Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29229 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 13/11/2018), n.29229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4400-2018 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO n.23,

presso lo studio dell’avvocato SIMON SAVINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato BERARDO CERULLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2069/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’ 08/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO

VALITUTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

D.A. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Corte d’appello dell’Aquila n. 2069/2017, depositata il 10 novembre 2017, con la quale è stato respinto l’appello avente ad oggetto l’ordinanza di rigetto, pronunciata dal Tribunale dell’Aquila, della domanda di protezione internazionale proposta dal ricorrente;

l’Amministrazione intimata ha replicato con controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14, del medesimo decreto, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e del D.Lgs n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, nonchè il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – lamenta che la Corte d’appello, con valutazione non conforme ai criteri di cui al disposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, abbia escluso il presupposto della “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, senza neppure esercitare quei poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale che la normativa de qua (del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3,) impone all’autorità amministrativa e giurisdizionale;

Ritenuto che: in tema di protezione sussidiaria dello straniero prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale non sia subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale; che siffatta ipotesi sussista, per vero, anche qualora il grado di violenza indiscriminata – accertato ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,comma 3, – che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass., 23/10/2017, n. 25083; Cass., 21/07/2017, n. 18130); Rilevato che: nel caso di specie, la Corte d’appello ha – con ampia ed adeguata motivazione, supportata dalle informative attinte da organismi internazionali (Amnesty International, Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il diritto di asilo) – accertato che “il clima di generale insicurezza riguarda il nord ed in minima parte il centro del Paese (Mali)”, laddove, per quel concerne la regione del Kayes dalla quale proviene il richiedente, ubicata a sud del Mali, la Corte ha accertato l’insussistenza di una situazione tale, “per frequenza di scontri ed attentati” da far ritenere che “un civile proveniente dal Sud del Paese in caso di rientro in patria correrebbe, per la sola presenza sul territorio di provenienza, un rischio effettivo di subire una minaccia grave alla vita o alla persona”;

del resto, questa Corte, proprio con riferimento allo stato del Mali, ha di recente escluso, sulla base delle notizie provenienti dal sito ufficiale del Ministero degli affari esteri, l’esistenza “di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata” in tutto il Paese (Cass., 12/06/2017, n. 20693); per contro, la censura in esame si traduce in una richiesta di rivisitazione del giudizio di fatto operato dal giudice di merito, inammissibile in questa sede di legittimità (Cass., 04/04/2017, n. 8758);

Considerato che: con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e art. 19, nonchè il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia, altresì, escluso – senza adeguata motivazione – la sussistenza “di quelle ragioni soggettive che giustificano il rilascio al richiedente di un permesso umanitario”;

Ritenuto che: la protezione umanitaria costituisca una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass., 09/10/2017, n. 23604);

peraltro, tale condizione soggettiva dell’istante – da accertarsi mediante i poteri di indagine, anche officiosi, suindicati – debba essere l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza (Cass., 21/12/2016, n. 26641);

Rilevato che: nel caso concreto, la Corte d’appello ha motivatamente escluso – con giudizio in fatto incensurabile in questa sede – la sussistenza di una particolare condizione di vulnerabilità del richiedente, essendosi il medesimo limitato ad operare un “generico riferimento alle generali condizioni di privazione delle libertà personali e di violazione dei diritti fondamentali del suo Paese”, peraltro escluse dagli accertamenti effettuati, proprio con riferimento alla regione di provenienza dell’istante;

la doglianza non può, pertanto, trovare accoglimento;

Ritenuto che: per tutte le ragioni esposte, il ricorso debba essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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