Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29229 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 21/12/2020), n.29229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRIBBA Tito – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 772-2020 proposto da:

G.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO NOVELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 753/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 17/05/2019 r.g.n. 1905/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

G.J. alias G.T. cittadino (OMISSIS), chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico; D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitati, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

la Commissione Territoriale rigettava l’istanza;

avverso tale provvedimento proponeva, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che ne disponeva il rigetto;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte distrettuale;

a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale evidenziava l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente tenuto conto dell’assenza di attendibilità del relativo racconto di vita in quanto generico, privo di intrinseca coerenza e di concreto riscontro; lo stato di provenienza (EDO, facente parte della federazione della Nigeria), alla stregua delle informazioni reperibili su siti internazionali, non era interessato da situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre in pericolo l’incolumità della posizione civile per il solo fatto di soggiornarvi; quanto alla protezione c.d. umanitaria del pari invocata, non risultavano indicate particolari ragioni di vulnerabilità individuale che giustificassero la permanenza in territorio italiano;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione con ricorso fondato su quattro motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– 1.Con il primo motivo, si denuncia omessa pronuncia su motivi di ricorso, motivazione assente e apparente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si duole che la Corte di merito si sia limitata ad esporre i principi di legge che governano la materia della protezione internazionale, con motivazione di stile che non ha alcuna attinenza con il contenuto della narrazione svolta dal richiedente;

censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il proprio racconto, rimarcandone invece la linearità ed assenza di contraddizioni, avendo egli “cercato di circostanziare il più possibile la descrizione dei fatti”;

2. il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C e D;

si criticano gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame in tema di protezione sussidiaria, da accordare nel caso in cui sussistano fondati motivi per ritenere che, se il richiedente rientrasse nel paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno, non potendo avvalersi di adeguata protezione; in tal senso deduce che ai fini dell’accertamento della sussistenza di esigenze di protezione internazionale è sufficiente la ricorrenza del requisito di legge ove lo Stato, così come nella specie, è incapace di garantire protezione, a causa di gravi carenze di sistema; e questo era il caso del ricorrente che non avrebbe ottenuto protezione stante l’endemica corruzione ed inefficienza delle forze dell’ordine.

3. il terzo motivo concerne violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; ci si duole del mancato svolgimento di alcuna istruttoria in ordine alla situazione dello stato di Edo, della mancata acquisizione di documentazione, attuale ed aggiornata;

4. con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

si censura la pronuncia della Corte di merito, in estrema sintesi, per il non corretto inquadramento della realtà della Nigeria, con riferimento al contesto di grave carenza di tutela dei diritti fondamentali della persona e di grave insicurezza che connota l’intera regione;

5. deve preliminarmente darsi atto della tempestività del presente ricorso;

pervero, l’orientamento consolidato di questa Corte, nel regime giuridico vigente anteriormente alla novella introdotta con D.L. n. 13 del 2017, riteneva incontestatamente applicabile la sospensione feriale dei termini anche nei procedimenti di impugnazione di cui si tratta (Cass. 7333/2015, 19185/2015);

nel nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 14, non opera più la sospensione feriale dei termini a partire dal 17.08.2017;

la lettura testuale della norma e la sua natura giuridica (processuale) hanno indotto questa Corte (Cass. 5/9/2019 n. 22304, Cass. n. 21/6/2018 n. 16420) a ritenere che essa trovi applicazione per tutte le controversie instaurate a partire dalla sua entrata in vigore;

va data continuità al principio per cui la disciplina introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, si applica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del citato decreto, alle controversie instaurate successivamente al 17.8.2017 (“alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente decreto”);

conseguentemente, per la proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello rese su ricorsi originariamente introdotti anteriormente a quella data si applica la precedente disciplina anche riguardo alla sospensione dei termini durante il periodo feriale (ex aliis, vedi Cass. 22/10/2019 n. 30040), essendo la vigenza della nuova disciplina legislativa processuale differita a tale data” (Cass. 5/9/2019 n. 22304 cui adde, in motivazione, Cass. 13/3/2020 n. 7159), considerato che il computo del termine – perentorio per l’impugnazione deve essere temporalmente ancorato al regime giuridico vigente alla data d’inizio della decorrenza del termine stesso (vedi Cass. cit. n. 16420/2018);

