Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29252 del 22/12/2020

Cassazione civile sez. II, 22/12/2020, (ud. 18/11/2020, dep. 22/12/2020), n.29252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15043/2016 proposto da:

CRIMAR SRL, elettivamente domiciliata in Roma, via Ettore Pais 12,

presso lo studio dell’avvocato Gaetano Antonio Ventre, rappresentato

e difeso dagli avvocati GIANFRANCO MARINAI, SIMONE MARINAI;

– ricorrenti –

contro

B.A., R.L., RI.LA.;

– intimati –

e sul ricorso 176162016 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in Roma, via della Balduina 7,

presso lo studio dell’avvocato Antonio Fricchione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Filippo Fatticcioni;

– ricorrenti –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Rasella 6,

presso lo studio dell’avvocato Giorgio Santoro, rappresentato e

difeso dall’avvocato Anastasia Giglio;

– controricorrente –

CRIMAR SRL, RI.LA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 436/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito l’Avvocato Cammarano, su delega, per B..

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.A. è coniuge separato di R.P., deceduto il (OMISSIS), R.P. ha istituito con testamento olografo erede universale il fratello R.L., il quale ha rinunciato all’eredità, che è stata poi accettata dalla discendente di lui Ri.La., subentrata per rappresentazione.

R.P. ha lasciato, oltre al coniuge, anche la madre Ba.Ma..

B.A. ha proposto dinanzi al Tribunale di Pisa tre giudizi diversi, poi riuniti. In un primo procedimento (rg. 2917/2003), in relazione a due atti di compravendita immobiliare del 14 settembre 2001, intercorsi uno fra il defunto e il fratello R.L. e l’altro fra il defunto e la Crimar s.r.l., ha chiesto accertarsi che le compravendite simulavano donazioni lesive della legittima, da assoggettarsi a riduzione. In un secondo giudizio (rg. 3692/2004), con riferimento ai medesimi atti, ha chiesto accertarsene la simulazione assoluta, con la conseguenza che i beni, apparentemente alienati, facevano parte dell’asse ereditario di R.P.. In un terzo giudizio (rg. 3039/2006), la B., convenendo l’erede per rappresentazione Ri.La., ha chiesto la riduzione delle disposizioni testamentarie.

Il Tribunale di Pisa ha accertato la simulazione assoluta dei due atti di compravendita, dei quali ha dichiarato l’inefficacia; ha accolto la domanda di riduzione della disposizioni testamentaria; ha rigettato qualsiasi altra domanda.

La Corte d’appello di Firenze, investita delle impugnazioni di R.L. e della Crimar s.r.l., ha confermato la sentenza, in forza delle seguenti considerazioni di fatto e di diritto.

Il defunto ha istituito unico erede il fratello R.L., al quale è poi subentrata per rappresentazione, a seguito della rinuncia del chiamato, Ri.La.. Il coniuge B.A., in presenza di una disposizione testamentaria con la quale il defunto aveva disposto dell’intero asse in favore di altri, si è trovata nella condizione del legittimario preterito.

La corte d’appello ha riconosciuto che l’interesse del legittimario preterito a fare accertare che i beni, oggetto di una alienazione simulata, non sono mai usciti dal patrimonio del defunto, sussiste a prescindere dal contestuale esercizio dell’azione di riduzione contro l’erede testamentario. A giustificare l’interesse del legittimario rispetto a un siffatto accertamento è sufficiente la semplice facoltà di proporre l’azione di riduzione

Nello stesso tempo, la corte di merito ha osservato che, essendo il coniuge B.A. nella posizione dei legittimario preterito, l’esercizio dell’azione di simulazione non presupponeva la preventiva accettazione con beneficio di inventario; ha aggiunto che, pure a volere ipotizzare che la B. fosse erede, il requisito dell’accettazione beneficiata riguarda il caso dell’azione di simulazione (relativa) che sia preordinata all’esercizio dell’azione di riduzione, e non la diversa ipotesi, ravvisabile nel caso di specie, della simulazione assoluta o della simulazione relativa finalizzata a fare accertare la nullità del negozio dissimulato.

