Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2919 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/02/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 10/02/2010), n.2919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. MARINUCCI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

sig. F.C., nato a (OMISSIS) ed ivi

residente, C.F. (OMISSIS), rappresentato, assistito e

difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Benatti Pier

Lino del Foro di Reggio Emilia e Benito Piero Panariti del Foro di

Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici sono legalmente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1/64/05 pronunciata dalla Commissione

Tributaria Regionale di Milano, sez. staccata di Brescia, Sez. 64^,

il 18 gennaio 2005, depositata il 01 febbraio 2005 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9/12/2009 dal Relatore Cons. Dott. Giuseppe Marinucci;

udito, per la controricorrente Amministrazione, l’avv. Diego Giordano

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 05.10.2001, l’Agenzia delle Entrate di Suzzara contestava al sig. F.C., per gli anni d’imposta 1995 e 1996, una maggiore plusvalenza, non dichiarata, derivante dalla cessione di terreni edificabili.

Per il calcolo, l’Ufficio utilizzava solo il valore iniziale dei terreni ai fini INVIM, omettendo di considerare tutte le spese inerenti, seppur documentate dal contribuente.

Successivamente, l’Ufficio, in parziale accoglimento delle doglianze del contribuente, annullava gli avvisi di cui sopra, sostituendoli, in data 01.12.2001, con nuovi accertamenti con cui contestava il procedimento di rivalutazione adottato dal contribuente.

Avverso tali atti impositivi, il sig. F. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Mantova che, con la sentenza n. 66/02/2002, lo respingeva.

Avverso tale decisione, il contribuente interponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione staccata di Brescia.

Si costituiva l’Ufficio, contestando l’inerenza all’acquisto sia dei costi di mediazione che di quelli di valorizzazione del terreno.

La C.T.R., con la sentenza n. 1/64/05, pronunciata il 18 gennaio 2005 e depositata il 01 febbraio 2005, rigettava l’appello del contribuente.

Avverso tale sentenza, il sig. F.C. proponeva ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi.

Il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate resistevano con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, il contribuente ha lamentato “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″, atteso che i giudici di seconde cure avrebbero omesso di pronunciarsi su un motivo di impugnazione espressamente formulato dal ricorrente, vale a dire la contraddittorietà della sentenza di primo grado, limitandosi a confermare e a condividere il ragionamento giuridico sotteso alla sentenza di primo grado.

In essa, il giudice avrebbe, dapprima, riconosciuto la correttezza del procedimento applicato dal contribuente, per il calcolo della plusvalenza, nell’osservanza e nel rispetto del dettato del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 82 (T.U.I.R), ma, poi, cadendo in contraddizione, lo avrebbe censurato per presunta illogicità.

La censura è inammissibile per mancanza del requisito dell’autosufficienza.

Le censure devono contenere in se tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (ex multis, Cass. 14728/01).

Presupposti che non sussistono nella fattispecie in esame.

Con il secondo motivo, l’odierno ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 81 e 82 sulla determinazione della plusvalenza per cessione di terreni edificabili in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La C.T.R. avrebbe fornito un’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 81 e 82 in contrasto con quella autentica resa dal legislatore con le circolari, violando, in tal modo, norme di diritto espressamente comprese, dall’art. 1 preleggi, tra le fonti di legge.

In particolare, nel caso di specie, risulterebbe violato quanto disposto dalla Circolare 27/5/94 n. 73/E con cui non si effettuerebbe alcuna discriminazione tra costi relativi all’acquisto e costi relativi alla vendita.

La Commissione Tributaria Provinciale, invece, avrebbe effettuato una distinzione tra i costi da considerare inerenti, stravolgendo il dettato legislativo e affermando che le spese di mediazione, in quanto sostenute successivamente all’acquisto, non avrebbero dovuto essere calcolate: ciò malgrado la stessa Agenzia delle Entrate di Suzzara non avesse operato tale ulteriore discriminazione.

