Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29234 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/12/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 28/12/2011), n.29234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14253/2009 proposto da:

O.L., O.M.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato DAMIZIA Maria

Rosaria, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARBARA

FELICI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO LAVORO POLITICHE SOCIALI, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7811/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/06/2008 R.G.N. 2684/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato DAMIZIA MARIA ROSARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9/11/06 – 10/6/2008 la Corte d’appello di Roma ha rigettato il ricorso proposto il 17/3/03 da O.L. e M.L. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Rieti con la quale era stata respinta la loro domanda diretta a conseguire dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il superiore inquadramento dalla posizione economica “B3”, quali assistenti dell’Ispettorato del Lavoro ex VIA qualifica funzionale, in quella “C1” con qualifica di “accertatori al lavoro”.

Nel respingere l’appello la Corte territoriale ha posto in rilievo i seguenti aspetti della questione: – L’insindacabilità degli accordi collettivi e l’esistenza di ampi poteri della contrattazione integrativa in materia di individuazione di nuovi profili o di diversa ricollocazione di quelli esistenti in aree professionali; la previsione, nell’ambito della contrattazione integrativa concernente l’area della vigilanza, del mantenimento sino ad esaurimento dei profili professionali di collaboratore e di assistente all’Ispettorato del lavoro; la previsione di un passaggio particolarmente agevolato dei dipendenti collocati nella posizione “B3” nella superiore area “C”, nuovo profilo di “accertatore del lavoro”, previa l’ammissione di diritto alla partecipazione ad un corso-concorso.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso O.L. ed O.M.L., i quali affidano l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resiste con controricorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo del ricorso, l’amministrazione denunzia violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 13, commi 3 e 4, CCNL Comparto Ministeri 1998 – 2001, allegato A, e degli artt. 1362 e 1363 c.c., oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si sostiene, in sintesi, che la Corte d’appello ha ritenuto legittima la trasposizione automatica delle qualifiche funzionali nelle Aree operata dall’Amministrazione, prescindendo dai contenuti dei profili professionali di appartenenza dei lavoratori e ciò senza ravvisare l’assoluta contraddittorietà dello stesso CCNL che, se per un verso, indica all’art. 16 e art. 13, comma 1, un inquadramento mediante trasposizione automatica in base alle precedenti qualifiche, per altro verso, dispone all’art. 13, comma 4, che ogni dipendente è inquadrato, in virtù del profilo professionale di appartenenza, nell’area e nella posizione economica ove questa è confluita.

Secondo i ricorrenti la discordanza tra la declaratoria di cui all’allegato A del CCNL, in virtù della quale chi svolge attività ispettive deve essere inquadrato nell’area C, posizione economica C2, e l’allegato “B”, secondo cui la ex VIA qualifica dovrebbe essere inquadrata nell’area B, posizione economica B3, deve essere risolta nel senso di attribuire prevalenza alla classificazione professionale prevista dal criterio sostanziale sotteso al contratto collettivo, indicato dall’art. 13, commi 3 e 4, del ccnl..

2. Col secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 3, 36 e 9 Cost., dell’art. 2103 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 13, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40, 45 e 52, oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la Corte d’appello si è limitata ad esaminare il profilo relativo alla violazione dell’art. 2103 c.c., senza ravvisare la violazione di altre norme imperative di legge, ritenendo legittime le previsioni di un diverso inquadramento giuridico ed economico per dipendenti della P.A. ai quali il quadro normativo di riferimento attribuisce funzioni con identici contenuti professionali.

A conclusione del motivo è chiesto di accertare se la trasposizione automatica implicante l’inquadramento degli addetti alla vigilanza in una area e in una posizione economica inferiore rispetto a quella in cui le funzioni ispettive e di vigilanza sono confluite, in base alla nuova classificazione prevista dal CCNL Ministeri 1998-2001, integri la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e dell’art. 2103 c.c. e, sotto diverso profilo, degli artt. 3, 36 e 9 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 13, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.

Osserva la Corte che entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo sostanzialmente unitaria la questione ad essi sottesa.

Orbene, entrambi i motivi sono infondati.

Invero, va disattesa la tesi secondo cui l’inquadramento attribuito dall’amministrazione non sarebbe corrispondente alle mansioni proprie degli ispettori del lavoro e avrebbe perciò violato le disposizioni contrattuali collettive.

L’art. 13 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Ministeri 1998 – 2001 ha introdotto un nuovo sistema di classificazione del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni mediante accorpamento delle nove qualifiche funzionali, previste anteriormente alla “contrattualizzazione”, in tre aree:

– Area A – comprendente i livelli dal 1^ al 3^; Area B – comprendente i livelli dal 4^ al 6^; Area C – comprendente i livelli dal 7^ al 9^ ed il personale del ruolo ad esaurimento.

