Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2919 del 07/02/2020

Cassazione civile sez. II, 07/02/2020, (ud. 22/05/2019, dep. 07/02/2020), n.2919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1195-2018 proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO

PICA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositatO il

14/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

CHE:

Con ricorso depositato in data 21 febbraio 2012 C.S. proponeva ricorso alla Corte d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, per l’irragionevole durata del giudizio amministrativo svoltosi innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, R.G. n. 8029/2002.

La Corte d’appello di Roma, con decreto del 14 giugno 2017, dichiarava improponibile il ricorso poichè il ricorrente non aveva depositato l’istanza di prelievo di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010.

Contro il decreto ricorre in cassazione C.S..

L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

a) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 17,81, e 82 c.p.a. e L. n. 1034 del 1971, art. 23 nonchè dell’allegato 3c.p.a. e della L. n. 89 del 2001, in quanto nell’ambito del giudizio presupposto aveva depositato nel 2002 l’istanza di fissazione dell’udienza e, a distanza di sette anni, stante l’inerzia del giudice, aveva depositato un’ulteriore istanza di fissazione dell’udienza, seconda istanza che doveva essere qualificata come istanza di prelievo, in quanto aveva lo scopo di segnalare l’urgenza della trattazione e, dunque, della decisione; la decisione della Corte, inoltre, contrasta con recenti statuizioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo, per le quali non si evince, dal contenuto delle disposizioni legislative o dalla prassi giurisprudenziale, che l’istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione del giudice adito, così che la negazione del diritto all’equa riparazione solo per aver omesso di presentare l’istanza di prelievo violerebbe il principio di effettività della tutela giurisdizionale.

b) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 113 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, nonchè della L. n. 89 del 2001, in quanto la disposizione non poteva essere applicata ai giudizi amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, in base al principio tempus regit actum.

Il ricorrente solleva anche eccezione di incostituzionalità del richiamato art. 54, comma 2, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, ed ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par 1 della CEDU.

Il ricorso è fondato.

Deve, infatti, prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Il giudice delle leggi, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi irragionevole, sono ammissibili ove siano “effettivi”, ossia nella misura in cui velocizzano la decisione del giudice (cfr., in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, la Corte Europea aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del menzionato art. 54, che avesse avuto come effetto quello di rendere inammissibile il ricorso per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Il giudice delle leggi, ancora, ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte Europea ha affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità dell’art. 54 e, esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, ha conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non può essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della convenzione Europea, soprattutto perchè il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

La Corte costituzionale ha quindi ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario, ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2 codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

2. La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordina la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto viola l’art. 117 Cost., comma 1 in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, impone la cassazione del decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2020

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