Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2922 del 10/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2922 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 1641-2008 proposto da:
ROCCA PENDICE SRL, IN PERSONA DELL’AMM.RE UNICO,
P.I.00682350285,

OCSE

COSTR

SRL,

IN

PERSONA

DELL’AMM.RE UNICO, P.I.01752690246, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo
studio dell’avvocato MANZI ANDREA, che li rappresenta
2013

e difende unitamente all’avvocato BONON FERDINANDO;
– ricorrenti –

2664
contro

RANZATO ROSALBA, SANI ANGELINA, GIULIANI MARIA, CO

••

• O

,

,D

Data pubblicazione: 10/02/2014

FERRO SERGIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato DI
PIERRO NICOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato
MICHELON CLAUDIO;
– controricorrenti
out,A.0.24 enriAs4

EDILCARPANE S RL ; AA

ITh Arn, (14 e L-0 aAni-

;

– intimat4 avverso la sentenza n. 1947/2006 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 11/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato Coglitore Emanuele con delega
depositata in udienza dell’Avv. Manzi Andrea difensore
dei ricorrenti che si è riportato agli atti depositati
e ne ha chiesto l’accoglimento;
udito l’Avv. Nicola Di Pierro con delega depositata in
udienza dell’Avv. Michelon Claudio difensore dei
controricorrenti che ha chiesto il rigetto o
l’infondatezza del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, e per l’assorbimento
del ricorso incidentale condizionato.

nonchè contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 10/5/1996 De Munari Clorinda, Ferro
Sergio, Nicoletto Giorgia, Simoni Angelina, Ranzato
Rosalba e Giuliana Maria per sé e per il Condominio di
Palazzo Marino in Padova, via Sanmicheli 24-25, quali

Rocca Pendice s.r.1., OCSE Costruzioni s.r.l. ed
Edilcarpane s.r.l. per sentire dichiarare estinta, per
cessazione dell’interclusione del fondo, la servitù di
passaggio costituita con contratto di divisione del
22/6/1924 attraverso il sottoportico e il cortile di
Palazzo Marino e all’epoca necessaria per consentire
l’accesso alla via pubblica ad un fondo posto sul retro
del passaggio che altrimenti sarebbe rimasto totalmente
intercluso.
Gli attori deducevano che a seguito dell’acquisto, da
parte delle società comproprietarie del fondo
dominante, di una adiacente area, sulla quale era stato
aperto un cantiere per la costruzione di immobili ad
uso abitativo e garage, la servitù si sarebbe aggravata
ed estesa ad un fondo che non ne era titolare; in ogni
caso, la condizione di interclusione era venuta meno
perché il fondo originariamente intercluso, disponeva
di due autonomi e sufficienti accessi alla via pubblica

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comproprietari, convenivano in giudizio le società

a

a parte delle

seguito dell’acquisto,

società

convenute, oltre che del fondo medesimo, anche di un
altro fondo.
Le società convenute si costituivano e chiedevano il
rigetto delle domande o che fosse posto a carico del

proseguimento della servitù.
Con sentenza del 30/11/2002 il Tribunale di Padova
accoglieva la domanda degli attori e dichiarava
estinta, per cessazione dell’interclusione, la servitù
che qualificava servitù volontaria coattiva in quanto
pattuita all’interno di un accordo con il quale l’unico
fondo era stato suddiviso in due diversi fondi, un dei
quali intercluso.
Le società Rocca Pendice s.r.l. e OCSE Costruzioni
s.r.l. proponevano appello al quale resistevano gli
attori; restava contumace la società Edilcarpane s.r.l.
La Corte di Appello di Venezia con sentenza
dell’11/12/2006 rigettava l’appello ritenendo:
– la cessazione dell’interclusione e l’estinzione, ai
sensi dell’art. 1054 c.c., della servitù che, pur
costituita con lo stesso atto di divisione, aveva
natura coattiva perché il fondo dominante era divenuto
intercluso a seguito della divisione con la conseguenza