La corte d’appello ha negato che, nella causa promossa da B.A. per la riduzione della disposizione testamentaria, il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato nei confronti di R.L., subentrato alla madre Ba.Ma. che aveva rinunciato all’eredità del figlio R.P.. Essa ha osservato che la madre del de cuius, anch’essa esclusa dalla successione per effetto del testamento, non era nella condizione di rinunciare all’eredità, potendo solamente agire in riduzione contro l’erede istituita. Ad ogni modo l’eventuale vizio di contraddittorio era stato sanato dalla riunione dei procedimenti.

Infine, la corte d’appello: a) ha rigettato la domanda di R.L., di rimborso delle spese, che costui assumeva di avere sostenuto anche nell’interesse del defunto, per far fronte agli obblighi tributari conseguenti all’apertura della successione di R.R.; b) ha rigettato ancora la domanda della Crimar, di ripetizione del prezzo pagato a seguito della vendita oggetto della supposta simulazione. Per la cassazione della sentenza R.L. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi; ha proposto distinto ricorso anche Crimar s.r.l. affidato a cinque motivi.

B.A. ha resistito con controricorso al solo ricorso proposto da R.L..

Ri.La. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A) 1. Il primo motivo del ricorso di R.L. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100,102,112,274 c.p.c., artt. 564,540,546,553 c.c. e segg., in relazione all’art. 360, n. 3.

Si sostiene che i giudizi riuniti avevano conservato la loro autonomia. Da qui la necessità di una verifica analitica delle condizioni delle rispettive azioni, riferita a ciascuno dei giudizi riuniti. Sulla base di tale verifica la corte d’appello avrebbe dovuto accorgersi:

a) che nel giudizio n. 2917 del 2003 fu proposta domanda di simulazione assoluta e in tale giudizio la B. si dichiarò erede ab intestato;

b) che l’azione volta a fare accertare la simulazione non era stata preceduta dall’accettazione con beneficio di inventario, nonostante l’azione fosse stata proposta contro soggetto non coerede;

c) che l’azione di simulazione era stata proposta disgiuntamente dall’azione di riduzione contro l’erede testamentario, derivando da ciò, nel giudizio nel quale l’azione fu autonomamente proposta, il difetto di interesse all’accertamento della simulazione;

d) che il relictum era capiente e non era stato sostanzialmente intaccato dagli atti dispositivi impugnati;

e) che sussisteva difetto di contraddittorio nel giudizio intrapreso per la riduzione della disposizione testamentaria contro Ri.La.. Infatti, l’azione di riduzione doveva essere proposta anche contro l’attuale ricorrente, il quale aveva rinunciato ai diritti che gli derivavano in proprio dal testamento, non a quelli che gli derivavano dalla madre Ba.Ma., la quale aveva rinunciato all’eredità di R.P., proprio al fine di consentire il subentro per rappresentazione del figlio L., attuale ricorrente.

2. Il motivo è complessivamente infondato in tutte le sue articolazioni.

E’ stato sostenuto che l’onere dell’accettazione beneficiata, imposto dall’art. 564 c.c., al legittimario che voglia far ridurre donazioni o legati fatti a persone non chiamate come coeredi, si collega all’esigenza di evitare che l’azione di riduzione venga strumentalizzata per scopi diversi da quelli che gli sono naturali. Nell’art. 557 c.c., comma 3, ultimo inciso, il legislatore ha sancito che i creditori ereditari non possono chiedere la riduzione nè profittarne. Il legislatore deve avere considerato che non si giustificava il sacrificio dei terzi, quanto il vantaggio conseguente sarebbe andato non ai legittimari, ma ai creditori del defunto. Questa sola eventualità è stata ritenuta sufficiente dal legislatore per negare l’azione di riduzione ai legittimari, che non hanno accettato con beneficio di inventario e sono diventati perciò personalmente responsabili, con tutti i loro beni, verso i creditori del defunto.

