Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29172 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 12/11/2019), n.29172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7274 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l., società

incorporante Idroenergia S.c.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Nicola Lucariello e

Alberto Mula, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio, n.

43, presso lo studio dei medesimi difensori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

è domiciliata.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia n. 2806/11/2017, depositata in data 24

luglio 2017;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Tassone Kate, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito per la società l’Avv. Alberto Mula e per l’Agenzia delle

dogane l’Avvocato dello Stato Anna Collabolletta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato a Idroenergia S.c.r.l. un invito al pagamento con il quale aveva contestato il mancato pagamento delle accise conseguenti all’erogazione di energia elettrica da fonti rinnovabili in favore delle proprie consorziate negli anni dal 2009 al 2013, senza tuttavia richiedere interessi e indennità di mora; avverso il suddetto atto impositivo Idroenergia S.c.r.l. aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Agrigento; avverso la decisione del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello principale e la società appello incidentale.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto l’appello dell’Agenzia delle dogane.

In particolare, il giudice del gravame ha ritenuto che: al fine di escludere il legittimo affidamento della società contribuente, alle istanze da essa presentate nel corso del tempo non poteva essere attribuita la qualifica di atti di interpello, sia in quanto gli stessi dovevano essere preventivi, al fine di conformare la propria attività successiva alla corretta interpretazione delle previsioni normative fiscali sulla base delle risposte fornite dall’amministrazione finanziaria, sia in quanto la richiesta di chiarimenti presentata alla Direzione provinciale del Piemonte e della Valle d’Aosta, nonchè le ulteriori istante presentate, non avevano ad oggetto l’attività di distribuzione e vendita di energia elettrica prodotta in eccesso rispetto al fabbisogno proprio e dei propri consorziati e l’eventuale esenzione dal pagamento su detta quota di energia prodotta; dal complesso, poi, della disciplina normativa di riferimento si evinceva che la finalità dell’esenzione era quella di incentivare l’autoproduzione da fonti rinnovabili di energia elettrica, sicchè la suddetta esenzione non poteva essere estesa anche al caso di distribuzione e vendita a terzi dell’energia autoprodotta in eccesso. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l., quale società incorporante la Idroenergia S.c.r.l., affidato a quattro motivi di censura, illustrato con successiva memoria.

L’Agenzia delle dogane si è costituta depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per vizio di ultrapetizione, avendo statuito sulla questione della esistenza del legittimo affidamento mentre la stessa doveva essere considerata pacifica, controvertendosi unicamente sull’ambito di estensione della preclusione che da esso ne derivava, in particolare sulla questione se, cioè, doveva essere applicato limitatamente alla sola irrogazione delle sanzioni ovvero anche relativamente alla pretesa impositiva dell’atto di accertamento.

1.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, va osservato che parte ricorrente si limita a dedurre che il giudice del gravame ha statuito su di una questione diversa da quella proposta, avendo esaminato il profilo della sussistenza del legittimo affidamento, mentre tale fatto era da considerarsi pacifico, avendo la parte, in realtà, prospettato la diversa questione della applicabilità del legittimo affidamento, oltre che alla sanzione, anche alla pretesa tributaria.

Tuttavia, la censura difetta di autosufficienza, non avendo parte ricorrente riprodotto o allegato gli atti di causa al fine di potere accertare quale fosse l’esatto contenuto della domanda e, in particolare, che l’unica questione oggetto di controversia era l’ambito di estensione del legittimo affidamento, cioè la sua applicabilità anche alla pretesa impositiva e non anche l’esistenza stessa del legittimo affidamento.

Tale impostazione difensiva, peraltro, si scontra con quanto la stessa parte ricorrente postula nei successivi motivi di ricorso, diretti ad evidenziare, come si avrà modo di esaminare in seguito, che dal complesso degli atti amministrativi adottati dagli uffici doganali poteva evincersi la sussistenza del presupposti per ingenerare un legittimo affidamento sulla correttezza della propria attività: profilo che, invero, attiene proprio alla necessità di accertare se vi era o no un legittimo affidamento della ricorrente, fatto, quindi, non pacifico tra le parti.

In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel “thema decidendum” – tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. Civ., 22 giugno 2004 n. 11639; Cass. Civ., 21 febbraio 2006 n. 3702).

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2.

In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha fondato la decisione sulla insussistenza del legittimo affidamento facendo riferimento a circostanze del tutto irrilevanti, e, inoltre, per non avere tenuto conto del fatto che l’amministrazione doganale aveva in precedenza, con diversi atti specifici e concreti, esplicitamente riconosciuto il diritto della ricorrente all’esenzione. 2.1. Il motivo è infondato.

Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).

E’ stato altresì precisato che “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2” (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).

Il principio in esame trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta” (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione).