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fondo dominante intercluso un corrispettivo per il

che la costituzione della servitù doveva presumersi
finalizzata a far cessare l’interclusione;
– che il fondo, di cui ai mappali 80/a e 80/b, come
accertato dal CTU, in conseguenza del frazionamento e
della divisione era divenuto intercluso;

con la creazione di un unico fondo a seguito
dell’aggregazione, in un’unica proprietà, dei fondi con
altri fondi confinanti al proprietario cessava la
preclusione all’accesso alla via pubblica in quanto il
lotto ora unitario usufruiva di due accessi potendo
accedere da via Aganoor e potendo utilizzare, per
l’uscita, il passaggio che si apre su via Sanmicheli;

che era irrilevante la diversa previsione di

viabilità interna del lotto del piano di recupero
comunale perché lo stesso Comune di Padova aveva
comunicato trattarsi di previsione modificabile su
richiesta delle convenute che tuttavia non risultava
presentata;
– che non era provata né l’impossibilità di utilizzare
la predetta (per via Sanmicheli) via di uscita, né che
la

relativa

possibilità

fosse

eccessivamente

dispendiosa o disagevole, con la conseguenza che doveva
essere rigettata anche la domanda riconvenzionale anche

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– che lo stato di interclusione era venuto meno perché,

se qualificata come domanda di servitù a favore di
fondo intercluso ai sensi dell’art. 1051 comma primo
c.c..
Le società Rocca Pendice s.r.l. e OCSE Costruzioni
s.r.l. hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi

Ferro Sergio, Simioni Angelina, Ranzato Rosalba e
Giuliani Maria hanno resistito con controricorso, hanno
proposto ricorso incidentale subordinato e hanno
depositato memoria.
Sono rimaste intimate la società Edilcarpane, De Munari
Clotilde e Nicoletto Giorgia.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo le società ricorrenti deducono
la violazione degli artt. 1027, 1031, 1032 e 1055 c.c.
sostenendo che non troverebbe applicazione dell’art.
1055 c.c. perché la servitù non sarebbe coattiva, ma
volontaria e perché l’interclusione del fondo non
sarebbe venuta meno.
La Corte di Appello non avrebbe considerato che la
servitù era stata costituita volontariamente e che
semmai doveva essere chiaramente espressa nell’atto la
volontà di adempiere l’obbligo legale di costituire la
servitù per interclusione, mentre nel negozio

e hanno depositato memoria.

costitutivo

della

dell’intenzione

servitù

delle

non

parti

v’era
di

traccia

assoggettarsi

all’esigenza di costituire una servitù in ossequio ad
un adempimento doveroso.
Le ricorrenti, formulando il quesito di diritto ex art.

temporis,

ratione

chiedono se la costituzione della servitù

con atto negoziale integri una servitù coattiva alla
quale sia applicabile l’art. 1055 c.c. e se
l’applicazione dell’art. 1055 c.c. alla servitù
volontaria integra la violazione delle norme richiamate
nell’epigrafe del motivo.
1.1 Il motivo è infondato e al quesito deve rispondersi
negativamente con riferimento al caso di specie nel
quale la servitù, pur costituita con un contratto
divisionale, aveva natura di servitù coattiva.
La Corte

di Appello ha applicato

i principi

costantemente affermati da questa Corte e che qui
vengono ribaditi, secondo i quali per il disposto
dell’art.

