Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2921 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/02/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 10/02/2010), n.2921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5948-2008 proposto da:

M.G.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

DELLA BALDUINA, 128, presso lo studio dell’avvocato PAOLA CECCHIN,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO MARRA DE SCISCIOLO,

D’ACUNTO FRANCO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 255/2006 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 12/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARRA DE SCISCIOLO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato MADDALO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Il sig. M.G.G., ex dipendente del Banco di Napoli, ora in pensione, ha impugnato il silenzio rifiuto seguito alla sua richiesta di rimborso della ritenuta IRPEF operata dal Fondo di Previdenza Complementare per il Personale del Banco di Napoli, sulla somma che gli era stata corrisposta una tantum, nel dicembre del 2003 (dopo tre anni dal pensionamento), in luogo della pensione integrativa, secondo gli accordi intercorsi tra le parti. L’ente pagatore ha effettuato la ritenuta applicando l’aliquota del 37,45%, secondo il criterio della tassazione separata.

Il contribuente sostiene che la somma corrisposta dal FIP sfuggirebbe ad ogni classificazione reddituale e quindi non sarebbe tassabile, salvo che non lo si voglia classificare (tesi subordinata) come reddito di capitale assoggettabile all’aliquota del 12,50%, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42 (TUIR), vigente ratione temporis.

L’ufficio, invece, sostiene che trattasi di una somma percepita in sostituzione della pensione integrativa, alla quale il contribuente ha rinunciato in cambio della erogazione una tantum, che va quindi tassata per equivalente ai sensi dell’art. 6, comma 2, cit. TUIR. La commissione tributaria provinciale ha accolto la tesi subordinata, prospettata dal contribuente, ritenendo che nella specie dovesse essere applicata l’aliquota del 12%.

La commissione tributaria regionale, invece, ha accolto l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate, rigettando nel contempo quello incidentale del contribuente, sulla base dei seguenti rilievi:

a) in forza degli art. 46, comma 2, lett. a), e art. 48, comma 2, del cit. TUIR, nel testo vigente fino al 31 dicembre 2003, le pensioni di ogni genere costituivano reddito di lavoro dipendente e che, comunque, il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme percepite a qualsiasi titolo, nel periodo di imposta, in relazione al rapporto di lavoro (premessa in diritto);

b) in punto di fatto, gli accantonamenti effettuati presso il FIP, in favore dei dipendenti del Banco di Napoli “costituiscono una forma di retribuzione indiretta e differita, certamente connessa con il rapporto di lavoro, che concorre a formare il reddito del periodo di imposta in cui viene percepita”; tant’è che i supplementi di pensione di cui avrebbe goduto il M., “se non fosse intervenuta la liquidazione una tantum in esame, sarebbero stati assoggettati ad IRPEF all’atto della loro percezione”;

c) pertanto, la somma riscossa dal contribuente “rappresenta un provento conseguito in sostituzione di redditi di pensione e, come tale, rientra nella stessa categoria ed è tassabile alla stregua dei redditi sostituiti (art. 6), con le modalità della tassazione separata, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. a bis)”;

d) contrariamente a quanto ritenuto dalla CTP, non è applicabile il regime fiscale previsto dall’art. 42, comma 4, cit. TUIR, relativo al reddito di capitale, perchè i beneficiari della erogazione non hanno pagato alcun premio di assicurazione, nè è stata fornita “alcuna prova che sui capitali accantonati siano stati pagati contributi previdenziali obbligatori e che gli stessi siano stati inclusi nella somma liquidata”.

Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza di appello, sulla base di sette motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e con memorie.

Diritto

1. Il ricorso non può trovare accoglimento. La sentenza impugnata appare congruamente motivata in fatto ed in diritto.

2. Giova premettere che:

– non è nemmeno ipotizzabile la tesi della assoluta intassabilità della somma in questione, che sarebbe comunque in contrasto con il principio costituzionale, secondo il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1, che sancisce il principio di completezza dell’ordinamento giuridico tributario), tanto che anche i proventi derivanti da attività illecite devono essere fiscalmente incisi (L. n. 537 del 1993, art. 14, commi 4 e 4 bis);

– eventuali esenzioni devono essere espressamente previste dal legislatore, sulla base di una ratio che sia compatibile con il principio generale di contribuzione (il tutto con onere probatorio a carico del contribuente);

– in punto di fatto è pacifico che la somma corrisposta al ricorrente deriva da accantonamenti fatti dall’ente datore di lavoro, senza alcuna contribuzione del beneficiario, e che se lo stesso contribuente avesse optato per il pagamento mensile, invece che per il pagamento una tantum, non avrebbe potuto disquisire in alcun modo sulla tassabilità del trattamento pensionistico aggiuntivo.

