Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29192 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8801 – 2019 proposto da:

BULFARO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ROMEO RODRIGUEZ PEREIRA N.

129/B, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MASOTTI, rappresentata

e difesa dagli avvocati MARIO ROSARIO SPASIANO, ALESSANDRO BALZANO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TARANTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo studio

dell’avvocato GIULIO SIMEONE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5811/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/09 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

PIETRO LAMORGESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Comune di Taranto impugnava il lodo arbitrale emesso il 24 – 27 ottobre 2014, con il quale era stata definita la controversa insorta con l’impresa Bulfaro spa, aggiudicataria dei lavori di completamento della rete fognaria nelle zone di (OMISSIS) in Taranto, affidati in appalto in virtù di contratto stipulato il (OMISSIS).

Il Comune osservava che, in epoca precedente alla costituzione del collegio arbitrale che aveva definito la controversia, su istanza della Bulfaro, la camera arbitrale aveva comunicato con nota del 22 dicembre 2011 la nomina del terzo arbitro nella persona dell’ing. Picone Marcello quale presidente nel collegio arbitrale, assegnando termine per il deposito di somma in acconto per le spese di funzionamento del collegio e, tuttavia, a causa dell’omesso deposito della somma, con provvedimento del 19 settembre 2012 aveva disposto la “archiviazione della pratica”, aveva dichiarato abbandonata la procedura arbitrale e sciolto dall’incarico l’ing. P.. Successivamente, la Bulfaro aveva effettuato il versamento e chiesto la nomina del terzo arbitro con funzioni di presidente, che veniva nominato nella persona del Dott. Q.E. in data 30 gennaio 2013. Tanto premesso, il Comune di Taranto, riproponendo una eccezione già svolta in sede arbitrale, deduceva la inefficacia e invalidità della clausola compromissoria, in conseguenza dell’inerzia dell’impresa nel versamento dell’acconto, quale comportamento concludente significativo della rinuncia della parte istante al procedimento arbitrale, a norma dell’art. 816 septies c.p.c..

2.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 settembre 2018, in accoglimento dell’eccezione di nullità del lodo, ha ritenuto l’art. 816 septies c.p.c., applicabile al cd. “arbitrato amministrato”, a norma del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 241, comma 2; non più vincolante la convenzione di arbitrato nel momento in cui la Bulfaro aveva successivamente riattivato il giudizio arbitrale e, di conseguenza, ha dichiarato nullo il lodo.

3.- Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’impresa Bulfaro, resistito dal Comune di Taranto. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, non può essere accolta l’istanza, formulata dalla ricorrente nella memoria, di trasmissione della causa alla Sezione semplice, sussistendo i presupposti per la trattazione del ricorso con il rito di cui all’art. 380 bis. 1 c.p.c..

2. – Il primo motivo, con cui la Bulfaro denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 1, degli artt. 816, e 816 septies, e 112 c.p.c., per avere rigettato l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di impugnazione del lodo perchè formulato dal Comune di Taranto in modo non specifico quanto alla violazione denunciata e senza riferimenti all’art. 816 septies c.p.c., è infondato.

2.1. – La Corte territoriale ha correttamente rilevato che era “assolutamente comprensibile, dalla lettura dell’atto di impugnazione, come la difesa del Comune sostenga la sopravennuta caducazione della convenzione di arbitrato, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., fattispecie che va indubbiamente annoverata tra i casi di inesistenza, invalidità ed inefficacia del patto compromissorio anche sopravvenuto”. Il fatto che l’impugnazione non contenga l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamentava l’inosservanza, non la rende inammissibile quando, come nella specie, dall’atto di impugnazione risultino le ragioni giuridiche del denunciato vizio del lodo, a prescindere dalla rubrica formale dei motivi di impugnazioni, che è priva di contenuto vincolante.