Secondo tale tesi il requisito prescritto dall’art. 564 c.c., si collega all’effetto principale del beneficio di inventario: ex art. 590 c.c., comma 2, n. 2, l’erede beneficiato risponde dei debiti ereditari e dei legati non solo intra vires hereditatis, e cioè non oltre il valore dei beni a lui pervenuti a titolo di successione, ma ne risponde altresì esclusivamente cum viribus hereditatis, con esclusione cioè della responsabilità patrimoniale in ordine a tutti gli altri suoi beni, che i creditori ereditari e i legatari non possono aggredire (Cass. n. 27364/2016; n. 6488/2007; n. 11084/1993). Si precisa che la limitazione di responsabilità assume rilievo già in fase antecedente l’esecuzione forzata, precludendo ogni misura anche cautelare sui beni propri dell’erede (Cass. n. 5641/1993). In questo ambito, quando si parla di “beni propri” dell’erede, sottratti alla responsabilità patrimoniale per i debiti ereditari e per i legati, bisogna intendere i beni diversi da quelli a lui provenienti dalla successione (art. 497 c.c., comma 1; art. 512 c.c., comma 3). L’accettazione beneficiata, mezzo necessario per evitare la responsabilità personale dell’erede e perciò per evitare che egli risponda verso i creditori del defunto con i beni conseguiti mercè l’azione di riduzione, è stata perciò elevata a condizione di ammissibilità dell’azione.

Nella ricerca della ratio dell’art. 564 c.c., è stato sostenuto da altri che non si potrebbe prescindere dal requisito dell’accettazione beneficiata perchè sussiste contrasto logico insanabile fra responsabilità illimitata e azione di riduzione: e non solo per i legati, che sono pesi dell’eredità assimilabili ai debiti ereditari, ma anche per le donazioni, in quanto l’erede puro e semplice, subentrando nella posizione del defunto, deve rispettare integralmente gli effetti degli atti compiuti da quest’ultimo. Secondo ancora una diversa tesi la legge richiede l’accettazione con beneficio di inventario, per la sola ragione di garantire che il legittimario compili l’inventario e dia modo a tutti gli interessati di conoscere la consistenza dell’asse ereditario e di salvaguardare gli interessi dei donatari e legatari, i quali, se una parte dell’attivo fosse loro occultata, correrebbero il rischio di subire una riduzione non giustificata.

In ogni caso, qualunque sia la spiegazione più razionale e plausibile del requisito in esame (in argomento Cass. n. 18068/2012; n. 19527/2005), è certo che l’art. 564 c.c., si riferisce al legittimario chiamato all’eredità, per legge o per testamento, non al legittimario pretermesso, il quale è esonerato dal dover far precedere l’azione di riduzione, anche intentata nei confronti del terzo donatario o legatario, dalla previa accettazione beneficiata ovvero dalla sola redazione dell’inventario (Cass. n. 25441/2017; n. 12496/2007).

Nello stesso tempo deve rimarcarsi che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la carenza del requisito dell’accettazione beneficiata, previsto dall’art. 564 c.c., interferisce con la sola azione di simulazione relativa, e sempre che questa sia stata proposta dal legittimario in funzione esclusivamente strumentale rispetto all’esercizio dell’azione di riduzione della liberalità dissimulata (Cass. n. 1954/1973; conf. n. 12317/2019). Diversamente, l’azione volta a fare accertare la simulazione assoluta delle alienazioni compiute dal defunto è sempre svincolata dal requisito della preventiva accettazione con beneficio di inventario, anche quando sia proposta dal legittimario chiamato all’eredità per legge o per testamento (Cass. n. 30079/2018; n. 20971/2018; n. 4400/2011; n. 10262/2003). Infatti, una tale domanda, essendo diretta ad accertare che i beni non sono mai usciti dal patrimonio del de cuius, non è preordinata, nemmeno in via eventuale, all’esercizio dell’azione di riduzione, ma semmai a quella di petizione, al fine del recupero all’asse dei beni oggetto delle alienazioni simulate (Cass. n. 12317/2019).

In rapporto alle considerazioni di cui sopra, la sentenza impugnata, nella parte in cui la corte d’appello ha disatteso le considerazioni dei simulati acquirenti, fondate sul difetto dell’accettazione beneficiata, è in tutto e per tutto immune dalle censure mosse dal ricorrente. Sono di conseguenza infondati i profili di censura supra sub a), b).