Tanto premesso, è evidente che non siamo in presenza di una forma di capitalizzazione di cui all’art. 42, comma 4, cit. TUIR, che presuppone il pagamento di premi, nè di reddito che possa essere dichiarato esente soltanto perchè non sarebbe direttamente classificabile in alcuna categoria, posto che invece trattasi di reddito sostitutivo di pensione.

3. Venendo all’esame dei singoli motivi, la parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art 360, n. 3, c.p.c. e vizi di motivazione della sentenza impugnata, eccependo che la CTR avrebbe fatto menzione di varie categorie reddituali senza poi specificare quale si attaglierebbe alla fattispecie in esame. Più specificamente, la parte ricorrente pone alla Corte il seguente quesito: “se sia nulla la sentenza la cui motivazione sia contraddittoria ed illogica per avere indicato tre ipotesi, tra loro alternative, di norme applicabili al caso deciso, senza aver precisato nè le ragioni di una eventuale graduatoria tra le norme stesse, nè le ragioni di una ipotetica concorrenza e cumulabilità delle stesse”. Sostanzialmente, la parte ricorrente lamenta che la CTR avrebbe enunciato principi teorici senza poi effettuare una scelta. Se così fosse la motivazione sarebbe carente e non certo contraddittoria, ipotesi che implica scelte antinomiche e non, come si assume nella specie, una mancanza di scelta. Così pure è da escludere il vizio della motivazione illogica, se la premessa è che non ci sia stata una scelta. In realtà, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la CTR ha chiarito che la tassazione è stata correttamente effettuata, considerando che la somma è stata corrisposta al M. in luogo della pensione aggiuntiva, con il conseguente regime irpef, in forza del combinato disposto dell’art. 48, comma 1, e art. 6, comma 2, cit. TUIR vigente ratione temporis, stabilendo, quindi, che si tratta di proventi conseguiti in sostituzione di pensione, ai quali non può essere applicato il regime impositivo di cui all’art. 42, comma 4, cit. TUIR, per mancanza dei relativi presupposti.

4. Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 e art. 51, comma 1 cit. TUIR (art. 46 e art. 48, comma 1, al momento del prelievo), la parte ricorrente eccepisce che la somma percepita dal M. non costituisce reddito di lavoro dipendente perchè erogato da un ente terzo in un’ unica soluzione. Più specificamente, viene prospettato alla Corte il seguente quesito di diritto, “se oggetto della disciplina di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 49 e 51 sia ogni somma e valore corrisposto periodicamente al lavoratore nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente, comprese le pensioni integrative, purchè corrisposte dal datore di lavoro utilizzando risorse proprie o di un fondo aziendale e, con esclusione, pertanto, delle prestazioni una tantum corrisposte al pensionato da un Fondo Pensione nell’ambito di un rapporto previdenziale”. Sfrondato dei profili di merito che eventualmente la parte ricorrente avrebbe dovuto denunciare in maniera auto sufficiente come vizio di motivazione, al quesito va data risposta affermativa, nel senso che nessuna disposizione impedisce di considerare come reddito di lavoro dipendente, le pensioni corrisposte dagli enti previdenziali, anche se erogate in un’unica soluzione, allorquando, come nella specie, non si tratti di capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, posto che il beneficiario non ha pagato alcun premio, ma si è limitata a beneficiare della erogazione, in unica soluzione anzichè con rate mensili, beneficiando altresì della tassazione separata, invece che ad aliquota piena. Il fatto che le pensioni, o le erogazioni equivalenti, vengano pagate da un ente terzo, e non dal datore di lavoro, non elide il nesso genetico con il rapporto di lavoro che ha determinato la nascita del trattamento previdenziale. Nè rileva il fatto che trattasi di somma percepita una tantum, posto che nemmeno tale modalità di pagamento recide il vincolo di dipendenza dal rapporto di lavoro. Basta pensare al trattamento fiscale del TFR o di altre erogazione effettuate per incentivare l’esodo. In concreto, il M. aveva la possibilità di ottenere la pensione integrativa, che sarebbe stata assoggettata ad IRPEF con applicazione dell’aliquota marginale, invece ha preferito “vendere” la pensione integrativa al prezzo dell’arar tantum, concordata ed accettata, assoggettata al prelievo fiscale previsto per il trattamento pensionistico (per il criterio di tassazione per equivalenza), beneficiando nel contempo della applicazione della aliquota ridotta prevista per la tassazione separata.