Il comma 4 dello stesso articolo dispone che ogni dipendente è inquadrato, in base alla ex qualifica e profilo professionale di appartenenza, nell’area e nella posizione economica ove questa è confluita.

L’art. 16, poi, detta le norme di prima applicazione e, al comma 1 dispone che il personale in servizio alla data di entrata in vigore del contratto è inserito nel nuovo sistema di classificazione con effetto automatico dalla stessa data mediante l’attribuzione dell’area e della posizione al suo interno secondo la tabella “all.

B” di corrispondenza, senza incremento di spesa, fatto salvo quanto previsto dal comma 2. La tabella B, relativa alla “trasposizione automatica nel sistema di classificazione”, stabilisce la corrispondenza tra qualifiche funzionali di cui alla L. n. 312 del 1980 e le aree e le nuove posizioni economiche, corrispondenza che, per tutti i dipendenti già inquadrati in 6^ qualifica funzionale, conduce alla classificazione in area “B”, posizione economica 3.

I ricorrenti, quindi, già inquadrati in 6^ qualifica funzionale, non potevano che essere classificati in posizione B/3 e nessun problema interpretativo o contraddizioni presentavano le riferite disposizioni contrattuali, nè è possibile ravvisare un qualsiasi contrasto tra l’automatismo previsto dal contratto e norme imperative.

Già con riguardo al lavoro subordinato privato di diritto comune la giurisprudenza della Corte ha affermato che deve ritenersi conforme al disposto dell’art. 2103 c.c., la clausola del contratto collettivo che introduca meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo la fungibilità di mansioni che esprimano in concreto diverse professionalità (vedi Cass. S.U. 24 novembre 2006, n. 25033).

Ma, nel sistema speciale della disciplina del lavoro pubblico contrattuale (il tasso di specialità è stato più volte posto in evidenza dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: vedi in particolare, C. cost. nn. 313/1996; 309/1997, 89/2003, 199/2003), è proprio l’art. 2103 c.c., a non trovare applicazione nella parte in cui attribuisce rilievo, ai fini dell’inquadramento, alle mansioni svolte che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1, secondo periodo, non possono avere effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.

Ne deriva l’erroneità dell’eventuale riferimento al disposto dell’art. 2103 c.c. ovvero degli artt. 2071 e 2095 c.c..

La giurisprudenza della Corte, infatti, afferma che la disciplina prevista nel lavoro privato in materia di categorie e qualifiche non è applicabile al rapporto di lavoro privatizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, attesa la specialità del regime giuridico che lo caratterizza, soprattutto con riferimento al sistema delle fonti quale emerge dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (che costituisce lo “statuto” di tale rapporto di lavoro), il quale, dettando regole peculiari solo per i dirigenti ed i vicedirigenti, attribuisce per il restante personale piena delega alla contrattazione collettiva, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme concernenti il lavoro subordinato privato (Cass. 5 luglio 2005, n. 14193).

Più specificamente, per il personale “contrattualizzato”, il disegno di delegificazione è stato attuato affidando allo speciale sistema di contrattazione collettiva nel settore pubblico (vedi Corte Cost.

n. 199 del 2003) anche la materia degli inquadramenti (in quanto non esclusa dalla previsione di cui all’art. 40, comma 1). E dunque, per il personale dei comparti, sono stati i contratti collettivi (della seconda tornata contrattuale) ad introdurre il sistema di classificazione per aree di inquadramento, cui lo stesso testo del D.Lgs. n. 165 del 2001, come successivamente modificato e integrato, si riferisce (art. 30, comma 2 bis, quanto alla disciplina della mobilità; art. 34 bis, comma 1, quanto ai concorsi per l’assunzione;

si veda inoltre l’art. 52, comma 1 ter, inserito dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62, comma 1); di conseguenza, il sistema di inquadramento per aree sostituisce quello per categorie, di cui all’art. 2095 c.c. (vedi Cass. S.U. 8 maggio 2006, n. 10419).

Conclusivamente, nello stabilire in sede di prima applicazione la collocazione in area “B”, posizione economica 3, di tutto il personale già inquadrato nella soppressa 6^ qualifica funzionale, senza alcuna distinzione o possibilità di deroga, il contratto collettivo nazionale di lavoro comparto Ministeri 1998/2001, stipulato il 16.2.1999, non si è posto in contrasto con alcuna norma imperativa, nè è ravvisabile altra causa di nullità (art. 1418 c.c.), giacchè nel settore pubblico le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramenti sono sottratte al sindacato giudiziale, ed il principio di non discriminazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo. In questi sensi si è già espressa ripetutamente la giurisprudenza della Sezione lavoro della Corte: sent. 19 dicembre 2008, n. 29829, con specifico riguardo alla contrattazione del comparto Ministeri; sent. 10 marzo 2009, n. 5726, 18 giugno 2008, n. 16504 e 19 giugno 2008 n. 16676, in relazione al CCNL comparto scuola.