3. – Con il secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 816 septies c.p.c., dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 1, e del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 243 (codice dei contratti pubblici), la Bulfaro deduce l’inapplicabilità del regime di nullità previsto dagli artt. 816 septies, e 829 c.p.c., al cd. “arbitralo amministrativo”, il quale è disciplinato dal citato art. 243, che non contiene una norma analoga all’art. 816 sepies c.p.c., quest’ultima non riferibile ad un arbitrato, come quello in oggetto, nel quale ” la misura e le modalità del deposito da effettuarsi in acconto del corrispettivo arbitrale” sono comunicate non dagli arbitri ma dalla camera arbitrale “contestualmente alla nomina del terzo arbitro” (art. 243, comma 6); il motivo richiama il principio secondo cui le norme che prescrivono una decadenza vanno interpretate con il rigore corrispondente ai loro effetti e dunque in senso restrittivo, non potendosi desumere dalla disciplina di cui all’art. 243, – costituente una norma di rango primario e non regolamentare – un’ipotesi, non prevista dalla legge, di estinzione o cessazione di efficacia della convenzione arbitrale, in caso di mancato versamento dell’acconto; inoltre, l’estinzione del giudizio arbitrale poteva essere pronunciata solo dagli arbitri, tuttavia non ancora costituiti in collegio, mentre la richiesta di versamento delle anticipazioni che era stata formulata dal segretario della camera arbitrale non era assimilabile a quella prevista dall’art. 816 septies c.p.c., che prevedeva che la richiesta provenisse direttamente dagli arbitri; neppure era vero che gli arbitri avessero condizionato la prosecuzione del procedimento al versamento delle anticipazioni, avendo al contrario autorizzato l’avvio dell’arbitrato mediante la nomina di un altro presidente dopo che l’acconto era stato successivamente versato.

3.1. – Il motivo è infondato.

A sostegno della decisione, la Corte territoriale ha ritenuto l’art. 816 septies c.p.c., applicabile all'”arbitrato amministrato” disciplinato nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 241, comma 2, prevede l’applicabilità ai giudizi arbitrali delle “disposizione del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal presente codice” del 2006, il quale, all’art. 243, che contiene “ulteriori norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale”, prevede (al comma 6) che la camera arbitrale, contestualmente alla nomina del terzo arbitro, comunichi alle parti la misura e le modalità del deposito da effettuarsi in acconto del corrispettivo arbitrale. L’operatività dell’art. 816 septies c.p.c., ad avviso della Corte, presuppone che la camera arbitrale abbia subordinato la prosecuzione del procedimento arbitrale al versamento anticipato delle spese, come avvenuto nel caso di specie, avendo la camera segnalato alle parti la necessità del versamento dell’acconto con la precisazione che “esso condiziona la convocazione e la costituzione del Collegio arbitrale”, come dimostrato anche dalla successiva archiviazione del procedimento che confermava la volontà di subordinare a detta formalità la prosecuzione del giudizio. Da qui il venir meno dell’efficace vincolante della convenzione di arbitrato, non più operante quando la Bulfaro aveva successivamente riattivato il giudizio arbitrale.

Le critiche svolte nel motivo non scalfiscono la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale.

All’obiezione secondo cui le norme sull'”arbitrato amministrato” non prevedono una norma espressa analoga a quella di cui all’art. 816 septies c.p.c., comma 2, in tema di inefficacia della convenzione nel caso in cui le parti non provvedono all’anticipazione delle spese nel termine fissato, si può replicare che tale disposizione è applicabile all'”arbitrato amministrato” non in via analogica, ma in forza del diretto richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 241, comma 2, che stabilisce che “ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile”, quali sono quelle pertinenti in tema di arbitrato con il solo limite delle eventuali disposizioni incompatibili (“salvo quanto disposto dal presente codice”) che, tuttavia, non sussistono.

Nel predetto codice infatti non si ravvisano disposizioni incompatibili con la (o che precludano l’operatività della) citata disposizione codicistica concernente l’inefficacia della convenzione arbitrale nel caso in cui le parti non provvedano ad effettuare il deposito delle somme dovute a norma del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 243, comma 6. Tale non è la previsione, sulla quale la ricorrente ha insistito, secondo cui l’anticipazione dell’acconto cui si riferisce il citato D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 243, comma 6, è disposta da un organo amministrativo (la camera arbitrale), diversamente dall’art. 816 septies c.p.c., che prevede che l’anticipazione sia disposta dagli arbitri, non giustificandosi nei due casi conseguenze radicalmente diverse se le parti non provvedano all’obbligo di anticipazione.

Nè potrebbe affermarsi che il riferimento all’applicabilità delle disposizioni del codice di procedura civile dovrebbe intendersi riferita alle sole norme del “giudizio arbitrale” inteso come procedimento validamente in corso, atteso che “giudizio arbitrale” è anche quello che non è in grado di proseguire il suo corso per effetto della sopravvenuta causa di inefficacia della convenzione arbitrale che diviene non più “vincolante” per le parti.

