Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29235 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 21/12/2020), n.29235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 746-2020 proposto da:

U.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DANIELA VIGLIOTTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano c/o la

Prefettura UTG, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4608/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/11/2019 R.G.N. 418/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 4608 del 2019, ha respinto il gravame proposto da A.U., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato alla richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il ricorrente aveva dichiarato di essere cittadino nigeriano e di professare la fede cristiana cattolica; di avere frequentato la scuola elementare ma di non sapere nè leggere nè scrivere; di non essere sposato e di non avere figli; di avere perso i genitori in una inondazione del 2014 e che subito dopo gli zii paterni avevano reclamato l’eredità del padre che comprendeva alcuni beni immobili in Benin City; che, nonostante le intimidazioni subite, dirette a fargli consegnare i documenti relativi alla proprietà dei beni suddetti e dopo avere avvisato, inutilmente la polizia perchè un amico gli aveva riferito che quattro uomini lo cercavano, aveva deciso, su consiglio di un amico del padre, di lasciare il paese e di essere partito dalla Nigeria il 19.7.2015, arrivando in Italia il 24.12.2015.

3. La Corte di appello, a sostegno della propria decisione, ha rilevato, preliminarmente, che le dichiarazioni rese dal richiedente erano connotate da un sufficiente grado di coerenza, con particolare riferimento ai motivi dell’espatrio; che, trattandosi di una vicenda legata a dissidi familiari per motivi di eredità, la situazione era risolvibile attraverso l’intervento dei normali mezzi di tutela in patria; che non sussistevano, pertanto, i presupposti per concedere il riconoscimento dello status di rifugiato politico nè della protezione sussidiaria, in mancanza di elementi sufficienti a fondare il convincimento che il predetto, tornando in patria, potesse correre il rischio effettivo di subire un danno grave alla persona nella accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; che analogamente andava respinta la richiesta di protezione umanitaria perchè difettava l’esistenza di situazioni vulnerabili, in quanto le allegazioni poste alla base della domanda riguardavano vicende di natura personale legata alla resistenza del richiedente, rispetto al tentativo di essere privato dei beni che gli appartenevano; che, infine, era corretta la valutazione del primo giudice in ordine alla circostanza che la zona (Edo State), da cui proveniva A.U., non era interessata da conflitti armati interni o internazionali e che il ricorrente non aveva fornito prova di piena integrazione nel territorio italiano.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.U. a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis, comma 9 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di appello omesso di valutare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) non utilizzando alcuna informazione relativa alla situazione interna del paese di origine di esso richiedente, senza considerazione completa delle prove disponibili e senza corretto esercizio dei poteri officiosi.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis, comma 9 per avere la Corte di appello valutato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, in base ad informazioni soltanto generiche e parziali della situazione interna del paese di origine del richiedente, senza considerazione completa delle prove disponibili e senza corretto esercizio dei poteri officiosi.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del TU Immigrazione, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 per avere la Corte di appello rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria senza avere indagato se la vulnerabilità potesse discendere da una “effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali”, come affermato in sede di legittimità con la pronuncia n. 4455 del 2018.

5. Il primo ed il secondo motivo, per la loro interferenza, possono essere trattati congiuntamente.

6. Le doglianze in essi contenute, infatti, riguardanti l’omessa utilizzazione di informazioni relative alla situazione interna del Paese di origine del richiedente (Edo State – Nigeria), tanto ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria che di quella umanitaria, sono fondate.

7. La gravata sentenza ha escluso la sussistenza di elementi sufficienti a fondare il convincimento che A.U., tornando in Patria, potesse correre il rischio effettivo di subire un grave danno alla persona nell’accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 senza specificare alcuna fonte informativa.

8. Analogamente, relativamente alla richiesta di protezione umanitaria, richiamando genericamente le considerazioni rese dal primo giudice, la Corte territoriale ha affermato che la parte della Nigeria che risultava teatro di conflitti armati era solo quella situata a Nord, mentre con riferimento agli Stati dell’estremo sud (tra cui l’Edo-State da cui proveniva il richiedente) le fonti internazionali non riferivano di conflitti o guerriglie, ma solo di condizioni di estrema povertà e sfruttamento della popolazione.

9. Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 è dovere del giudice verificare avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

10. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.

11. E’, quindi, onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.

12. In proposito, deve ribadirsi anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici senza frontiere) che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019 per esteso).

13. In modo estremamente sintetico, può quindi affermarsi che il giudice deve indicare, in modo specifico e dettagliato, fonti che abbiano un certo grado di credibilità e che facciano riferimento ad una situazione socio-politica aggiornata del Paese di origine del richiedente.

14. Più recentemente (cfr. Cass. n. 15215 del 2020) è stato affermato il principio di diritto secondo il quale: “Le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio; il dovere di cooperazione istruttoria che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale ed umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, C.O.I. ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione dello loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2”.

15. Nella fattispecie, come detto, la Corte territoriale non ha richiamato alcuna fonte informativa privilegiata, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per ritenere che la condizione attuale della parte della Nigeria (Edo-State), Paese di origine del richiedente, non fosse interessata da conflitti armati interni ed internazionali.

16. Nell’assolvere all’onere imposto dalla legge i giudici di seconde cure erano, invece, tenuti a spiegare in base a quali specifiche fonti avessero ritenuto inesistente il rischio di subire gravi danni, paventati dal ricorrente, onde dare conto della puntualità e attualità della propria verifica e fare così in modo che la motivazione assumesse carattere effettivo (cfr. per tutte Cass. n. 8819 del 2020 e la giurisprudenza ivi citata).

17. Inoltre, la Corte di merito è venuta meno al dovere di accertare avvalendosi dei suoi poteri istruttori, data la ritenuta credibilità di questa parte del racconto (Cass. n. 16925 del 2018) – il ruolo che svolge la Polizia nel Paese di appartenenza del richiedente atteso che questi aveva dichiarato di averla inutilmente avvisata e di essere dovuto, invece, partire perchè ricercato da quattro uomini, onde stabilire se, per tale ragione, fosse meritevole di protezione internazionale o umanitaria (Cass. n. 29603 del 2019).

18. Le censure sono, pertanto, meritevoli di accoglimento.

19. La trattazione del terzo motivo resta, conseguentemente, assorbita.

20. La sentenza impugnata dovrà, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

 

 

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