Da ultimo si è statuito (Cass. sez. lav. n. 19007 del 2/9/2010) che “nel rapporto di lavoro pubblico privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare il principio, ha ritenuto la validità della collocazione, in sede di prima applicazione, in area C/1 degli ispettori del lavoro, già inquadrati nella soppressa 7^ qualifica funzionale, conformemente alle previsioni della tabella di corrispondenza contrattuale contenuta nella contrattazione collettiva integrativa che prevedeva un percorso professionale di inserimento iniziale in area C/1, ed ha escluso che su tali disposizioni dovessero prevalere quelle della contrattazione nazionale, che invece contemplavano direttamente un inquadramento in area C/2)” (in senso conforme v. anche Cass. sez. 6 – Lav., Ordinanza n. 11149 del 20/5/2011).

3. Col terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 45 e dell’art. 10 del CCI relativo al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ritengono i ricorrenti che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, nel caso di specie non può non essere rilevata la illegittimità del contratto integrativo laddove, in palese contrasto col sistema di classificazione delineato dal ccnl che impone l’inquadramento degli addetti alla vigilanza esclusivamente nell’area C, istituisce per detto personale il ruolo ad esaurimento incluso in un’area funzionale (area B) che, nè nel contratto di comparto, nè nel contratto integrativo, ricomprende i profili ed i contenuti che caratterizzano l’area professionale della vigilanza. Quindi, secondo tale tesi, persisterebbe una illegittimità dell’art. 10 del CCI nella parte in cui prevede per il personale inquadrato nel profilo di Assistente dell’Ispettorato del lavoro, in possesso della qualifica di “addetto alla vigilanza” e del tesserino di riconoscimento, l’ammissione di diritto a partecipare al primo corso-concorso per l’accesso al profilo professionale di accertatore del lavoro, atteso che dal summenzionato ccnl del 1998-01 e dallo stesso CCI derivava ad essi il diritto ad essere inquadrati nell’area C, posizione economica C1 e C2. In definitiva, secondo tale assunto difensivo, l’illegittimità dell’utilizzo del “ruolo sino ad esaurimento” deriverebbe dal fatto che attraverso tale sistema è stato mantenuto un inquadramento giuridico ed economico deteriore dei dipendenti, come gli odierni ricorrenti, che erano già inquadrati in un profilo professionale che il nuovo CCNL colloca in una superiore posizione.

Il contratto collettivo integrativo cui i ricorrenti si riferiscono è quello del 31/5/00 relativo al personale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali col quale si istituiva il nuovo profilo professionale di accertatore del lavoro, collocato nella posizione economica C1 – Area della vigilanza e si prevedeva la necessità di un corso – concorso per gli addetti alla vigilanza o per gli assistenti all’ispettorato per l’accesso a tale profilo di accertatore.

Il motivo è infondato.

Invero, premesso che con riguardo ai contratti collettivi di lavoro del pubblico impiego privatizzato la regola posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 del predetto D.Lgs., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimità è finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione sufficiente e non contraddittoria (v. Cass. sez. lav. n. 5565 del 19/3/2004), e ribadito che nel settore pubblico le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramenti sono sottratte al sindacato giudiziale, va rilevato che è immune da vizi logici e giuridici l’interpretazione compiuta dalla Corte di merito, alla luce dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, della norma della contrattazione integrativa contestata, per cui l’esito della relativa indagine, che l’ha condotta ad affermare l’assenza di contrasto con le norme collettive nazionali, in quanto correttamente motivata, non è sindacabile nella presente sede di legittimità.

Infatti, con motivazione congrua ed esente da vizi di natura logico- giuridica, la Corte territoriale ha giustamente evidenziato che il contratto integrativo, una volta stabilito che all’area professionale della vigilanza venivano addetti i dipendenti dell’area C contemplata dal ccnl, non aveva escluso che nel settore potessero operare anche i dipendenti della VIA qualifica funzionale, già inseriti nell’area B in base alle stesse previsioni collettive, in maniera tale che i medesimi potessero conservare le mansioni già esercitate nel settore della vigilanza e passare alla superiore area C, nel nuovo profilo di accertatore del lavoro, previa l’ammissione di diritto alla partecipazione di un corso-concorso da indirsi sulla base del criterio stabilito dall’art. 7, lett. a), per cui in definitiva veniva per essi concordato un passaggio di qualifica particolarmente agevolato.

Infine, escluso, per le ragioni sopra esposte, che il giudice d’appello sia incorso in errore, sia nel rigettare le censure incentrate sulla presunta violazione dell’art. 2103 c.c., sia nel ritenere corretto l’inquadramento operato dalla P.A., ne consegue che resta travolta anche l’ultima doglianza basata sul supposto mancato riconoscimento del diritto al trattamento economico corrispondente alle funzioni svolte.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno poste a loro carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese dei presente giudizio nella misura di Euro 3.000,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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