Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29200 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. I, 13/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 13/11/2018), n.29200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15276/2014 proposto da:

D.M.G.N., D.M.M.,

D.M.T., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi

dall’avvocato Rienzo Antonio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Auletta;

– intimato –

avverso la sentenza n. 81/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 06/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2018 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 81/2014, – pronunciata in giudizio promosso da D.M.M., D.M.G.N., D.M.M., D.M.T. ed D.M.E., nei confronti del Comune di Auletta, al fine sentire condannare il convenuto al pagamento della somma di Euro 500.000,00 a titolo di ulteriore contributo, ai sensi della L. n. 219 del 1998, conseguente ad una perizia di variante, presentata nel 1990, per la ricostruzione dell’immobile di loro proprietà danneggiato dal terremoto del 1980 e compreso nel piano di recupero approvato dal Comune (richiesta che era stata respinta da quest’ultimo, in quanto, ad avviso dell’Ente territoriale, la perizia di variante presentata dai proprietari integrava un nuovo e diverso progetto, laddove il Comune, con l’erogazione del contributo iniziale aveva anche assolto agli oneri connessi al risanamento dell’edificio, inserito nel piano comunale di recupero del centro storico), – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto la domanda attrice, perchè non provata.

In particolare, la Corte d’appello, pur respingendo l’appello incidentale del Comune, in ordine all’inapplicabilità del T.U. n. 76 del 1990, art. 18, comma 4 e ritenendo quindi tempestiva la richiesta di assegnazione di contributo ulteriore a quello già erogato per effetto di perizia di variante, ha rilevato che, essendo ammesse, ai sensi dell’art. 21, comma 3 del predetto T.U. soltanto perizie di varianti che non comportino variazioni in aumento superiori al 10% del contributo assegnato, era onere degli attori produrre gli elaborati progettuali originari e quelli relativi alla variante, al fine di consentire il loro necessario raffronto, anche alla luce delle contestazioni mosse dall’Ente comunale, onere che non poteva essere supplito da un’acquisizione d’ufficio da parte del giudice ovvero da una consulenza tecnica d’ufficio ovvero attraverso la tardiva produzione in appello. Avverso la suddetta sentenza, D.M.G.N., D.M.M. e D.M.T. propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Comune di Auletta (che non svolge attività difensiva).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti lamentano, con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt.112 e 345 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo gli attori, in primo grado, formulato una domanda di mero accertamento della valida presentazione della domanda di contributo per variante, respinta dal Comune in quanto ritenuta tardiva, con esame della stessa, ai fini dell’ammissibilità e quantificazione del contributo, riservato alla Commissione esaminatrice comunale; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 345 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile la documentazione esibita in grado di appello (gli elaborati progettuali della perizia di variante).

2. La prima censura è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondata.

Va premesso che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum”, trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass. 17109/2009; Cass. 21421/2014).

Ora, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c. – che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda – deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del “petitum”, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 919/1999; Cass. 6945/2007). Tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione.

Assume il ricorrente che la domanda giudiziale proposta, avverso il provvedimento comunale di diniego dell’ulteriore contributo per la ricostruzione dell’immobile danneggiato dal sisma del 1980 richiesto, era limitata al mero accertamento dell’ammissibilità della richiesta, avendo il Comune motivato il diniego con la decadenza dei richiedenti, trattandosi, per come ritrascritto in ricorso (pag. 2), di “variante sostanziale al progetto approvato nel 1983 non prodotta nel termine previsto dal D.Lgs. n. 79 del 1990”.

Senonchè, da un lato, la contestazione ex art. 112 c.p.c., avrebbe dovuto essere mossa anche avverso la decisione di primo grado, la quale pure era stata nel senso della reiezione della domanda per difetto di prova, riguardo alla questione relativa alla spettanza dell’ulteriore contributo di Euro 500.000,00 per la ricostruzione, in aggiunta a quello già erogato.

In ogni caso, la censura è infondata, in quanto oggetto del giudizio era l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento di ulteriore contributo per la ricostruzione dell’edificio, richiesto nel 1990, ed a tale fine vi era necessità di vagliare la natura della variante, posta a fondamento della richiesta, anche alla luce delle contestazioni mosse in giudizio dal Comune. Oggetto del giudizio in esame non è infatti il mero accertamento dell’illegittimità del provvedimento adottato dal Sindaco in ordine all’istanza di concessione del contributo, ma la verifica della sussistenza dei requisiti necessari per il riconoscimento del relativo diritto, rispetto al quale l’erroneità della motivazione addotta a sostegno del predetto provvedimento, pure dichiarata in primo grado, riveste una portata assai circoscritta, avendo lo stesso ad oggetto la sussistenza di uno solo dei requisiti prescritti dalla legge, e non risultando pertanto idoneo a precludere l’accertamento degli altri requisiti (cfr. in motivazione, Cass. 15407/2016).

3. La seconda censura è assorbita, nella parte in cui il ricorrente lamenta che, ritenuta tempestiva la richiesta, il giudice di merito avrebbe dovuto “demandare al Comune di Auletta per la quantificazione ed erogazione del contributo ammissibile”, così reiterando l’erronea prospettazione posta a base del primo motivo, già respinto.

In ogni caso, la stessa è inammissibile.

Assumono i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe, contraddittoriamente, ritenuto la produzione documentale (gli elaborati progettuali della perizia di variante) non indispensabile ai fini del decidere e non sufficiente, stante la mancata esibizione del progetto originario, dopo avere ritenuto la stessa produzione tardiva.

La Corte distrettuale ha, invece, ritenuto che, da un lato, il nuovo disposto dell’art. 345 c.p.c., quale modificato dalla L. n. 134 del 2012, non consentiva nuove produzioni documentali, anche se indispensabili ai fini del decidere, e che, dall’altro lato, anche a voler ritenere operante la precedente formulazione dell’art. 345 c.p.c., la nuova documentazione non era indispensabile ai fini del decidere e dunque non poteva essere acquisita. Ora, non viene censurata la prima ratio decidendi, avente valenza autonoma, con conseguente inammissibilità della doglianza per carenza di interesse.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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