5. Con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 8, 12, 17 e 19, cit. TUIR, la parte ricorrente prospetta il seguente quesito: “se i redditi di lavoro dipendente e di pensione periodica di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 49 e 51 siano soggetti all’imposta determinata ai sensi degli artt. 3, 8 e 12 dello stesso D.P.R., a tassazione ordinaria, mediante cumulo di tutti gli altri redditi del soggetto percettore; mentre le indennità di fine rapporto percepite una volta tanto e contemplate dall’art. 17 stesso D.P.R. siano soggette all’imposta determinata a tassazione separata ai sensi del successivo art. 19; per cui, non può essere assoggettata a tassazione separata una prestazione che, per sua natura, sia inquadrabile nella disciplina degli artt. 49 e 51; nè può ritenersi rientrare nella previsione dell’art. 17, comma 1, lett. a bis) e, quindi tassabile ai sensi dei successivi artt. 19 e 20 del D.P.R. in questione la liquidazione totale del capitale maturato da parte di un Fondo Pensione istituito ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993”.

In sintesi, si chiede di sapere se, una volta che sia stato stabilito che si tratta di reddito di lavoro dipendente da assoggettare quindi a tassazione ordinaria, secondo i criteri fissati dal legislatore, sia poi legittimo applicare la tassazione ridotta prevista per specifiche fattispecie, tra le quali non rientrerebbe quella in esame, soggetta invece alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993. A parte il riferimento errato alle disposizioni legislative entrate in vigore il 1 gennaio 2004, quindi non vigenti all’epoca, la censura è inammissibile sotto un duplice profilo. Infatti, partendo dal presupposto che si tratti di reddito di lavoro dipendente, l’eccezione che erroneamente la somma sia stata assoggettata al prelievo con il criterio, più vantaggioso, della tassazione separata, invece che secondo la disciplina ordinaria è inammissibile per carenza di interesse, perchè se venisse accolta porterebbe alla conclusione che il prelievo fiscale dovrebbe essere integrato. E’ inammissibile poi anche nella parte in cui il ricorrente assume che si tratterebbe di una erogazione la cui disciplina fiscale andava ricercata nel D.Lgs. n. 124 del 1993, perchè la tesi è nuova o quanto meno prospettata in maniera non auto sufficiente (quando, come e dove la tesi è stata prospettata e sulla base di quali presupposti di fatto?). Dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che tale tesi sia stata prospettata, nè è stata formulata una specifica ed autosufficiente censura di omessa pronuncia sul punto. Risulta invece che il M. ha inteso sostenere la tesi della non tassabilità della somma in questione, perchè asseritamente non classificabile in nessuna delle categorie reddituali indicate dal legislatore (salvo la tesi subordinata, altrettanto infondata, della tassazione come reddito di capitale), benchè non fosse espressamente esclusa dalla tassazione da una apposita disposizione. Tesi che, peraltro, come già accennato, contrasta con il principio di completezza dell’ordinamento giuridico tributario. Nè può eccepirsi che l’applicazione della normativa sulla disciplina delle forme pensionistiche complementari dovrebbe essere applicata in base al principio iura novit curia, essendo mancato il contraddittorio sui presupposti di fatto necessari per l’applicazione di tale normativa.

6. Con il quarto motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. a) e art. 6, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, unitamente a vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, viene riproposta la tesi secondo la quale la vicenda giudiziaria avrebbe ad oggetto un “caso anomalo di attribuzione patrimoniale e non reddituale, come tale non assoggettabile a nessuna tassazione” (p. 22 ricorso). Tale tesi però (a parte la incomprensibilità della espressione “attribuzione patrimoniale anomala”, dietro la quale si vorrebbe dissimulare l’esistenza di un reddito che nessuna disposizione esclude dalla tassazione) poggia su presupposti di fatto diversi da quelli accertati dalla CTR, secondo la quale, invece, la somma assoggettata a tassazione costituisce l’anticipazione in un’unica soluzione di somme che avrebbero dovuto essere corrisposte a titolo di pensione integrativa. Nè risulta che il M. abbia contribuito in alcun modo alla costituzione del fondo. In definitiva, il quarto motivo, a parte la errata indicazione dell’art. 17, cit.

TUIR (si tratta invece dell’art. 16, cit. TUIR vigente ratione temporis) presuppone una diversa ricostruzione dei fatti, che attiene al merito e che viene ipotizzata in questa sede in maniera non autosufficiente. Il ricorrente assume che il capitale che gli è stato corrisposto “è niente altro che l’effetto diretto dell’accordo con il Fondo, in forza del quale il pagamento stesso è stato determinato al di fuori e indipendentemente da ogni schema previdenziale ed attuariale, ed è stato definito a stralcio e forfettariamente: la più volte citata nota del Fondo in data 3-3- dice a saldo e stralcio” (p. 21 e s. ricorso). E’ evidente che si tratta di censure che attengono, ancora una volta, al merito della vicenda in esame, che non risulta che siano state formulate in precedenza e comunque vengono oggi proposte senza la specifica indicazione del come e quando sarebbero già state prospettate ai giudici di merito. Tutto ciò rende il motivo inammissibile, anche perchè fa riferimento a documenti che (se anche si trattasse di censura prospettata in maniera autosufficiente e non per la prima volta in questa sede) avrebbero dovuto essere depositati ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità. Il quesito prospettato risente di questa inammissibile impostazione del motivo e si conclude replicando l’assunto che saremmo in presenza di materia reddituale non imponibile perchè non ricollegabile al rapporto di lavoro, tesi che non corrisponde alla ricostruzione dei fatti acquisita dalla CTR. Infine, il preteso vizio di motivazione non è corredato di autonomo ed autosufficiente quesito-sintesi (Cass. 2652/2008).

