Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29202 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2020, (ud. 24/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18342-2019 proposto da:

AREA UNO SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato SALVATORE LA BELLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI MODENA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2800/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La società Area Uno srl proponeva ricorso per la cassazione della sentenza n. 40/18/11 del 18 aprile 2011 con la quale la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, a conferma della prima decisione, aveva ritenuto legittimo l’avviso di rettifica e liquidazione notificato il 13 febbraio 2007 dall’agenzia delle entrate – per imposta di registro, ipotecaria e catastale sull’atto 25 febbraio 2005.

Atto con il quale era stato ad essa conferito, in sede di aumento del capitale sociale, un terreno edificabile non urbanizzato situato nel comune di San Felice sul Panaro di valore dichiarato di Euro 60.000,00 al netto di un mutuo ipotecario; successivamente rettificato dall’ufficio in Euro 4.703.000,00 ed infine, in esito ad autoannullamento parziale, rideterminato dall’amministrazione finanziaria, al netto delle passività, in Euro 2.500.000,00 (Euro 1.630.000,00 ai fini dell’imposta di registro).

La Suprema Corte cassava la decisione ritenendo non corretta la valutazione dei criteri di quantificazione del valore venale del terreno in quanto la decisione si era basata su parametri inidonei a giustificare la fondatezza dell’avviso.

Osservava per quanto riguarda la stima Ute che il giudice di appello non ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui (Cass. 14418/14 ed altre) “in tema di INVIM e di imposta di registro, poichè dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente, la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale, prodotta dall’amministrazione finanziaria costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto. Nondimeno, nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente”. Se è dunque vero che anche la perizia UTE (che è, a tutti gli effetti, la consulenza di una parte paritetica del giudizio) può fondare il convincimento del giudice, altrettanto vero è che questi deve dare adeguata e completa motivazione delle ragioni di adesione ad essa; cosa che nella specie non è avvenuta, se non con richiamo ad ulteriori parametri valutativi a loro volta inficiati.

Per quanto concerne i parametri ai fini Ici, la Suprema Corte evidenziava che il giudice di merito non aveva esplicitato le ragioni per cui gli stessi dovessero considerarsi validamente dimostrativi del valore venale rettificato dall’ufficio; segnatamente non erano state precisati i motivi per cui dovevano essere disattese le contestazioni mosse dal contribuente, secondo cui si trattava di valutazioni Ici comunque inattendibili allo scopo, perchè: relative ad annualità successiva (2006) a quella del conferimento; – riferite comunque a terreni di completamento già urbanizzati, diversamente (nel 2005) da quello conferito; successivamente superate (2007) dalla stessa amministrazione comunale mediante adozione di una valutazione a mq. nettamente inferiore. Ciò a maggior ragione nell’osservanza dell’orientamento di legittimità (da ultimo, Cass. 21830/16, con richiamo a Cass. 15078/04 e 7903/16) secondo cui, ferma restando la possibilità di stima sulla base di indicazioni di diverso tipo provenienti dai Comuni, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 51, comma 3: “in tema d’imposta di registro, al fine di determinare il valore venale del bene, e dunque la base imponibile, non possono essere utilizzati i criteri di determinazione dell’ICI, attesa l’occasionalità dell’imposta di registro rispetto alla periodicità, e dunque ripetitività, dell’ICI la cui quantità va determinata di anno in anno con riferimento al primo giorno del periodo di imposta”.

Per ciò che attiene all’iscrizione ipotecaria, infine, sottolineava che la medesima commissione tributaria regionale aveva rilevato che si non trattava di “prova certa” del valore venale del bene, affidandosi piuttosto ad una mera “supposizione” basata su ciò che normalmente accade (iscrizione per il valore doppio del mutuo). Senonchè, essa non dava poi logicamente conto del fatto che tale criterio (in presenza di un mutuo dalla stessa indicato in Euro 1.740.000,00, e dunque comportante un’iscrizione per il doppio) finisse con il trovare smentita nello stesso provvedimento di autoannullamento dell’amministrazione finanziaria (recante un valore inferiore, di Euro 1.630.000,00, per imposta di registro).

Da qui la cassazione della sentenza ed il rinvio alla CTR che in diversa composizione doveva riconsiderare il punto decisivo per il giudizio, rappresentato dal valore venale del terreno al momento del conferimento, sulla base delle sopra menzionate indicazioni.

Con sentenza nr 2800 depositata in data 4.12.2018 la CTR dell’Emilia Romagna, adita in sede di riassunzione dal contribuente, riteneva di confermare la stima del valore dell’immobile così come indicata nell’avviso di accertamento.

Rilevava che tale stima proveniente dall’Ufficio tecnico erariale prendeva in considerazione dati oggettivi e comparatistici ed anche i profili tecnici di valutazione forniti dallo stesso contribuente nel momento in cui si era instaurato il contraddittorio con l’Ufficio.

Avverso tale decisione Salvatore La Bella propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

Ritenuto che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione di legge.

Lamenta che la CTR, nonostante l’affermata non utilizzabilità dei parametri valutativi, riferendosi alla sola stima UTE, ha ritenuto di confermare la valutazione già espressa in forma di perizia di parte considerandola sufficiente a fondare la determinazione di maggior valore con la semplice variazione delle modalità di esposizione senza tenere nel debito conto i motivi di inattendibilità della perizia di parte redatta da un Istituto accreditato quale è Nomisma.

