Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29247 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. I, 12/11/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 12/11/2019), n.29247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18484/2018 proposto da:

S.H., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso, per

procura in calce al ricorso, dall’avv. Maria Monica Bassan che

chiede di ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c.

maria.bassan.ordineavvocatipadova.it e al fax n. 049/8646524;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte di Cassazione,

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI VERONA – Sezione Padova;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2733/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n.

2733/2017, depositata il 28.11.2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Venezia confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da S.H. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. La Corte riferiva che il richiedente aveva dichiarato alla Commissione di essere fuggito dalla Nigeria, stato di provenienza, perchè appartenente al partito PDP, come pure lo erano stati il padre ed il fratello, uccisi dai sicari del partito contrapposto, denominato APC, e di essere stato ingiustamente ritenuto responsabile dell’uccisione del fratello di tale B.I., leader di tale partito avversario. Aveva altresì precisato di essere stato attinto da un colpo di arma da fuoco, ma, dopo essere stato ricoverato in ospedale, di essere riuscito a raggiungere la Libia. Interrogato dal giudice di primo grado su come fosse riuscito a sottrarsi ad un gruppo armato, essendo munito di solo machete, aveva riferito altresì che i sicari sarebbero stati messi in fuga dal suono delle sirene, per poi ripresentarsi presso la sua abitazione, in attesa del suo rientro.

3. Condivideva la valutazione del primo giudice in ordine alla non credibilità del racconto per la sua genericità e mancanza di coerenza e plausibilità.

4. Escludeva per tale motivo la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), mentre in relazione alla lettera c) argomentava che dal “Report by the UN Secretary General on developments in West Africa and THE Sahel states between lst January and 30th of lune 2017” non risultava nell’Edo State, situato a sud della Nigeria, l’esistenza di un conflitto armato a causa di una situazione di violenza indiscriminata. Nè era sufficiente il richiamo fatto dal richiedente alla possibilità di attacchi terroristici del gruppo armato di Boko Haram, non trattandosi di situazione attuale e tale da configurare un conflitto o guerriglia generalizzata.

5. Neppure ravvisava i presupposti per la protezione umanitaria, mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo ad individuare una situazione di vulnerabilità.

6. Per la cassazione della sentenza S.H. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui gli intimati non hanno opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Come primo motivo il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5, per la mancanza di una corretta valutazione della credibilità del richiedente. Lamenta che il giudice di merito non abbia applicato il principio dell’onere della prova attenuato e della sufficienza del carattere indiziario o collegato a fatti notori delle allegazioni del richiedente.

8. Come secondo motivo deduce l’omessa motivazione in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonchè omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla situazione esistente in Nigeria quale riferita anche dall’UNHCR 2013, e dal sito viaggiare sicuri che, facendo riferimento al report di Amnesty International del 2015/2016, ritengono attuale la minaccia terroristica dei (OMISSIS).

9. Come terzo motivo deduce l’omessa motivazione in punto di protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 e l’omessa valutazione della documentazione allegata. Lamenta che il giudice di merito non abbia valorizzato la situazione di vulnerabilità quale risultata dalla certificazione medica prodotta, che riferisce di un episodio auto lesivo attestante i problemi psichiatrici che avevano condotto il richiedente a tentare il suicidio, che consigliava un breve ricovero che tuttavia era stato rifiutato dal richiedente.

10. Il ricorso non è fondato.

Con riguardo al primo motivo, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

11. Nel caso, la Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata sulla contraddittorietà di quanto riferito, privo dei sia pur minimi dettagli che consentissero di ritenere veritiera la sua stessa appartenenza ad un partito osteggiato in modo violento dagli avversari – che sarebbe stata il motivo dell’applicazione del principio di non-refoulement – coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5).

12. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbe dunque dovuto essere dedotto in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

13. In relazione al secondo motivo, la Corte di merito ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sulla base delle risultanze di siti internazionali accreditati ed aggiornati. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato (travisamento di fatti decisivi) non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mentre le fonti richiamate dal richiedente, meno aggiornate rispetto a quelle consultate dal giudice territoriale, si limitano a ribadire il pericolo rappresentato dalla presenza del gruppo dei (OMISSIS), già valutato dal giudice territoriale come situazione che non appare di tale gravità da poter rientrare nella previsione normativa di riferimento.

14. In relazione al profilo che poi attiene alla protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (nel testo operante ratione temporis), occorre premettere che il ricorrente fa riferimento a documentazione medica che sarebbe stata prodotta in sede di merito ed ignorata da entrambi i giudici territoriali, senza indicare in quale momento processuale sarebbe stata prodotta, nè venendo il documento riprodotto nè allegato al ricorso, nè venendone indicata la collocazione in atti.

15. Il motivo è per tale parte inammissibile, in quanto costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione. Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. (Cass. n. 23675 del 18/10/2013, Cass. n. 4787 del 26/03/2012, Cass. n. 3664 del 21/02/2006).

16. In assenza della rituale deduzione di una situazione di vulnerabilità, la valutazione della Corte di merito va confermata, avendo questa Corte chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che non può essere riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

17. Segue coerente il rigetto del ricorso.

18. Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

19. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, non risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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