7. Analoghe considerazioni valgono per il quinto motivo, con il quale, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 19, comma 2, art. 55, comma 2, lett. d), cit. TUIR e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 e vizi di motivazione, la parte ricorrente si duole della mancata deduzione, dalla somma imponibile, dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per legge e della mancata deduzione del 12,50% previsto dall’art. 52, comma 1, lett. d), cit. TUIR. La censura attiene alla formazione della base imponibile e non risulta che sia stata formulata in precedenza. Anzi, ancora una volta va ricordato che la richiesta di rimborso del contribuente fa leva esclusivamente sulla non tassabilità (o tassabilità ex art. 42, cit. TUIR) dell’ una tantum, per cui le questioni attinenti alla formazione della base imponibile, che comunque attengono al merito, sono fuori della materia del contendere.

Quanto alle censure che involgono vizi di motivazione ed omessa valutazione di prove, il motivo non è corredato di quesito di diritto e/o sintesi di fatto (Cass. 2652/2008), e, quindi, è inammissibile.

Anche in relazione a questo motivo vengono citati documenti che non risultano depositati, determinandone la improcedibilità.

8. Anche gli ultimi due motivi di ricorso sono inammissibili, in quanto prospettano questioni nuove o di merito e non autosufficienti.

Le censure di omessa motivazione, formulate in relazione ad entrambi i motivi sono privi di quesito-sintesi e, quindi, per ciò stesso inammissibili, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, già ricordata, “Il complesso normativo costituito dall’art. 366 c.p.c., n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5 – nel testo risultante dalla novella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – deve interpretarsi nel senso che, anche per quanto concerne i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione del motivo deve essere accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. In base a siffatta interpretazione, la norma di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ. si sottrae, “in parte qua”, a censure di incostituzionalità in riferimento agli artt. 76, 77, 24 e 111 Cost., art. 117 Cost., comma 1, (quest’ultimo parametro in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU), giacchè: 1) quanto alla supposta violazione degli art. 76 e 77 Cost., l’onere imposto al ricorrente assolve ad una funzione servente rispetto ai compiti di nomofilachia della Corte di cassazione, così inscrivendosi nell’oggetto e nelle finalità ispiratrici della Legge Delega n. 80 del 2005; 2) quanto al preteso contrasto con gli artt. 76, 77, 24 e 111 Cost., art. 117 Cost., comma 1, non sussiste una limitazione del diritto di accesso al giudice, tenuto conto che il requisito di contenuto-forma (consistente nel ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nella illustrazione del motivo) costituisce un mezzo di esercizio” (Cass. 2652/2008).

Con il sesto motivo, infatti, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 19, comma 1, ultima parte la parte ricorrente ipotizza, ma non dimostra, che possano essersi verificati errori nella determinazione della ritenuta operata. Il motivo è inammissibile perchè nuovo, generico, attiene al merito, non è auto sufficiente e non evidenzia un interesse concreto del contribuente (si tratta di un errore che lo ha favorito o lo ha danneggiato?).

Con il settimo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 45, comma 4, cit. TUIR (art. 42 all’epoca dei fatti), sul presupposto che la somma versata al M. sarebbe non la contropartita della rinuncia alla pensione integrativa, così come accertato dalla CTR, ma la capitalizzazione di contributi accantonati, con la partecipazione del contribuente, e della relativa rendita. La censura è inammissibile perchè tende ad una rivalutazione in fatto della intera vicenda, prospettando anche censure nuove e/o non autosufficienti.

9. Conclusivamente, è da condividere la statuizione della CTR, secondo la quale la somma corrisposta al M., alla stregua della ricostruzione dei fatti, correttamente è stata assoggettata a tassazione separata ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. a bis), cit. TUIR, che riguarda proprio le prestazioni pensionistiche complementari, comunque erogate, anche in forma di capitale. Tutte le altre considerazioni e citazioni giurisprudenziali non sono pertinenti e comunque sono assorbite dalle osservazioni già svolte.

Conseguentemente, il ricorso deve essere rigettato. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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