Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29233 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/12/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 28/12/2011), n.29233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14207/2009 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

DEPRETIS 60, presso lo studio dell’avvocato CERE’ DONATELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAPISARDA Giuseppe, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CARLO DOSSI 45, presso lo studio dell’avvocato PICCININNO

Silvano, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 584/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 14/06/2008 R.G.N. 1498/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato CERE’ DONATELLA;

Udito l’Avvocato PICCININNO SILVANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per accoglimento, per quanto di

ragione, del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 29/5 – 14/6/2008 la Corte d’appello di Catania ha parzialmente riformato la decisione del 18/5/05 del giudice del lavoro del Tribunale di Siracusa, con la quale la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense era stata condannata a restituire a R.S. esclusivamente le somme richiestegli ai sensi della L. n. 141 del 1992, art. 9 a titolo di sanzioni non iscritte a ruolo ed applicate per l’omesso invio dei Modelli 5/2000 e 2001, stante la sua cancellazione dal relativo elenco a seguito di istanza del maggio del 1998; in conseguenza della parziale riforma della sentenza la Corte territoriale ha rigettato per l’intero la domanda proposta dall’assicurato il 23/10/03, diretta al rimborso dei contributi versati, ed ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale dal medesimo svolto a sostegno dell’eccezione di prescrizione del credito contributivo vantato dalla Cassa Forense, stante la rilevata tardività della proposizione della stessa.

La Corte catanese ha spiegato la propria decisione affermando che l’obbligo di trasmissione dei dati reddituali, attraverso l’invio degli appositi modelli alla Cassa di previdenza di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 17, grava su tutti gli iscritti all’Albo degli avvocati, a prescindere dalla loro iscrizione e dall’eventuale contenuto negativo delle stesse dichiarazioni fiscali, al fine di consentire al predetto ente di esercitare il controllo in ordine alla misura dei contributi dovuti ed alla verifica della sussistenza dei requisiti reddituali per l’eventuale iscrizione obbligatoria.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il R., il quale affida l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resiste con controricorso la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense.

Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., con riferimento alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 3 e art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo la durata quinquennale della prescrizione del credito preteso dalla Cassa di Previdenza, in quanto connesso ad ipotesi di assicurazione obbligatoria ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, come tale rilevabile d’ufficio, con la conseguenza che la richiesta di pagamento del 21/11/2002 non era valsa ad interrompere la prescrizione già maturata per il pagamento dei contributi chiesti in relazione al periodo compreso tra il 1987 ed il 1997. Per le stesse ragioni, secondo il ricorrente, erano da considerare prescritte le sanzioni dovute all’omesso o ritardato invio del “Mod. 5”, L. n. 141 del 1992, ex art. 9, relative al periodo 1992 – 1998, epoca alla quale risaliva la richiesta di cancellazione dalla Cassa.

Osserva la Corte che il motivo è inammissibile, in quanto inconferente, dal momento che non investe la preliminare “ratio decidendi” della sentenza impugnata, vale a dire la accertata inammissibilità della eccezione di prescrizione per tardiva proposizione della stessa nella sede del giudizio d’appello. Nè è possibile riesaminare il merito in ordine alla validità o meno degli atti interruttivi in conseguenza della prospettata possibilità di ritenere operante la prescrizione rilevabile d’ufficio, dal momento che la questione dell’interruzione della prescrizione non fu affrontata nel giudizio di merito, che sul punto si arrestò al rilievo preliminare, di carattere dirimente, della tardività della proposizione dell’eccezione di prescrizione, in quanto mai sollevata in primo grado; tra l’altro, come si è visto, la problematica della tardività di tale eccezione non viene nemmeno affrontata con la presente doglianza.

2. Col secondo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione della L. n. 576 del 1980, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e si pone il quesito di diritto tendente ad accertare se la Cassa di Previdenza, nonostante la cancellazione di esso ricorrente, aveva diritto di pretendere il pagamento dei contributi per il periodo 1992 – 1998, nonchè gli importi delle sanzioni per omesso o ritardato invio dei “Modelli 5”.

Il motivo è inammissibile.

Invero, come è stato già affermato (Cass. sez. 3, Ordinanza n. 4044 del 19/2/2009), “il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto”.