All’ulteriore obiezione secondo cui l’interpretazione seguita dai giudici di merito sarebbe in contraddizione con il diritto e potere degli arbitri di rinunciare all’incarico se le parti non provvedono (o di subordinare la prosecuzione del procedimento) al versamento dell’anticipo, si può replicare che, applicando l’art. 816 sepies c.p.c., sfugge al potere dispositivo degli arbitri e della stessa camera arbitrale di incidere sull’operatività degli effetti legali delle mancata anticipazione, salvo il diritto dell’altra parte di anticipare la totalità delle spese e in tal modo consentire la prosecuzione del giudizio arbitrale.

Se è necessaria – come ben evidenzia il termine “subordinare” usato dal legislatore – una specifica manifestazione di volontà diretta a condizionare la prosecuzione del procedimento al versamento delle somme dovute a titolo di anticipazione delle spese (cfr. Cass. n. 17956 del 2015), ciò costituisce oggetto di un accertamento di fatto che è stato operato in concreto dai giudici di merito, i quali hanno osservato che la camera arbitrale aveva segnalato alle parti la necessità del versamento dell’acconto, precisando che “esso condiziona la convocazione e la costituzione del Collegio arbitrale”, come dimostrato anche dalla successiva – e non revocabile – archiviazione del procedimento che confermava la volontà di subordinare a detta formalità la prosecuzione del giudizio.

Neppure è sostenibile una interpretazione che valorizzi, in tema di “arbitralo amministrato”, l’assenza nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 243, di una disposizione che richiami l’art. 241, comma 2 (che fa rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile), tenuto conto dell’intima connessione tra il D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 241, e 243, in considerazione del tenore della rubrica di quest’ultimo (“Ulteriori norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale”) e del contenuto del già citato art. 243, comma 6, che (“in aggiunta alle norme di cui all’art.241”, vd. l’art. 243, comma 2) prevede il deposito in acconto del corrispettivo arbitrale da effettuarsi su comunicazione della camera arbitrale contestualmente alla nomina del terzo arbitro.

A quest’ultimo riguardo, non potrebbe obiettarsi che la “anticipazione” delle “spese prevedibili” cui si riferisce l’art. 816 septies c.p.c., non coincide con l'”acconto del corrispettivo arbitrale”, cui si riferisce il codice del 2006, art. 243, comma 6, per il quale contestualmente alla nomina del terzo arbitro la camera arbitrale comunica alle parti la misura e le modalità del deposito, dovendosi ritenere che la prima nozione (sulla “anticipazione” delle spese) sia tale da includere la seconda, derivandone la medesima conseguenza nel caso di mancato adempimento delle parti, cioè il venire meno del vincolo di convenzione di arbitrato, a norma dell’art. 816 septies c.p.c., comma 2. Una indiretta conferma in tal senso si ricava dal fatto che la camera arbitrale, quando interviene, sebbene su proposta degli arbitri, fissa non solo il loro compenso ma anche le spese, inclusi gli onorari e le spese di consulenza tecnica (il codice del 2006, art. 243, commi 5, 8, e 9, e il codice del 2006, art. 241, comma 12).

4. – Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per contrasto tra affermazioni inconciliabili, avendo la sentenza impugnata prima riconosciuto che la disciplina relativa alla determinazione e liquidazione del corrispettivo degli arbitri e al deposito dell’acconto (negli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale) sarebbe contenuta nel codice del 2006 e poi affermato, contraddittoriamente, che tale disciplina sarebbe contemplata non nel predetto codice ma nel regolamento della camera arbitrale che è norma secondaria.

4.1. – Il motivo e inammissibile, essendo diretto a criticare la motivazione in diritto della sentenza impugnata, mentre il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, in quanto il vizio di motivazione in diritto rimane di per sè irrilevante, salvo il potere correttivo della Corte quando il dispositivo sia conforme a diritto (vd. Cass. n. 4863 del 2020). Inoltre, nella sentenza impugnata non si riscontra la contraddizione denunciata, avendo la Corte territoriale correttamente osservato che il deposito in acconto da effettuarsi su comunicazione della camera arbitrale contestualmente alla nomina del terzo arbitro è previsto nel codice del 2006, art. 243, comma 6.

5. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4100,00, di cui 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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