3. Con il motivo in esame si propone la questione se il legittimario pretermesso, per fare accertare la simulazione assoluta, debba preventivamente agire in riduzione contro l’erede testamentario, al fine di procurarsi il titolo di erede. La questione, di indubbia rilevanza teorica (Cass. n. 1105/1946), è tuttavia del tutto irrilevante nel caso di specie, in considerazione del successivo svolgimento degli eventi. Infatti, l’azione di riduzione contro l’erede testamentaria è stata proposta dalla B. in autonomo giudizio, che è stato poi riunito a quello intrapreso per l’accertamento della simulazione assoluta. Al momento della decisione sussisteva quindi la relativa condizione (interesse ad agire) (Cass. n. 2406/1983). Nello stesso tempo la riunione dei giudizi ha sanato l’eventuale difetto di contraddittorio derivante dalla mancata citazione dell’erede istituita nel giudizio instaurato per l’accertamento della simulazione assoluta (Cass. n. 2910/2002; n. 17592/2005; n. 24590/2019).

Anche la censura sub c), pertanto, è infondata.

4. E’ infondata anche la censura sub d), con la quale il ricorrente si duole per avere la corte di merito ammesso la prova per presunzioni della simulazione in assenza di pregiudizio, essendo i beni relitti sufficienti a garantire il diritto del legittimario, pure a volere conteggiare nell’asse i beni oggetto degli atti denunciati di simulazione.

Certo, se indipendentemente dall’accertamento della simulazione, il legittimario trova nel relictum una quantità di beni sufficienti per completare la legittima (calcolata anche sui beni che si assumono simulatamente alienati), l’azione di simulazione, essendo diretta a rivendicare la disponibile, può essere da lui promossa esclusivamente in veste di erede, con i limiti di prova di cui agli artt. 2721 e segg. (Cass. n. 3934/1957). Senza che sia necessario approfondire la questione, è qui sufficiente sottolineare che essa riguarda l’ipotesi dell’azione di simulazione assoluta (o di simulazione relativa di donazione nulla), proposta dal legittimario che sia contemporaneamente erede. Solo in questo caso, infatti, può sorgere il dubbio se l’azione sia stata proposta dal legittimario nella veste di erede, al fine del recupero all’asse del bene oggetto dell’atto simulato, o nella veste di legittimario, al fine di preservare il conseguimento della quota di riserva (Cass. n. 15510/2018; n. 24134/2009).

Un dubbio del genere non ha ragion d’essere nel caso della preterizione. Il legittimario preterito, anche attraverso l’azione di simulazione assoluta, non ha (e non può avere) altra finalità se non il conseguimento della legittima nella sua esatta consistenza, con esclusione di qualsiasi ulteriore concorso sulla disponibile. Di contro è evidente il pregiudizio che egli subirebbe se la legittima gli fosse riconosciuta su un asse che non include i beni oggetto delle alienazioni simulate compiute dal defunto.

Consegue da quanto sopra che il ricorrente, con il profilo di censura sub d), ha sollevato un problema inesistente nel caso di specie.

5. E’ infine palesemente infondato anche il profilo di censura sub e). Come giustamente rilevato dalla corte d’appello, la madre del de cuius Ba.Ma. si è trovata nella condizione di legittimaria preterita; in quanto tale, come ampiamente sopra chiarito, non era pertanto nella condizione nè di accettare nè di rinunciare all’eredità (Cass. n. 25441/2017; 3389/2016; n. 28632/2011; n. 10775/1996). La madre del defunto, al pari del coniuge superstite, aveva a sua volta il diritto di agire in riduzione contro l’erede istituita. Fermo restando che il riconoscimento di tale diritto non imponeva la chiamata della Ba.Ma. nella causa promossa dal coniuge contro la Ri.La.. E’ principio pacifico che l’azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, nè dal lato attivo, nè dal lato passivo (Cass. n. 8529/1996; n. 2174/1998; n. 2714/2005; 27770/2011; cfr. 17926/2020 in motivazione).

Anche in questo caso la corte d’appello ha applicato principi consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte.

Solo per completezza di esame si osserva che la rinuncia del genitore comporta la vocazione degli ascendenti ulteriori, se ci sono (cfr. art. 571 c.c., comma 3). Altrimenti si determina, ai sensi dell’art. 522 c.c., una nuova fattispecie di concorso.