Con un secondo motivo denuncia la violazione di legge per la mancata liquidazione in ordine alle spese della fase di liquidazione.

Va, preliminarmente, rilevato che non può affermarsi l’inammissibilità del motivo di ricorso in ragione della mancata individuazione delle norme di diritto che si assumono violate.

Sul punto, questa Corte intende dare continuità al proprio orientamento che esclude l’inammissibilità dell’impugnazione per il solo fatto che sia stata omessa l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, atteso che la loro presenza nel contenuto del ricorso non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile dello stesso, ma è solo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i limiti della censura formulata, sicchè la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della doglianza solo se gli argomenti addotti dalla parte ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass. 7 novembre 2013, n. 25044; Cass. n. 21189 del 20 settembre 2017; Cass. 23851/2019).

Dalla illustrazione del primo motivo è chiaramente evincibile il contenuto della doglianza fatta valere.

Il contribuente infatti si duole della violazione dell’art. 384 c.p.c. ritenendo che il giudice di rinvio avrebbe stravolto quanto affermato dalla Corte di cassazione determinando la stima sulla base di quei criteri considerati dalla Suprema Corte inadeguati.

Deve premettersi che nell’ipotesi della cassazione con rinvio per vizio di motivazione, il giudice di merito conserva tutti i poteri di indagine e di valutazione della prova, potendo compiere anche ulteriori accertamenti giustificati dalla sentenza di annullamento e dall’esigenza di colmare le carenze da questa riscontrate, tranne che in ordine ai fatti che la sentenza medesima ha considerato definitivamente accertati, per non essere investiti dall’impugnazione, nè in via principale nè in via incidentale, e sui quali la pronuncia di annullamento è stata fondata (Sez. 1, Ord. n. 31901 del 2018).

In altri termini nel giudizio di rinvio, l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione opera solo con riferimento ai fatti che il principio di diritto enunciato presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito. In caso diverso, quando la cassazione avvenga sia per vizi di violazione di legge che per vizi di motivazione, essa non incide sul potere del giudice di rinvio non solo di riesaminare i fatti, oggetto di discussione nelle precedenti fasi, non presupposti dal principio di diritto, ma anche, nei limiti in cui non si siano già verificate preclusioni processuali o decadenze, di accertarne di nuovi da apprezzare in concorso con quelli già oggetto di prova.

Nel caso di specie la Corte di merito, nel rispetto della specifica latitudine attribuita dalle coordinate apposte dal giudice di legittimità all’ambito decisionale nel giudizio di rinvio, ha emendato il vizio di motivazione che aveva determinato la cassazione della precedente sentenza ed ha chiarito con una motivazione più approfondita le ragioni per le quali, la stima dell’Ute sia da considerare corretta.

Ha infatti spiegato che la perizia dell’Ufficio era stata svolta considerando l’immobile inserito in un contesto territoriale più ampio e con una valutazione comparativa riferita a situazione di fatto aventi apparentemente il medesimo inquadramento immobiliare anche in vista di successive urbanizzazioni.

Ha osservato al riguardo che vengono in considerazione varie zone comunali ((OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) in un medesimo contesto temporale e con verifica dei rogiti aventi analogo oggetto.

La CTR, ben lungi dal far proprie in modo acritico le valutazioni della consulenza di parte, ha giudicato il valore ivi riportato corretto in quanto fondato su riscontri oggettivi ed ha fornito una adeguata spiegazione del suo convincimento.

Ha poi anche preso in esame le rilevazioni immobiliari fornite dal Nomisma cui aveva fatto riferimento il contribuente spiegando le ragioni per le quali le stesse non potevano essere utilizzate ai fini in questione.

La CTR in proposito ha osservato che le valutazioni comparative dell’Ute facevano riferimento ad una diversità effettiva tra i vari Comuni ed esprimevano una valutazione inferiore con riguardo al Comune di San Felice al Panaro ove era situato il terreno in questione il che rendeva oggettivamente credibile la stima riportata nell’avviso.

Ha infine aggiunto che il valore dell’area determinato dal contribuente in misura pari ad Euro 930.000,00 inferiore ai valori Ici dell’anno 2001 non aveva preso in considerazione gli aumenti dei prezzi intervenuti nelle more intervenuto sino all’anno di imposta in oggetto.

Con il secondo motivo il ricorrente ha contestato l’omessa o insufficiente motivazione in merito alla liquidazione delle spese della fase di cassazione che a suo dire non sarebbe stata in alcun modo giustificata.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Trattandosi di sentenza pubblicata il 22.11.2012 deve essere applicato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale deve essere interpretato come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7.4.2014).

Nel caso in esame il ricorrente non denuncia alcun omesso esame di un fatto storico ma censura globalmente ed indistintamente la motivazione con cui la C.T.R. ha giustificato la compensazione delle spese relative alla fase di legittimità.

Nel merito va applicato il principio per cui, in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione, e, tuttavia, complessivamente soccombente, al rimborso delle stesse in favore della controparte (Cass. 9 ottobre 2015, n. 20289; Cass. 2019 n. 10245).

La decisione pertanto assunta dalla CTR è conforme a tale principio laddove ha ritenuto di disporre nel quadro di una valutazione complessiva la compensazione delle spese in ragione della reciproca soccombenza e della difficoltà oggettiva della materia.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

 

 

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