1054

cod.

civ.,

che

riconosce

al

proprietario del fondo rimasto intercluso in
conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di
divisione il diritto di ottenere coattivamente
dall’altro contraente il passaggio senza corrispondere

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366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile

alcuna indennità, deve presumersi che la servitù di
passaggio costituita con lo stesso atto di alienazione
o di divisione o anche con atto successivo che
all’interclusione siano oggettivamente preordinati,
abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità

della causa estintiva di cui all’art. 1055 cod. civ.,
salvo che dal negozio costitutivo non emerga in
concreto ed inequivocabilmente l’intento delle parti di
assoggettarle al regime delle servitù volontarie (Cass.
29/10/1992 n. 11755; Cass. 21/12/2012 n. 23839; Cass.
28/2/2013 n. 5053).
Occorre infatti osservare che le servitù coattive, pur
trovando nella legge il loro presupposto, ai sensi
dell’art. 1032 comma 1, c.c. (che prevede che la
servitù coattiva, in mancanza di contratto è costituita
con sentenza), vengono ad esistenza per il tramite di
un titolo che può anche essere negoziale e che, con
effetti costitutivi, ne determina la creazione; in
altri termini il negozio giuridico di indole
privatistica è idoneo ad integrare il titolo, oltre che
delle servitù volontarie anche, delle servitù coattive.
Non è necessario che dal negozio medesimo risulti
evidenziato l’intento delle parti di fronteggiare

8

alla medesima in caso di cessazione dell’interclusione

quell’esigenza in adempimento del correlativo obbligo
legale.
Infatti nei casi, come quello in esame, di servitù di
passaggio in favore di fondo rimasto intercluso a
seguito di atto di divisione la divisione (o le

di per sè sola, idonea a far presumere l’esistenza
della determinazione delle parti di porre in essere una
servitù coattiva di passo (come desumibile dallo stesso
art. 1054 c.c. che attribuisce al contraente che rimane
intercluso il diritto di ottenere dall’altro contraente
e gratuitamente il passaggio) e, di conseguenza, una
siffatta servitù è da considerare coattiva ove non
emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento
delle parti di assoggettarla al regime delle servitù
volontarie (cfr. Cass. n. 11755/1992 cit. e ivi i
precedenti richiamati).
2. Con il secondo motivo le società ricorrenti deducono
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027,
1031, 1032 e 1054 c.c. sostenendo che l’interclusione
non scaturiva dalla divisione, ma era ad essa
preesistente e, formulando il quesito di diritto,
chiede:

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convenzioni ad essi esplicitamente connesse) si rivela,

- se l’interclusione antecedente all’atto di divisione
determini l’applicazione degli artt. 1054 e 1055 c.c. e
se l’applicazione di tali norme alla servitù volontaria
costituita ad un fondo già in precedenza intercluso
integri la violazione degli artt. 1027, 1021, 1032,

– se l’assunzione di testimonianze circa la simulazione
assoluta di un contratto avente forma scritta ad
substantiam e da farsi valere tra le parti originarie
del contratto, integra la violazione degli artt. 1414,
1417 e 2724 c.c..
2.1 Il motivo è inammissibile perché la questione
proposta (la preesistenza dell’interclusione rispetto
all’atto divisionale del 1924) non risulta introdotta
davanti al giudice di appello; il motivo è meramente
assertivo di una preesistente interclusione in
contrasto con quanto affermato dalla Corte di Appello
secondo la quale l’intero compendio immobiliare
apparteneva ad un unico proprietario e che solo a
seguito del frazionamento e la creazione dei mappali
80/a e 80/b, questi fondi, così scorporati, si erano
venuti a trovare privi di accesso; in altri termini,
proprio per effetto del frazionamento, come chiaramente
espresso dall’atto divisionale, era costituita la

10

1054 e 1055 c.c.