6. Il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. ed artt. 1417,564 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3.

La B. aveva agito nella qualità di erede, senza proporre domanda di riduzione e avendo accettato l’eredità.

Il motivo è infondato. Gli aspetti oggetto di censura sono stati ampiamente confutati nell’esame del primo motivo e non occorre aggiungere altro.

7. Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 1414 c.c., comma 2, artt. 1417,1418,1367,1472,2927 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La corte di merito, al fine dell’accertamento della simulazione assoluta della vendita, ha attribuito rilevanza alla sproporzione fra il prezzo indicato negli atti e il valore dei beni. Tale circostanza avrebbe giustificato non il riscontro della simulazione assoluta, ma della diversa fattispecie del negotium mixtum cum donatione, valido anche in assenza del requisito di forma imposto per la donazione.

Il ricorrente si duole inoltre perchè la corte d’appello, al fine di stabilire il valore della nuda proprietà, aveva tenuto conto delle condizioni di salute dell’usufruttuario, così assimilando il contratto a un contratto aleatorio, mentre avrebbe dovuto applicare le tabelle del D.Lgs. n. 346 del 1990. Si censura poi la scelta del primo giudice, confermata dalla corte d’appello, di affiancare al tecnico incaricato per la stima un medico scelto fra coloro che avevano avuto in cura il R., il quale aveva tutto l’interesse a dichiarare che il paziente non poteva sperare che in pochi giorni di vita.

Dalla relazione del sanitario incaricato dall’attuale ricorrente (Dott.ssa C.) risultava che il R.P. era lucido e che erano stati programmati almeno tre cicli di chemio terapia, il che contraddiceva la prognosi di una fine prossima. Risultava quindi evidente l’errore commesso dalla corte d’appello, per avere operato la valutazione dell’usufrutto sull’aspettativa di vita ex post invece che ex ante.

8. Il motivo è infondato.

In ordine alla possibilità di ravvisare nel contratto la fattispecie del negozio misto, trattasi di aspetto che non è considerato dalla corte d’appello. Nel silenzio della sentenza su questo punto il ricorrente avrebbe dovuto allegare, sotto pena di inammissibilità della censura, l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, posto che “i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (Cass. n. 20694/2018; n. 15430/2018).

Si ricorda, ad ogni modo, che la valutazione del giudice di merito, per avere considerato il divario di valore quale indice della simulazione assoluta del negozio piuttosto che nella prospettiva del negotium mixtum cum donatione, integra apprezzamento di merito incensurabile in cassazione (cfr. Cass. n. 469/1970).

In quanto al resto, la censura ora in esame, sotto la veste della violazione di legge, si dirige contro l’apprezzamento dei fatti da parte della corte d’appello, là dove questa ha riconosciuto l’esistenza di un complessivo quadro indiziario tale da disvelare il carattere simulato del contratto.

Fatto è, però, che le considerazioni della corte d’appello, fondate sulle condizioni di salute di R.P. e sulla prognosi infausta, non rilevano errori logici, nè giuridici. Esse sono perciò incensurabili in questa sede. D’altronde, è errata la premessa, che costituisce il substrato teorico della censura, che la valutazione dell’usufrutto deve essere fatta in base ai criteri stabiliti dalla legislazione fiscale. Questi sono giustificati solo per le speciali finalità di queste leggi, le quali esigono facilità e rapidità di applicazione. Ai fini del diritto civile il valore dell’usufrutto deve essere determinato, seppure con valutazione probabilistica, in modo obiettivo sulla base di coefficienti rapportati alla vita dell’usufruttuario, integrandone le risultanze con un esame delle condizioni personali del titolare (Cass. n. 167/1976). L’obiettività della valutazione esclude che il contratto si trasformi in un contratto aleatorio (Cass. n. 17399/2004).

9. Il quarto motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 2, ed artt. 1298 e 1299 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La censura si dirige contro il rigetto della domanda proposta dall’attuale ricorrente, di rimborso delle spese, che egli avrebbe sostenuto anche nell’interesse del defunto, per far fronte agli obblighi tributari conseguenti all’apertura della successione di R.R.. Si sostiene che le produzioni documentali, fatte in primo grado, “tolgono ogni possibile dubbio sul punto, anche con riferimento al quantum dell’obbligazione tributaria adempiuta interamente da R.L.”, dovendosi poi tenere conto dell’assenza di contestazioni, da parte della B., in ordine all’an e al quantum dell’obbligazione in discussione.

