Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29199 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 12/11/2019), n.29199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28537/2013 R.G. proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’avv. Vito A. Martelli,

con domicilio eletto presso lo studio legale Di Benedetto &

Associati, sito in Roma, via Cicerone, 28;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, sez. dist. di Livorno, n. 72/14/13, depositata il 10 luglio

2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– C.S., esercente attività di commercio di autoveicoli nuovi E usati, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, sez. dist. di Livorno, depositata il 10 luglio 2013, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2007, recuperate le imposte non versate e irrogate le relative sanzioni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che le riprese fiscali traevano origine dalla contestazione dell’effettuazione di operazioni soggettivamente inesistenti;

– il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha disatteso il gravame del contribuente, ritenendo che, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, quest’ultimo non avesse provato la sua estraneità meccanismo fraudolento in cui le operazioni si inserivano o, comunque, la mancata conoscibilità dello stesso;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. e chiede che la causa sia trattata in pubblica udienza;

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– non ricorrono gli estremi per la sollecitata trattazione del ricorso in pubblica udienza, in quanto, anche in considerazione della consolidata giurisprudenza formatasi sul punto, la questione di diritto sottoposta non presenta particolare rilevanza;

– ciò posto, con il primo motivo il ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione alla ritenuta conoscenza del meccanismo fraudolento;

– con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’Amministrazione finanziaria avesse dimostrato la conoscibilità da parte del contribuente di tale meccanismo fraudolento;

– con l’ultimo motivo di ricorso la parte si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata valutazione della regolarità della documentazione afferente alle operazioni in esame;

– il primo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili, stante la preclusione, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., u.c., per la ricorribilità in cassazione con censure proposte ai sensi art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avverso sentenza di appello che confermano le decisioni di primo grado;

– il secondo motivo è infondato;

– in tema di indebita detrazione di fatture ai fini i.v.a. in quanto relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione finanziaria fornire la prova che la prestazione, oggetto della fattura, non è stata resa dal fatturante e, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era conoscenza o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’1.v.a. (cfr. Corte Giust. 22 ottobre 2015, PPUH; Corte Giust. 6 dicembre 2012, Bonik; Corte Giust. 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling);

– sotto quest’ultimo aspetto possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), benchè giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica e le modalità di pagamenti, soprattutto se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali ovvero se effettuati in contanti; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in particolare a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera;

– ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (così, Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

– infatti, pur non potendosi esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’I.v.a.,

o che disponga dei relativi documenti, grava su tale soggetto l’onere di assumere informazioni sull’operatore presso il quale intende acquistare beni o servizi al fine di sincerarsi della sua affidabilità qualora disponga di indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione;

– ciò posto, il giudice di appello ha escluso l’estraneità del contribuente al meccanismo fraudolento in cui le operazioni contestate si inserivano e (anzi) ha accertato la conoscenza da parte del medesimo di tale meccanismo, desumendole dal contenuto delle intercettazioni acquisite nel corso di un procedimento penale, da cui si evincerebbe sia la conoscenza del meccanismo di frode da parte del contribuente medesimo e dei suoi collaboratori, sia la sua volontà di porre in essere operazioni che beneficiassero dell’effetto elusivo da esso derivante;

– inoltre, la consapevolezza del contribuente di partecipare ad un’evasione fiscale sarebbe resa evidente, sempre secondo la sentenza, anche dalla frequentazione con soggetti artefici di “frodi carosello” e dalla constatazione di versamenti di denaro tra tali soggetti che non trovavano riscontro nella contabilità aziendale;

– la decisione impugnata appare coerente con i richiamati principi di diritto, in quanto espressiva dell’accertamento della conoscenza da parte del contribuente della frode fiscale in cui le operazioni poste in essere si inserivano e, comunque, di una valutazione – dall’esito negativo – in ordine al rispetto da parte del contribuente dello standard di diligenza esigibile da un operatore accorto;

– non pertinente è il sopravvenuto decreto di archiviazione del procedimento penale instaurato nei confronti del contribuente per reati tributari derivanti dai fatti in esame, in quanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla rilevanza di tale circostanza nel giudizio tributario, la responsabilità del contribuente non discende dal fatto di aver commesso una frode fiscale, ma di non aver impiegato la diligenza esigibile per evitare che le operazioni poste in essere si inserissero in una siffatta frode;

– pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 novembre 2019

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