Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29251 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 14/11/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 14/11/2018), n.29251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 3 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE STEFANO Franco – Presidente – Dott. RUBINO Lina – Consigliere – Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere – Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere – Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere – ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso 11828-2017 proposto da: BANCA CARIGE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARNO 88, presso lo studio dell’avvocato CAMILLO UNGARI TRASATTI, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO NICOLA CASSINELLI; – ricorrente – contro CMN s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore C.G.; – intimata – avverso la sentenza n. 416/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/03/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/10/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Genova emise, dietro richiesta della Banca Carige s.p.a., un decreto ingiuntivo nei confronti della C.M.N. s.r.l. in liquidazione, intimando il pagamento della somma di Euro 227.290,07 in relazione ad un contratto di leasing immobiliare.

Il decreto fu opposto dalla C.M.N. s.r.l. in liquidazione, la quale in via riconvenzionale chiese che la Banca intimante fosse condannata, ai sensi dell’art. 1526 c.c., alla restituzione degli importi già riscossi, previa deduzione di un equo compenso conseguente all’utilizzo del bene.

Nel giudizio si costituì la Banca Carige, chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale, previo espletamento di una c.t.u. per la determinazione del valore locatizio dell’immobile, accolse l’opposizione della società ingiunta, revocò il decreto ingiuntivo, accolse la domanda riconvenzionale e condannò la Banca Carige al rimborso, in favore della C.M.N. s.r.l. in liquidazione, della somma di Euro 150.567,57, oltre interessi e con il carico delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla Banca soccombente e la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 30 marzo 2017, ha rigettato l’appello, ha confermato la decisione di primo grado ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Genova propone ricorso la Banca Carige s.p.a. con atto affidato ad un solo motivo.

La C.M.N. s.r.l. in liquidazione non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e la società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4), nullità della sentenza in quanto pronunciata nei confronti di un soggetto inesistente, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c. e degli artt. 75,82,83 e 156 c.p.c., per non avere il giudice di merito riconosciuto che l’intervenuta cancellazione della C.M.N. s.r.l. in liquidazione ne aveva determinato l’estinzione e, di conseguenza, la perdita della capacità di stare in giudizio.

Sostiene la Banca ricorrente che la C.M.N. s.r.l. in liquidazione è stata cancellata dal registro delle imprese in data 1° febbraio 2008, per cui la sentenza impugnata sarebbe nulla, inesistente o comunque inutiliter data, siccome pronunciata nei confronti di un soggetto inesistente già da prima del momento in cui il giudizio fu incardinato.

2. Giova innanzitutto premettere che non è in discussione la scansione temporale di alcuni fatti decisivi; in particolare, dal controllo degli atti processuali, ai quali questa Corte può accedere in considerazione del vizio prospettato, risulta che la C.M.N. s.r.l. in liquidazione fu effettivamente cancellata dal registro delle imprese in data 1° febbraio 2008, che il decreto ingiuntivo nei suoi confronti fu emesso in data 8 agosto 2008 e che l’opposizione al decreto fu proposta con atto di citazione notificato il 1 ottobre 2008.

2.1. La presente vicenda, quindi, ha avuto inizio in un momento successivo a quello in cui la società debitrice era stata cancellata dal registro delle imprese e in un’epoca ampiamente successiva all’entrata in vigore della riforma che ha modificato, tra gli altri, l’art. 2495 c.c.. Riguardo a detta norma le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 12 marzo 2013, n. 6070, hanno affermato, in continuità con la precedente sentenza 22 febbraio 2010, n. 4060, che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 L. fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso.

L’applicazione di questa giurisprudenza, alla quale l’odierno Collegio presta convinta adesione, rende necessario esaminare due problemi: da un lato, quello del momento in cui la questione della cancellazione è stata effettivamente posta, con conseguente ammissibilità o meno della produzione della documentazione attestante la cancellazione anche in sede di legittimità (art. 372 c.p.c.); dall’altro, quello della notifica dell’odierno ricorso, che la stessa parte ricorrente ha compiuto alla società in persona del liquidatore anzichè ai singoli soci. Effettivamente, appare in modo palese che l’odierna parte ricorrente ha tenuto un comportamento processuale, per così dire, ondivago, perchè ha preso per prima l’iniziativa al fine di ottenere il decreto ingiuntivo nei confronti di una società già cancellata, ha lasciato sullo sfondo il problema per i due gradi dei giudizi di merito (anche l’atto di appello contiene appena un cenno a questa circostanza, e comunque si conclude chiedendo la condanna al pagamento della somma portata dal decreto ingiuntivo) e l’ha poi fatto riemergere in questa sede, dopo che il giudizio di primo e di secondo grado avevano avuto un risultato per essa sfavorevole.

Ciò nonostante, la questione della produzione documentale è superabile, posto che la certificazione della cancellazione era stata già prodotta in sede di merito e che, comunque, sarebbe stata producibile anche in questa sede, trattandosi di documentazione riguardante, almeno potenzialmente, la nullità della sentenza impugnata (v. l’ordinanza 11 luglio 2014, n. 16036, e la sentenza 9 maggio 2016, n. 9334); quanto, invece, alla notifica dell’odierno ricorso alla persona fisica del liquidatore anzichè ai soci – come sarebbe dovuto avvenire alla luce della citata sentenza n. 6070 del 2013 – si tratta di una conseguenza che deriva dal fatto che il ricorso non poteva che essere notificato all’unico contraddittore esistente nel giudizio di appello, ossia il liquidatore, benchè di una società già cancellata.

2.2. Traendo le conclusioni del ragionamento svolto fin qui, risulta evidente che il motivo di ricorso è fondato e che la causa non avrebbe dovuto neppure essere intrapresa nei confronti della C.M.N. s.r.l. in liquidazione, dal momento che essa non era più esistente come soggetto di diritto già da prima che fosse emesso il decreto ingiuntivo. Nè i termini della questione mutano per il fatto che, revocato il decreto, il giudice di merito abbia accolto la domanda riconvenzionale della società opponente, posto che anche tale domanda traeva origine da un giudizio che non sarebbe neppure dovuto cominciare nei confronti di quel contraddittore ed era comunque proposta da un soggetto non più giuridicamente esistente.

3. In conclusione, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata senza rinvio, perchè la causa non poteva essere proposta.

A tale esito segue la necessità di liquidare le spese per i tre gradi di giudizio. In relazione alla particolarità della vicenda processuale ed al contenuto delle due pronunce di merito, entrambe sfavorevoli all’odierna parte ricorrente, appare opportuno disporre l’integrale compensazione di tutte le spese di giudizio, posto che la vicenda processuale ha avuto origine proprio da un’iniziativa della stessa Banca Carige ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e compensa integralmente le spese dei tre gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di Cassazione, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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