10. Il motivo è infondato. La corte d’appello, nell’esaminare la relativa censura mossa contro la sentenza del tribunale, l’ha rigettata, ritenendo che non fosse stata censurata l’affermazione del primo giudice “circa il difetto di prova del fatto che l’obbligo tributario gravasse anche su R.P.”; secondo il tribunale non constava che nel testamento di R.R. “vi fosse una qualche attribuzione patrimoniale in favore di R.P.”.

Il ricorrente si duole perchè la corte di merito ha ritenuto sfornita di prova una circostanza che invece risultava positivamente dagli atti di causa. In questi termini, però, è evidente che la censura, formulata in modo inammissibilmente generico, attiene alla ricostruzione del fatto, che è attualmente censurabile in cassazione nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, ossia mediante la deduzione dell’omesso esame di un fatto decisivo, e cioè di un fatto di tale importanza, ai fini del giudizio, che se esaminato avrebbe potuto condurre a diversa soluzione della controversia. La Suprema Corte, nel chiarire il significato della nuova disposizione, ha precisato che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., S.U., n. 8053/2014).

Ciò posto, è facile allora rilevare che, valutata da questo punto di vista, la censura costituisce petizione di principio, non deducendosi alcunchè di idoneo a contrastare la conclusione del giudice d’appello.

10 Il ricorso di R.L., pertanto, deve essere interamente rigettato, con onere di spese.

B) 1. Il primo motivo del ricorso della Crimar s.r.l. denuncia -violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, art. 1417 c.c. e art. 2729 c.c., comma 2. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto”.

La B., ai fini della prova della simulazione, non poteva beneficiare delle agevolazioni probatorie riconosciute in favore del legittimario, perchè queste competono nel solo caso in cui sia stata in concreto esperita anche l’azione di riduzione.

2. Il motivo propone censure del tutto analoghe a quelle fatte valere da R.L.. Esso è perciò infondato per le medesime ragioni già sopra indicate, senza che occorra aggiungere altro.

3. Il secondo motivo denuncia “Violazione del principio del contraddittorio, per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per non avere consentito la nomina di un CTP medico per partecipare all’attività svolta dall’esperto medico di cui si è avvalso il CTU. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla illogicità e/o intrinseca contraddittorietà della motivazione (art. 132 c.p.c. n. 4, art. 194 c.p.c., art. 201 c.p.c.). Nullità del procedimento. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In grado d’appello la Crimar s.r.l. aveva dedotto la nullità della consulenza tecnica d’ufficio per la violazione del principio del contraddittorio. Il consulente tecnico d’ufficio era stato autorizzato dal giudice istruttore ad avvalersi della collaborazione di un medico esperto al fine di valutare l’aspettativa di vita del R.P. al momento della conclusione del rogito notarile del 14 settembre 2001. La ricorrente si duole perchè alle parti non è stato consentito di nominare consulenti tecnici medici che potessero agire in contraddittorio con l’esperto medico nominato dal consulente tecnico d’ufficio. Si osserva ancora da parte della ricorrente che la corte d’appello, al fine di svalutare la rilevanza della violazione del contraddittorio, ha supposto che la diagnosi dell’ausiliario nominato dal consulente tecnico, sulla natura della patologia di cui era affetto il R. e sulla esiguità dell’aspettativa di vita, trovasse conferma nel parere medico prodotto dalla attuale ricorrente. Al contrario il suddetto parere del Dott. A., prodotto dalla Crimar, non affrontava in nessun punto la questione concernente l’aspettativa di vita, essendo stata redatta al solo fine di stabilire se il R.P. al momento della vendita fosse capace di intendere e di volere.

La corte d’appello, in considerazione della decisiva incidenza della consulenza tecnica sulla decisione, avrebbe dovuto pronunciarsi sull’eccepito difetto di contraddittorio.