da ciò consegue che, per le controversie instaurate anteriormente al 18/8/2018, come nella specie, continua ad applicarsi l’intera disciplina pregressa (ad iniziare dall’appellabilità delle sentenze) e, dunque, ad operare la sospensione dei termini durante il periodo feriale; il termine semestrale per l’impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c. va dunque maggiorato del periodo di sospensione di cui alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, il quale, a tenore del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 16, comma 1, conv. con mod. in L. 10 novembre 2014, n. 162, è diventato di trentuno giorni (cioè dal 1 al 31 agosto di ogni anno);

considerato che il ricorrente – ha formalizzato la domanda di protezione internazionale in data 6/5/2016, con ricorso al Tribunale di Ancona n. r.g. 18/2017 ha impugnato il provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale, e con successivo ricorso n. 1905/2017 ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di conferma del provvedimento di diniego, deve ritenersi che la azione sia governata, ratione temporis, dal regime processuale anteatto rispetto alla novella di cui al D.L. n. 13 del 2017, convertito in L. n. 46 del 2017, con applicazione alla impugnazione in cassazione, della sospensione feriale dei termini;

nello specifico il ricorso per cassazione risulta notificato in via telematica in data 13/12/2019, entro il termine di sei mesi e trentuno giorni dal deposito della sentenza di appello (17/5/2019);

il ricorso va dunque dichiarato ammissibile alla stregua del seguente principio di diritto: “con riferimento al termine di impugnazione del ricorso per cassazione ex art. 327 c.p.c., la disciplina introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, si applica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del citato decreto, alle controversie instaurate successivamente al 17.8.2017; quelle sorte anteriormente, soggiacciono al regime processuale previgente, in relazione al quale rinviene applicazione sospensione di cui alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1”.

6. il ricorso è inoltre fondato e va accolto, quanto ai motivi nei quali è articolato, che possono trattarsi congiuntamente per connessione, entro i termini che si vanno ad esporre;

deve infatti rimarcarsi che, secondo i principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, da ribadire in questa sede, in tema di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo che sia possibile verificarne anche l’aggiornamento;

rispetto alle ipotesi di pericolo integrante la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) e c) il giudice del merito è tenuto ad un aggiornamento informativo riferito alla situazione attuale al fine di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente ed astrattamente sussumibile in entrambe le tipologie tipizzate di rischio, sia sussistente al momento della decisione (vedi in motivazione Cass. 16/7/2015 n. 14998);

sempre in via di premessa, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente (art. 360, comma 1, n. 4), come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 5/2/2019, Cass. n. 29279 del 2019; Cass. n. 8020 del 2020);

le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno poi sancito come l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “motivazione apparente”; si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016); in ossequio si è affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017);

ed è questo il caso verificatosi nella specie, considerato che la Corte di merito si è limitata ad argomentare in ordine alla genericità delle peraltro scarne dichiarazioni rese in ordine alle modalità in cui si sarebbe tradotta la forzata conversione all’Islam del ricorrente, di fede cristiana, senza in alcun modo procedere ad una disamina critica di tali argomentazioni;

è bene inoltre rammentare che detto esercizio officioso del potere d’indagine riservato al giudice della protezione internazionale, neanche trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (cfr. Cass. 6/7/2020 n. 13940, Cass. 29/5/2020, n. 10286; Cass. 24/05/2019 n. 14283; Cass. 25/7/2018 n. 19716; Cass. 28/6/2018 n. 17069; Cass. 16/7/2015 n. 14998);

orbene, nello specifico il giudice dell’appello ha disatteso i summenzionati principi, avendo escluso la sussistenza di un pericolo per il ricorrente di essere esposto alle conseguenze di una violenza indiscriminata nel proprio paese di origine (Nigeria) facendo riferimento alle “informazioni reperibili su siti istituzionali”, dai quali era evincibile che l’area di provenienza, del richiedente collocata nel sud del Paese, non rientrava fra quelle ad elevato rischio terroristico;

non risulta, dunque, rispettato l’onere di cooperazione istruttoria definito dai richiamati dieta, gravante,sul giudice del merito il quale, nel pervenire alla definizione del proprio convincimento, non ha attinto a fonti informative aggiornate ed autorevoli, limitandosi a fare generico riferimento a dati acquisiti da siti istituzionali, così non consentendo lo scrutinio della loro attendibilità e fondatezza mediante l’esatta individuazione della fonte di conoscenza e il controllo sul contenuto delle informazioni acquisite;

alla stregua delle sinora esposte argomentazioni, il ricorso deve essere accolto quanto ai profili descritti, con assorbimento di quelli ulteriori;

la sentenza va cassata con rinvio al Tribunale designato in parte dispositiva, il quale provvederà a scrutinare la fattispecie devoluta alla luce dei principi enunciati, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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