. pag. 6 del decreto), ritenendo invece inidonea la relativa documentazione per la diversa e condivisibile ragione della mancanza di “copia integrale degli estratti conto dall’inizio del rapporto alla sua cessazione”.

6. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 1362,1362,1988 e 2697 c.c., “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”; in concreto, parte ricorrente contesta l’interpretazione data dal tribunale alla missiva del 23 marzo 2011, insistendo nel volervi ravvisare un riconoscimento di debito da parte del correntista.

6.1. Il motivo è inammissibile poichè, senza censurare in diritto i canoni ermeneutici adottati dal tribunale (la cui interpretazione, in termini di mera offerta a titolo transattivo, risulta peraltro adeguatamente motivata), si risolve in una censura di merito, volta ad ottenere una differente ricostruzione delle risultanze istruttorie, che non è consentita in sede di legittimità, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex plurimis, Cass. Sez. U, 7931/2013, 24148/2013; Cass. 19547/2017, 16056/2016, 14233/2015, 962/2015, 26860/2014, 17097/2010).

6.2. In altri termini il giudice di merito, “nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (ex multis, Cass. Sez. U, 10313/06; Cass. 24155/2017).

6.3. In ogni caso, per quanto risulta dagli atti, il testo del documento in questione fa riferimento – ai fini della formulazione di una proposta transattiva – ad una serie di atti extratestuali non univocamente precisati, prestandosi perciò ad una pluralità di interpretazioni, sicchè la stessa denuncia dell’errore ermeneutico, per renderlo decisivo, avrebbe dovuto quantomeno individuare con esattezza quali fossero gli atti implicati, a pena di inammissibilità.

7. Il quarto motivo prospetta l’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie formulate – con specifico riguardo alla richiesta di c.t.u. tecnico-contabile – in uno alla violazione degli artt. 191 c.p.c. e segg. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost..

7.1. La censura, per come formulata, è inammissibile.

7.2. Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui va data continuità, “qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass. 1271/2018, 23194/2017). E’ quindi necessario che “la prova non ammessa, ovvero non esaminata in concreto, sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi del tutto priva di fondamento” (Cass. 24787/2016; cfr. Cass. 5377/2011, 4369/2009, 11457/2007, 3075/2006).

7.3. Anche di recente (Cass. 251/2018) è stato ribadito che “la doglianza che lamenta la mancata ammissione di mezzi istruttori ed il mancato esercizio dei poteri officiosi è sussumibile nell’ambito del vizio di motivazione, di cui deve avere forma e sostanza (Cass. n. 16997 del 2002; Cass. n. 15633 del 2003) e può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione su di un fatto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011)”.

7.4. Con particolare riguardo allo strumento della c.t.u., è stato altresì chiarito che “il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità; tuttavia, giusta la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è consentito denunciare in Cassazione, oltre all’anomalia motivazionale, solo il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo. Ne consegue che il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il “come” ed il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività” (Cass. 7472/2017; conf. Cass. 4504/2017 sull’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.).

8. Con il quinto motivo si lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda formulata in via subordinata di “ammissione del credito così come ricalcolato partendo dal saldo 0 (zero) risultante dalla data dell’estratto di c/c più risalente prodotto dalla Banca con il ricorso per ingiunzione”.

8.1. Anche questa censura è inammissibile perchè, nella sua lapidaria illustrazione, è del tutto generica, mancando di qualsivoglia riferimento processuale circa la formulazione di detta domanda subordinata (di cui non è traccia nel decreto impugnato).

9. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 17.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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