4. Il motivo è infondato.

La facoltà concessa al consulente tecnico di avvalersi di ausiliari non costituisce conferimento di incarico ulteriore e distinto. Essendo la stessa facoltà priva di autonomia rispetto al conferimento dell’incarico (cfr. Cass. n. 26875/2017; n. 5204/2017), non è autonomamente applicabile l’art. 201 c.p.c., che riconosce il diritto delle parti, una volta che il giudice abbia nominato il consulente, di nominare propri consulenti.

Risulta peraltro che il giudice di primo grado, nell’autorizzare il consulente d’ufficio ad avvalersi della collaborazione di un esperto medico, aveva accordato alle parti la facoltà di produrre il parere di un medico di loro fiducia. In quanto alla denuncia dell’errata considerazione del parere medico prodotto dalla Crimar, la censura si riferisce a un documento del quale non si riporta il contenuto. Non si comprende quindi quale sia stato l’errore commesso dalla corte di merito per avere ravvisato in esso una conferma della patologia e della prognosi infausta a breve termine.

D’altronde il documento di parte, al quale inerisce la censura, è privo di decisività. La corte d’appello ne richiama il contenuto al solo fine di ulteriormente corroborare una decisione fondata autonomamente sul complesso degli altri elementi acquisiti al giudizio.

5. Il terzo motivo denuncia – violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto per gli effetti dell’art. 360, nn. 3 e 5, in relazione alla illogicità manifesta e intrinseca contraddittorietà della motivazione (art. 132 c.p.c., n. 4) in ordine alla mancata considerazione dei rilievi di carattere metodologico mossi nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha affermato che la Crimar, con riferimento alla stima della nuda proprietà ceduta con il contratto di compravendita del 14 settembre 2001, si fosse limitata ad una generica critica metodologica senza addurre alcun dato di segno contrario.

Diversamente, aveva costituito oggetto di specifica censura, da parte dell’attuale ricorrente, la scelta del consulente tecnico d’ufficio di partire dal canone di locazione ritraibile dalla concessione in godimento dell’immobile. Si dovevano invece utilizzare diversi criteri di stima, che avrebbero consentito di pervenire a una valutazione più aderente alla realtà. Erano poi state censurate anche altre scelte metodologiche operate dal consulente tecnico, che avevano reso inattendibile l’esito finale di stima.

6. Il motivo è infondato.

In relazione all’accertamento della simulazione assoluta delle vendite la corte d’appello si esprime in questi termini: “Giova altresì rilevare che il Tribunale ha fondato il suo convincimento sulla base di un complesso ed articolato quadro indiziario sicchè ove, per ipotesi, dovesse essere disatteso uno degli elementi indiziari in primo grado valorizzati, non necessariamente dovrebbe essere esclusa la simulazione, ove sufficienti gli altri”. In particolare i giudici di merito, dopo avere esaminato una pluralità di elementi ritenuti sintomatici della simulazione con riferimento alla vendita intercorsa fra il defunto e il fratello R.L., hanno posto l’accento, in termini generali, sul brevissimo lasso temporale fra la stipulazione dei contratti ((OMISSIS)) e il decesso del venditore ((OMISSIS)), e sulle gravissime condizioni di salute di R.P., che rendevano inverosimile, in quel momento, un suo interesse a modificare la consistenza del suo patrimonio. Con specifico riferimento al contratto intercorso fra R.P. e la Crimar s.r.l. (sempre del (OMISSIS)), la corte di merito ha aggiunto che la stessa Crimar, “che pur ha puntigliosamente criticato la sentenza, nulla ha potuto dire di specifico in ordine alla vicinanza fra la data dell’atto e la morte del venditore, in ordine al presumibile interesse del venditore a vendere in quel momento (era (…) malato terminale), in ordine al fatto che non risultavano risorse liquide della Crimar idonee a far fronte al prezzo (nessun contratto di mutuo era stato prodotto)”.

Così identificate le ragioni del decidere, è inevitabile dedurne che la censura, attraverso la denuncia della violazione del criterio usato per la stima, ha la finalità di attaccare la valutazione degli elementi in base ai quali i giudici di merito hanno dichiarato la simulazione assoluta della compravendita intercorsa fra il defunto e la Crimar s.r.l..