servitù a favore dei mappali 80/a e 80/b (v. pag. 10
della sentenza) che venivano a creare un fondo
altrimenti intercluso; in precedenza non sussisteva
alcuna interclusione perché il fondo, non ancora
diviso, era unico e non intercluso; né può assumere

poi frazionata, non avesse accesso diretto sulla
pubblica via.
Il quesito relativo all’assunzione di testimonianze
circa la simulazione assoluta di un contratto avente
forma scritta ad substantiam è inammissibile perché
assolutamente non pertinente al decisum della Corte di
Appello.
3. Con il terzo motivo le società ricorrenti deducono
il vizio di motivazione in ordine all’interclusione del
fondo e la violazione e falsa applicazione degli artt.
1071 e 1055 c.c.
Le ricorrenti sostengono:
– che per i principi di indivisibilità e inseparabilità
delle servitù prediali, l’aggregazione ad un fondo
dominante di altro fondo non poteva determinare
l’estinzione della servitù;
– che la circostanza che gli edifici siano stati
realizzati senza utilizzare la servitù di passaggio non

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alcun rilievo il fatto che una parte dell’unico fondo,

significativa perché i confini tra i fondi erano
stati solo momentaneamente modificati per consentire
l’accesso alle betoniere e ai mezzi pesanti;

che l’autorità amministrativa aveva imposto una

regolamentazione a senso unico della circolazione per

utilizzabile solo per accedere al lotto, ma non per
uscirvi;
– che altra possibilità di uscita sulla via pubblica
non era possibile se non con eccessivo dispendio o
disagio;
– che il piano di recupero che aveva imposto quella
viabilità, dotato di efficacia esecutiva anche nei
confronti di terzi, non era modificabile in quanto non
impugnato e divenuto definitivo e comunque la variante
al piano, anche ove possibile, comporterebbe dispendio
di energie.
Le ricorrenti, formulando i quesiti, chiedono:
– se l’iter argomentativo espresso nella sentenza sia
corretto sotto il profilo logico e giuridico o se nella
sentenza sia stata trascurata o non sufficientemente
esaminata l’interclusione del fondo dominante connessa
alla previsione di una determinata viabilità imposta

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effetto della quale l’accesso da Via Aganoor era

dalla P.A. in forza di un piano di recupero mai
impugnato e/o fatto oggetto di contestazioni;
– se la fusione di due mappali e la creazione di un
unico lotto comporti il venir meno dello stato di
interclusione del fondo che non aveva accesso alla

violazione o falsa applicazione degli artt. 1071 e 1055

c.c..
3. Il motivo è manifestamente infondato e ai quesiti
occorre dare risposta negativa.
I principi di cui all’art. 1071 c.c. in tema di
divisione del fondo dominante o del fondo servente non
sono applicabili alla fattispecie nella quale il fondo
dominante non è stato diviso, ma aggregato ad altro
fondo con la realizzazione di un unico lotto facente
capo ad un’unica comproprietà e con due distinti
accessi alla via pubblica; l’accertamento della
condizione di interclusione del fondo deve essere
effettuato con riferimento al fondo nel suo complesso e
non a singole parti di esso (cfr. Cass. 2/2/1995 n.
1258; Cass. 10/1/2003 n. 177, nella quale si dà rilievo
alla possibilità, per il proprietario di far cessare
l’interclusione);risulta pertanto corretta la decisione
che ha escluso l’interclusione, del resto in conformità

13

pubblica via o se tale argomentare comporti la

alla nozione di interclusione desumibile dallo stesso
art. 1051 c.c. secondo il quale si può ottenere il
passaggio coattivo attraverso il fondo del vicino a
condizione che il fondo sia circondato da fondi altrui,
ossia di altri proprietari.

permanessero i presupposti della servitù coattiva di
passaggio di cui al primo comma dell’art. 1051 c.c.
(interclusione e impossibilità per il proprietario di
procurarsi l’uscita sulla pubblica via senza eccessivo
dispendio o disagio) è corretta sotto il profilo logico
e giuridico ed inoltre non è stata trascurata o
insufficientemente esaminata l’interclusione del fondo
dominante connessa al piano di recupero con il quale
era prevista una determinata viabilità a senso unico.
Infatti, in base agli elementi istruttori acquisiti al
processo e alla CTU, la Corte di Appello ha rilevato
(v. pag. 12 della sentenza) che il fondo disponeva non
di uno, ma addirittura di due accessi alla via pubblica
dei quali uno (quello da via Aganoor come affermato
dalle convenute) utilizzabile per accedervi e uno
(quello su via Sanmicheli, come accertato dal CTU) per
l’uscita; la Corte ha altresì rilevato che non era
provata l’impossibilità di utilizzare l’uscita di via