Pertanto, il giudice di primo grado avrebbe superato il vincolo della corrispondenza tra il petitum ed il pronunciato, adottando un’interpretazione della norma sfavorevole al contribuente e peggiorativa rispetto a quella adottata dall’Ufficio.

Il motivo è infondato.

Il merito è stato puntualmente analizzato alla luce della normativa in vigore.

E’ stato infatti ben precisato il contenuto dell’art. 82, cit. TUIR e l’interpretazione del “costo inerente”.

La Commissione Tributaria Regionale ha evidenziato che è del tutto assurda la richiesta di poter rivalutare, con decorrenza dall’anno 1954, spese sostenute nel 1995 e 1996 “perchè una diversa interpretazione è contraria al concetto di rivalutazione che è quello di aggiornare un costo sostenuto nel passato al suo valore attuale”.

Trattasi di motivazione adeguata ed esaustiva.

Con il terzo motivo del ricorso, è stata dedotta dal sig. F. “violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, atteso che il giudice di appello sarebbe incorso in errore, laddove avrebbe affermato che l’art. 10 citato avrebbe avuto per oggetto soltanto il rapporto giuridico sostanziale che legherebbe amministrazione e contribuente, concludendo che, nel caso di specie, non sarebbero ricorse quelle condizioni di obiettiva incertezza che, sole, avrebbero consentito di non irrogare sanzioni.

In realtà, proprio dal comportamento contraddittorio dell’Ufficio sarebbe stato possibile desumere la prova inconfutabile dell’oggettiva incertezza sulla portata e sull’applicazione della norma tributaria.

Le censure sono infondate.

In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa.

Nel caso di specie, le motivazioni ut supra nonchè lo svolgimento processuale della controversia escludono in radice qualsivoglia incertezza normativa oggettiva che possa costituire causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità oggetto delle sanzioni.

Con il quarto ed ultimo motivo, è stata lamentata dal contribuente “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Annullamento degli avvisi di accertamento e loro sostituzione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, atteso che i giudici di seconde cure avrebbero statuito con insufficiente e contraddittoria motivazione sulla contestata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

I successivi atti di accertamento sarebbero stati emessi dall’Ufficio sulla base di documenti e fatti già conosciuti al momento della notifica dei primi atti di accertamento.

L’Ufficio, pertanto, non avrebbe rispettato i principi di chiarezza, di tutela del contribuente e di certezza del diritto affermati dallo Statuto del contribuente.

Anche se poi i successivi accertamenti avrebbero diminuito il valore accertato della plusvalenza, il comportamento dell’Ufficio di Suzzara non sarebbe stato improntato ai principi di buona fede, costringendo, anzi, il contribuente, a ricorrere ad istanze di autotutela per atti che non avrebbero avuto un minimo di fondamento logico se non quello di accelerare i tempi per evitare la prescrizione.

Le continue modifiche della posizione sostenuta dall’Agenzia delle Entrate, ufficio di Suzzara, dimostrerebbero, a maggior ragione, il comportamento ostruzionistico e pretestuoso per la determinazione del terreno.

Le censure sono palesemente infondate.

L’annullamento d’ufficio dell’avviso di accertamento, disposto in pendenza del termine per l’accertamento, comporta per l’Amministrazione Finanziaria l’esercizio doveroso della potestà impositiva, che ha quindi luogo in via originaria per effetto della rimozione dell’atto annullato con efficacia ex tunc, non consumatosi attraverso l’emanazione dell’atto annullato, nonchè del generale potere di autotutela (Cass. 16115/07; Cass. 14377/07).

Nel caso di specie, a maggior ragione, deve ritenersi legittima la modificazione, operata dall’Ufficio, dell’avviso di accertamento, dal momento che la stessa si risolve, a vantaggio del contribuente, nella diminuzione delle somme accertate.

Consegue il rigetto del ricorso con la condanna del contribuente al pagamento delle spese di giudizio determinate in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento/00), oltre agli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio determinate in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento/00), oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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