Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29206 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. I, 13/11/2018, (ud. 17/10/2018, dep. 13/11/2018), n.29206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

su ricorso nr. 12476/2018 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Torino 7 presso lo

studio dell’avv.to Laura Barberio, rappresentato e difeso

dall’Avv.to Gianluca Vitale giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che Io rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso IL DECRETO n. 773/2018 del TRIBUNALE DI TORINO, in data

7/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/10/2018 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Fiore Ornella con delega

dell’Avv.to Gianluca Vitale che si riporta e chiede l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Torino sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 7/3/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino in ordine alle istanze avanzate da A.B. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Pakistan, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino di essere fuggito dal proprio paese in quanto perseguitato dai fratellastri, che dopo la morte del padre, si erano appropriati di tutti i terreni in eredità escludendo lui e suo fratello minore.

Coinvolto poi nella drammatica situazione determinata dalle piogge monsoniche del 2013 che avevano colpito diverse regioni di Pakistan e provocato centinaia di morti si era allontanato da casa e dopo essere transitato in Grecia era arrivato in Italia.

Avverso il decreto del Tribunale di Torino ha proposto ricorso per cassazione A.B. affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, artt. 8,3 e art. 27, comma 1 bis, come modificato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13; D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,comma 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Torino ha violato i criteri legali per la valutazione di credibilità del ricorrente e respinto la domanda.

Il motivo è infondato e deve essere respinto.

Il Tribunale di Torino ha confermato il provvedimento della Commissione Territoriale ritenendo non credibili le affermazioni del ricorrente in quanto incoerenti, inattendibili ed inverosimili, comunque relative ad un fatto meramente privato e familiare che non giustificava la richiesta di protezione internazionale.

La censura mossa dal ricorrente di violazione dei criteri legali per la valutazione di credibilità del ricorrente è del tutto generica ed imprecisa e non spiega perchè il giudice territoriale avrebbe violato i criteri di valutazione della credibilità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Al contrario la sentenza impugnata ha dato conto diffusamente ed esaurientemente delle ragioni per le quali ritiene non credibile il racconto del ricorrente.

Il motivo di ricorso, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra tuttavia appare evidente che Il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale. Ovviamente il Giudice deve sempre indicarl criterio utilizzato per negare coerenza o attendibilità alla narrazione e motivare adeguatamente il risultato della sua valutazione.

Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria del Giudice, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. sez. 6-1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018).

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,5 e 14, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Torino, negando la sussistenza dei presupposti non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria al ricorrente perchè la minaccia di danno grave alla sua persona proveniva da soggetti non statuali e cioè parenti e familiari, nonostante l’assenza di un’autorità statuale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela e protezione.

Il secondo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria.

Questa Corte ha poi affermato che il danno grave può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato in assenza di un’autorità statuale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela e protezione. Tuttavia nella fattispecie il ricorrente non indica nemmeno quali sarebbero le organizzazioni private che lo minacciano (afferma solo di temere i fratellastri) e non spiega perchè l’autorità pakistana non sarebbe in grado di tutelarlo.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5, e 19, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Torino, nonostante il rischio di danno grave alla persona al quale si troverebbe esposto in caso di rientro e le violenze subite dal ricorrente, violando il dovere di cooperazione istruttoria del Giudice non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il terzo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto.

In ordine ai motivi di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano (art. 5, comma 6, cit.), in costanza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass., sez. un., n. 19393/2009 e Cass., sez. un., n. 5059/2017), in disparte l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, occorre premettere che tali motivi apprestano una tutela residuale per le situazioni di vulnerabilità inerenti a diritti umani fondamentali alle quali, in base ad un giudizio prognostico, lo straniero sarebbe esposto in caso di suo rimpatrio. Anche in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

La valutazione delle “violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani” deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente e deve quindi tener conto anche delle sue allegazioni e dell’attendibilità del suo racconto, il cui apprezzamento costituisce una tipica valutazione di merito da riferirsi alla persona del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. 286 cit., art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso” (Cass. n. 4455 del 2018).

Nella specie, la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata la sua assenza e l’incapacità dello stato di offrire tutela e protezione.

La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Per quanto sopra deve essere rigettato il ricorso proposto in ordine a tutti i motivi con condanna alle spese del giudizio di legittimità.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso in ordine a tutti i motivi proposti. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente che si liquidano in Euro 2000,00 ci cui Euro 100,00 per spese oltre spad.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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