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La motivazione con la quale è stato escluso che

Sanmichele, né che l’eventuale possibilità sarebbe
eccessivamente dispendiosa o che creerebbe eccessivo
disagio;

questa

ratio decidendi

non ha trovato

specifica censura nel motivo di ricorso,

salvo

nell’affermazione che la viabilità era stata così

Tuttavia neppure questa affermazione integra un fondato
motivo di ricorso.
La sentenza di appello ha correttamente affermato che
la viabilità interna dell’area era frutto di condotte
imputabili ai proprietari del suolo e che il Comune di
Padova aveva comunicato in data 21/6/1996 ad entrambe
le parti che il piano di recupero poteva essere
modificato, del resto in coerenza con le previsioni di
cui

all’art. 30 della legge n. 457 del 1978 che

disciplina i piani di recupero da iniziativa dei
privati; questa ratio decidendi non è stata attinta dal
motivo di ricorso e, inoltre, la previsione di una
particolare modalità di circolazione non incide

sul

decisivo rilievo che il fondo aveva ben due accessi
alla strada pubblica né è dato comprendere da questo
motivo (ma sul punto v.

infra con riferimento al quarto

motivo) per quali ragioni una diversa organizzazione
della viabilità richiederebbe dispendio di energie,

15

stabilita nel piano di recupero.

mentre la Corte di Appello ha invece affermato che
dalla CTU risultava che il fondo godeva di una agevole
immissione su via Sanmicheli (v. pag. 13 della sentenza
di appello).
4. Con il quarto motivo le società ricorrenti deducono

1051 e 1052 c.c. con riferimento al rigetto della
domanda riconvenzionale di costituzione di servitù
coattiva e sostengono che era in re ipsa

la prova che

non potevano procurarsi l’uscita sulla via pubblica
senza eccessivo dispendio o disagio in quanto, da un
lato, il piano comunale di recupero era divenuto
definitivo e, dall’altro, l’eventuale modifica avrebbe
comportato spostamento di accessi, creazione di
semafori e un traffico alterato; con il quesito le
ricorrenti chiedono se il rigetto della riconvenzionale
sia fondato su un corretto argomentare avuto riguardo
alla fattispecie concreta e a quanto disposto degli
artt. 1051 e 1052 c.c..
4.1 Il motivo
affermazioni

infondato perché si sostanzia in
(la prova dell’eccessivo

apodittiche

dispendio o disagio

sarebbe

in re ipsa)

e che non

risultano sviluppate nelle sedi di merito; infine non
risponde e non inficia le adeguate motivazioni della

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il vizio di motivazione e la violazione degli artt.

Corte territoriale secondo le quali il fondo godeva di
due accessi alla via pubblica e il Comune si era
dichiarato disponibile ad apportare una variante al
piano di recupero, ma le ricorrenti non l’avevano
richiesta.

anche parziale del ricorso, resta assorbito dal suo
integrale rigetto.
6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con
la condanna delle ricorrenti, in quanto soccombenti, al
pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti
società Rocca Pendice s.r.l. e OCSE Costruzioni s.r.l.
in solido a pagare ai controricorrenti Ferro Sergio,
Simioni Angelina, Ranzato Rosalba e Giuliani Maria le
spese di questo giudizio di cassazione che liquida in
euro 3.500,00 per compensi oltre euro 200,00 per
esborsi.
Così deciso in Roma, il 18/12/2013.

5. Il ricorso incidentale subordinato all’accoglimento

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