Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29231 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 21/12/2020), n.29231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 235-2020 proposto da:

K.B.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA CANNATA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA, in

persona del Ministro pro tempore,rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5913/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/12/2019 R.G.N. 6049/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 5913 del 2019, ha confermato l’ordinanza con il Tribunale della stessa sede aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, proposte da K.B.G., cittadino del Gambia.

2. Nella gravata sentenza si legge che il richiedente aveva riferito di essere fuggito dal proprio paese di origine in quanto temeva di essere arrestato o ucciso dai parenti della sua fidanzata minorenne, con la quale aveva consumato un rapporto (il primo) sessuale consenziente, ma che tale non era stato percepito dai vicini di casa attratti dalle urla della ragazza.

3. A fondamento della decisione la Corte territoriale, sul presupposto che non vi erano motivi per ritenere non credibile il racconto del richiedente, ha rilevato che il sottrarsi alle pene inflitte per il grave reato di violenza sessuale (di diritto comune), di cui era stata ipotizzata l’accusa, non poteva fare ritenere il richiedente meritevole della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b); inoltre, dopo avere citato fonti informative privilegiate, ha precisato che il Gambia non poteva essere ritenuto paese “insicuro” ai sensi dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. citato; infine, ha reputato che non era concedibile neanche la protezione umanitaria sia perchè il richiedente non aveva dimostrato una reale integrazione sociale o lavorativa in Italia, sia perchè la condizione di vulnerabilità non era ravvisabile nella ipotesi di essere ricercato per reato di diritto comune, nè per le condizioni di povertà o di mancanze di tutela in cui sarebbe dovuto andare a vivere qualora fosse ritornato nel paese di origine.

4. K.B.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di secondo grado fondato la propria valutazione negativa in ordine alla credibilità della narrazione del ricorrente su parametri diversi da quelli normativi, non valutando la credibilità di essa ricorrente sulla base di riscontri oggettivi relativi alla situazione generale del paese di origine, provenienti dalle allegazioni di parte, tenuto conto del “contesto di violenza diffusa ed incontrollabile che caratterizza l’area territoriale di origine del medesimo”.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per F’ avere la Corte territoriale fondato la propria valutazione negativa in ordine alla sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, su parametri diversi da quelli normativi, senza verificare i diritti che più direttamente interessano la sfera personale ed umana del ricorrente.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di merito erroneamente considerato che il paese di provenienza del ricorrente, ovvero la Nigeria, non presentasse particolari problematiche.

5. Il primo e terzo motivo sono inammissibili perchè non si confrontano con la ratio decidendi della gravata pronuncia.

6. La prima censura, infatti, fa riferimento ad una ritenuta “non credibilità” delle dichiarazioni del richiedente, quando invece la Corte territoriale ha reputato attendibile il racconto fornito valutando, poi, le richieste di protezione proprio in relazione allo svolgersi dei fatti narrati.

7. La terza censura, di contro, investe un paese (la Nigeria) che non è quello di origine dell’odierno ricorrente. La genericità dell’articolazione della doglianza, a fronte della precisa disamina della Corte di appello sulla effettiva situazione del Gambia (di cui è cittadino K.B.G.), non consente, poi, neanche di interpretare la indicazione del ricorrente come mero errore materiale.

8. Il secondo motivo, invece, è fondato.

9. In tema di protezione internazionale il giudice del merito deve, tra l’altro, tenere conto anche del tipo di trattamento sanzionatorio previsto nel Paese di origine per il reato commesso dal richiedente – anche previo utilizzo dei poteri di accertamento ufficiosi di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 – in quanto il rischio di sottoposizione alla pena di morte nel paese di provenienza, o anche il rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nelle carceri del proprio Paese può avere rilevanza per l’eventuale riconoscimento sia della protezione sussidiaria, in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g con l’art. 14, lett. a) e b), stesso D.Lgs., sia in subordine, della protezione umanitaria, in base all’art. 3 CEDU e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass. n. 1033 del 2019).

10. Nella specie la Corte di appello, laddove non aveva ritenuto raggiunta la prova della sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria (per la situazione socio-politica del Gambia), avrebbe dovuto valutare se, dalle circostanze prospettate dal ricorrente e ritenute credibili (avere consumato con una ragazza minorenne un rapporto (il primo) sessuale consenziente ma che, non essendo stato percepito tale dai vicini, vi era il conseguente timore di essere arrestato o ucciso dai parenti della sua fidanzata) vi fosse il rischio di sottoposizione alla pena di morte o quello di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri: accertamento, questo, che non può essere ignorato dal giudice nazionale (cfr. Cass. 20.9.2013 n. 21667) in conformità con la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando non vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel Paese trattamenti contrari proprio all’art. 3 della Convenzione, essendo irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poichè dal carattere assoluto del principio affermato dal citato art. 3 deriva l’impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti ed il motivo invocato per l’espulsione (per tutte Corte CEDU sent. 28.2.2008 e Cass. 22.2.2019 n. 5358).

11. La protezione umanitaria, infatti, quale prevista dal D.Lgs. n. n. 286, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: Cass. Sez. Un. 13.11.2019 n. 29460) è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuarsi caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione o debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 32044 del 2018; Cass. n. 23604 del 2017).

12. La Corte di merito avrebbe dovuto dare conto, pertanto, in motivazione, delle prove e dei documenti acquisiti in atti per suffragare la propria decisione e delle ragioni per cui ha ritenuto, sulla specifica questione, oltre che su quella della sicurezza in Gambia, di non avvalersi dei propri poteri di accertamento di ufficio.

13. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al secondo motivo, inammissibili il primo ed il terzo, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione che, attenendosi ai principi sopra esposti, procederà all’ulteriore esame del merito della controversia, provvedendo, altresì, anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, inammissibili il primo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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