Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29234 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 21/12/2020), n.29234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 686-2020 proposto da:

S.I., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FEDERICO SCALVI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1704/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/11/2019 R.G.N. 1712/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 1704 del 2019, ha confermato il rigetto, pronunciato dal Tribunale della stessa sede, del ricorso proposto da S.I., cittadino nigeriano, avverso il diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato che la sua città si trovava nella regione del Mafa, nel Borno State (mentre nel modulo C3 aveva precisato di provenire da Edo State) e che il 2.3.2014, in occasione di un attentato terroristico firmato dal gruppo Boko Haram, la intera sua famiglia era stata sterminata; aveva deciso di fuggire dalla Nigeria partendo l’1.4.2015, attraversando prima il Ciad e giungendo, poi, in Libia da dove, il 20.9.2015, si era imbarcato per l’Italia.

3. I giudici di seconde cure, a fondamento della propria decisione, hanno rilevato la inattendibilità della narrazione del S., sia in ordine alla sua provenienza geografica che sul dedotto attentato in relazione al quale nulla o poco aveva saputo riferire: ciò impediva l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria; hanno, poi, specificato che, in ogni caso il rapporto EASO 2019 escludeva una situazione di violenza indiscriminata nell’Edo State della Nigeria, a differenza di quanto emergeva negli Stati del Nord del Paese; hanno, infine escluso la sussistenza degli elementi per potere concedere la protezione umanitaria, in difetto di specifiche allegazioni sulla condizione di vulnerabilità, richiesta dalla legge, perchè la documentazione prodotta in atti, da cui risultava che il richiedente non era occupato, non appariva idonea ad effettuare la valutazione di comparazione tra la situazione che si lasciava e quella che si sarebbe trovata in caso di rientro in patria.

4. S.I. ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Corte territoriale, affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) e art. 14 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la censura attiene alla violazione delle norme sopra indicate secondo le quali il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato può essere ammesso alla protezione sussidiaria qualora sussistono fondati motivi di ritenere che se ritornasse nel paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno; tale danno, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 si identifica nella condanna a morte, nella tortura o nel trattamento inumano o degradante o nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona. La situazione della Nigeria, in relazione alla città (Mafa) precisata in sede di audizione (e non a quella erroneamente dichiarata nel modulo C3, Uromi) era tale da comportare, a parere del ricorrente, un grave pericolo di rimanere vittima dei fanatici del gruppo Boko Haram che si erano resi già autori dell’attentato in cui la famiglia era stata sterminata.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere i giudici del merito preso atto della documentazione prodotta e delle dichiarazioni precise e dettagliate svolte sin dalla domanda di protezione internazionale e per non avere attivato i poter officiosi necessari ad una adeguata conoscenza della situazione del paese di provenienza di esso ricorrente, pur in presenza di un racconto di una certa credibilità in base ai criteri offerti dall’art. 3, D.Lgs. citato.

4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta testualmente “la violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 113 del 2018 in tema di protezione umanitaria” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per erronea valutazione, da parte della Corte di merito, da un lato, delle criticità presenti in Nigeria che non avrebbero dato luogo ad una situazione di emergenza umanitaria e, dall’altro, della sua situazione personale, essendo stata offerta sia la prova del suo attuale buon grado di inserimento sociale, sia in un’ottica di comparazione tra lo standard di vita di cui godeva attualmente in Italia e quello che aveva in Nigeria.

5. I tre motivi, che per la loro interferenza possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati per quanto di ragione.

6. Il dato di fatto a cui partire è costituito dalla argomentazione della Corte territoriale, in ordine alla inattendibilità del narrato da parte del richiedente, fondata sulle circostanze secondo cui, nel “modello C3”, l’istante aveva affermato di provenire dalla città di Uromi in Edo State, mentre a seguito di rettifica, aveva dichiarato essere Mafa in Borno State la città di provenienza e per non avere saputo fornire indicazioni precise circa l’attentato di Boko Haram a seguito del quale avrebbe perso i propri congiunti, senza sapere descrivere la propria città e precisando di parlare diverse lingue, alcune delle quali originarie del sud della Nigeria e altre del Nord.

7. Orbene, osserva il Collegio, in primo luogo, che eventuali lacune riscontrate sia in sede di compilazione del modello C3, sia in sede di dichiarazioni rese alla Commissione territoriale, possono essere superate in sede giudiziaria (Cass. n. 15782 del 2014).

8. Va, poi considerato che il modello C3 viene compilato in un contesto particolare, senza alcuna garanzia dell’esatta comprensione di quanto viene chiesto al migrante, senza cioè l’ausilio di un interprete.

9. In secondo luogo, deve specificarsi che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, essendo piuttosto il risultato complesso di una procedimentalizzazione legale della decisone, da compiersi alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. n. 26921 del 2017; Cass. n. 29054 del 2019).

10. Il giudice, seguendo l’iter legale di valutazione della credibilità, senza omettere alcun passaggio, se verifica che il richiedente ha fatto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e che ha prodotto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e giustificato la (eventuale) mancanza di altri elementi, deve acquisire le informazioni aggiornate e pertinenti sulle condizioni del paese di origine che consentano di valutare, al tempo stesso, la attendibilità del racconto e la concretezza ed attualità del rischio (Cass. n. 17069 del 2018; Cass. n. 19716 del 2018; Cass. n. 9811 del 2019).

11. La Corte di merito, quindi, avrebbe dovuto, in ossequio a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 tenere conto, attivando anche i suoi poteri istruttori officiosi, dei fatti pertinenti che riguardavano il precisato Paese di origine al momento dell’adozione della decisione, verificando se effettivamente, nei tempi e nei luoghi comunque desumibili dalla narrazione del richiedente (che aveva fatto riferimento ad un attentato terroristico avvenuto il 2.3.2014) il gruppo terroristico, denominato Boko Haram, si era reso autore di un atto criminoso ove era deceduta tutta la famiglia del S. e, conseguentemente, valutare la richiesta di asilo in relazione alla effettiva e reale situazione della Regione di provenienza (in termini Cass. n. 9811 del 2019).

12. In conclusione, in accoglimento per quanto di ragione del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di merito per un nuovo esame della domanda e per la valutazione del rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 attenendosi ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 come sopra specificati, al fine di valutare se sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria e, in via subordinata, per una rivalutazione della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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