In questo senso la censura investe un apprezzamento in fatto, il quale, in quanto adeguatamente e logicamente motivato, è incensurabile in questa sede. Si ricorda ancora che, ai fini della stima di un bene, la scelta del criterio è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione (Cass. n. 18546/2017).

7. Il quarto motivo denuncia “L’infondatezza dell’accertamento della simulazione. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 1414 c.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

La sentenza è oggetto di censura laddove si afferma che non sarebbe stata data la prova del pagamento del prezzo della vendita da parte della Crimar, nonostante fosse fatto accertato che furono utilizzati a questo scopo assegni circolari, i quali furono poi negoziati, tant’è vero che la banca è stata condannata al risarcimento del danno in favore della B. “per negligenza nella negoziazione di detti assegni”.

La corte d’appello ha dato rilievo al fatto che nei conti correnti del R. non è stato reperito l’importo corrispondente al prezzo della compravendita, mentre tale circostanza, una volta constatata la consegna degli assegni al creditore, non poteva elidere l’avvenuto pagamento.

8. Il motivo è infondato.

Al riguardo la corte d’appello si esprime in questi termini: “il Tribunale ha rilevato che nei conti correnti di R.P. non è stato reperito l’importo corrispondente al prezzo della pretesa compravendita, ed ha fatto riferimento a una sentenza del Tribunale di Lucca (n. 807/2009) con la quale la Cassa di Risparmio di Pisa Lucca e Livorno è stata condannata al risarcimento del danno “per negligenza nella negoziazione di detti assegni”. Poichè non sono in atti i documenti prodotti dalla B. non è dato conoscere i dettagli di tale controversia, ma qui è sufficiente rilevare che l’accipiens R.P. poteva al massimo apporre la firma di girata e, ricoverato in ospedale in gravissime condizioni di salute, non poteva certo attivarsi per far sparire il denaro, come ipotizzato dalla Crimar. Per altro nulla tale appellante ha potuto replicare ad un ulteriore argomento, evidenziato dal tribunale, attinente al fatto che l’atto è stato sottoscritto per la Crimar da G.R., nominato legale rappresentante il giorno prima dell’atto stesso, mentre la precedente rappresentante ( C.L.), sentita come teste, aveva riferito di non essere stata a conoscenza di trattative relative a tale importante operazione”.

Rispetto a tali considerazioni, la ricorrente ripropone la tesi che gli assegni furono realmente consegnati, ma è chiaro che la semplice consegna degli assegni non si pone, di per sè, in contraddizione con l’ipotesi della simulazione assoluta, recepita dalla corte d’appello, che ha dato congrua e adeguata motivazione della decisione adottata.

9. Il quinto motivo denuncia “L’infondatezza della reiezione della domanda di ripetizione delle somme pagate dalla Crimar al R.P. per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2033 c.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e che dovrà essere censurato dalla Corte intestata”.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha negato alla Crimar la ripetizione del prezzo della vendita.

10. Il motivo è infondato, essendo giuridicamente corretta la considerazione della corte di merito che, al fine di giustificare l’insorgenza di un obbligo di restituzione in capo al venditore derivante dall’accertamento della simulazione assoluta, non era sufficiente la prova della consegna degli assegni, ma occorreva che fosse dimostrato che il venditore aveva concretamente acquistato la disponibilità giuridica della somma di denaro (cfr. Cass., S.U., n. 26617/2007; n. 24402/2010). Neanche ricorre il vizio di omesso esame adombrato nel motivo in relazione al fatto che la Cassa di Risparmio di Pisa era stata condannata al risarcimento del danno in favore della B. per negligente negoziazione dei titoli. Infatti, la diversa vicenda giudiziaria è stata considerata dalla Corte d’appello, che l’ha ritenuta non sufficiente ai fini della prova che gli assegni andarono effettivamente a beneficio del R..

Tale valutazione, integrando apprezzamento di fatto, è incensurabile in questa sede.

11. In conclusione il ricorso della Crimar deve essere rigettato. Nulla sulle spese non avendo la B. resistito con controricorso.

C) Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti Crimar e R.L., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

rigetta i ricorsi; condanna il ricorrente R.L., al pagamento, in favore della controricorrente B.A., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020

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