Si è, altresì, precisato (Cass. sez. 3, sentenza n. 24339 del 30/9/2008) che “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile”.

Nella fattispecie l’autonoma “ratio decidendi”, sulla quale si basa la sentenza impugnata, una volta verificata la tardività dell’eccezione di prescrizione, è rappresentata dalla precisa statuizione per la quale l’obbligo di trasmissione dei dati reddituali, attraverso l’invio alla Cassa del “Modello 5”, grava su tutti gli iscritti all’Albo degli avvocati a prescindere dall’iscrizione alla Cassa di previdenza, anche allorquando le dichiarazioni fiscali non siano state presentate o siano negative;

invero, secondo il ragionamento della Corte di merito, tale adempimento, previsto dalla L. n. 576 del 1980, art. 17, ottempera alla funzione di consentire alla Cassa il controllo circa l’obbligo di iscrizione e circa la misura dei contributi dovuti, quindi, in ultima analisi, l’accertamento della sussistenza dei requisiti di reddito ai fini dell’eventuale iscrizione obbligatoria e dell’eventuale esercizio del potere di iscrizione d’ufficio.

Orbene, a fronte di tali precise statuizioni il ricorrente avrebbe dovuto farsi carico di confutarle con argomentazioni contenenti l’indicazione di una “regula iuris” alternativa a quella affermata dalla Corte d’appello, atta a metterne in discussione la validità e ad offrire una diversa soluzione egualmente compatibile con le finalità del precetto normativo disciplinante il caso concreto, e non limitarsi semplicemente a proporre un quesito diretto ad accertare se in ipotesi la norma in questione era stata correttamente interpretata ed applicata dal giudice d’appello.

3. Col terzo motivo è dedotta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In pratica si sostiene che la Corte di merito ha errato nel ritenere che l’appello incidentale aveva ad oggetto solo la questione della prescrizione, in quanto attraverso la comparsa di costituzione si era insistito per il rigetto della richiesta di pagamento dei contributi per inesistenza di un giusto titolo, sulla base del rilievo che coloro i quali cessavano di essere iscritti alla Cassa avevano il diritto di ottenerne il rimborso; inoltre, si era dedotto che la controparte non poteva più pretendere contributi dopo la cancellazione di esso professionista dalla Cassa, sia per la avvenuta prescrizione, sia perchè si era perso il diritto alla pensione, con conseguente venir meno dell’obbligo contributivo.

Il motivo, così come posto, è inammissibile.

Invero, manca in esso un momento di sintesi omologo al quesito di diritto atto a consentire a questa Corte di valutarne l’ammissibilità.

Si è, infatti, statuito (Cass. sez. un. n. 20603 dell’1/10/2007) che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

(Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il motivo non era stato correttamente formulato, in quanto la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente)”.

Orbene, un momento di sintesi sarebbe stato particolarmente necessario nella fattispecie sol se si consideri che rimane esclusa la possibilità di esaminare la parte del motivo riflettente la prescrizione, la cui eccezione fu ritenuta tardiva. Vi è, poi, da aggiungere che, in realtà, la censura, così come posta, non verte su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rispetto al quale potrebbe configurarsi il denunziato vizio dell’omessa motivazione, bensì su una problematica di diritto, vale a dire la verifica della sussistenza o meno dell’obbligo contributivo a fronte della dedotta cancellazione dalla Cassa e della perdita sopraggiunta della pensione, questioni, queste, prospettate genericamente in maniera tale da non investire la “ratio decidendi” adottata al riguardo dal giudice d’appello. Infatti, come si è visto, il punto centrale della motivazione della sentenza è rappresentato dalla ritenuta obbligatorietà della trasmissione alla Cassa di Previdenza dei dati reddituali a prescindere dall’iscrizione alla stessa, anche in ipotesi di dichiarazioni fiscali omesse o negative, stante la prioritaria esigenza, normativamente avvertita, di consentire all’ente di previdenza il controllo circa l’obbligo di iscrizione e la misura dei contributi dovuti, oltre che la verifica della sussistenza dei requisiti di reddito ai fini dell’eventuale iscrizione obbligatoria e del correlato esercizio del potere di iscrizione d’ufficio.

In definitiva il ricorso è inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. ai sensi di legge, nonchè Euro 50,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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