E’ altresì vero, come evidenziato dalla ricorrente, che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 comma 2 (relativi all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni).

Ma, come chiarito da questa Corte (Cass., civ., 20 novembre 2013, n. 25966), dire che la L. n. 212 del 2000, art. 10 sia una norma aperta significa unicamente “che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate”.

Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate “indicazioni contenute in atti” dell’Amministrazione ovvero i “fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori” della stessa (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2) o ancora le “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva” (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo. Tali situazioni, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, dovendo escludersi che rientrino in tali ipotesi quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative: dette ipotesi sono già espressamente contemplate dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dalla obbligazione tributaria (cfr. sempre Cass. n. 25966/2013, cit.).

2.2. Così delineato il quadro normativo e interpretativo di riferimento, e volgendo attenzione al caso di specie, la società contribuente afferma che in diversi atti dell’Amministrazione doganale è stata ad essa riconosciuta la qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili e quindi esclusa dall’obbligo di pagamento delle accise, così ingenerando il legittimo affidamento della stessa nella menzionata esenzione.

In primo luogo, va osservato che la ricorrente evidenzia (vd. pagg. 16 e 17 del ricorso) che In più occasioni, infatti, l’Agenzia delle dogane, esaminata la forma giuridica e le modalità operative della Società, aveva ad essa già – e reiteratamente – riconosciuto la qualifica di soggetto autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabile e concesso, conseguentemente, il regime di esenzione previsto dall’art. 52 TUA, comma 3, lett. B).

Tale impostazione di fondo era stata seguita in sede di ricorso in primo grado, ove la stessa contribuente (vd. pag. 19 del ricorso) aveva precisato, al fine di fondare la sussistenza del proprio legittimo affidamento, di avere agito sulla scorta delle istruzioni e delle qualificazioni espressamente attribuite dagli Uffici delle dogane competenti nel corso del tempo (…). Perciò la pretesa avanzata dall’ufficio è da ritenersi contraria, in primo luogo, al principio di legittimo affidamento di cui agli artt. 10, e in secondo luogo, al disposto dell’art. 11 dello Statuto dei Diritti del contribuente, in quanto è stata avanzata in contrasto con un provvedimento di autorizzazione dell’ufficio legittimamente reso e in grado di generare un legittimo affidamento.

Le suddette considerazioni, tuttavia, sono prive di rilievo, poichè non si tratta di valutare se la società contribuente aveva o no la qualifica di soggetto autoproduttore, non essendo in questione che questa, relativamente all’energia elettrica autoprodotta e dalla stessa consumata, poteva avvalersi del regime normativo in esame.

La questione di fondo è invece diversa e cioè se, relativamente all’energia elettrica autoprodotta e successivamente ceduta a terzi (i consorziati), potesse applicarsi il medesimo regime normativo in esame e se su questa l’amministrazione doganale aveva adottato specifici atti idonei a ingenerare il legittimo affidamento.

La stessa lettura, quindi, che la ricorrente offre dei diversi atti dell’amministrazione doganale da cui sarebbe derivato il proprio legittimo affidamento, non è idonea, di per sè, a indurre a ritenere che gli stessi avevano avuto la specifica finalità di definire la diversa questione della riconducibilità alla previsione normativa in esame anche del caso di cessione dell’energia elettrica autoprodotta in favore dei consorziati.

In secondo luogo, non può ritenersi che gli atti amministrativi, cui la ricorrente fa riferimento al fine di concretizzare l’insorgenza del proprio legittimo affidamento, potessero avere tale idoneità.

Tenuto conto del contenuto dei suddetti atti, come indicati dalla parte ricorrente, gli stessi, invero, consistono in valutazioni che l’amministrazione doganale ha assunto ai fini del calcolo del deposito cauzionale in sede di rilascio della licenzia di esercizio (Ufficio di Torino del 02/08/2000) ovvero a seguito di verifica dei quantitativi di energia elettrica prodotta e consumata (Ufficio di Aosta); si tratta, quindi, di atti che non risolvono, specificamente, la questione della applicabilità del regime di esenzione nel caso in cui la società consortile abbia ceduto ai propri consorziati l’energia elettrica, risolvendosi, nei limiti dell’attività di volta in volta svolta, in una presa d’atto della natura di soggetto autoproduttore di energia rinnovabile da parte della contribuente, anche laddove, ai fini dell’autoconsumo, siano presi in considerazione i consumi degli soci, e che già rientrano a pieno regime nella formulazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2.

Nè può darsi specifica rilevanza al provvedimento della Direzione Regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del 21 giugno 2005, ovvero del 17 aprile 2009, che non risultano essersi espressi sulla questione di cui si discute, risultando solo, secondo quanto espressamente riportato dalla parte ricorrente, che gli stessi si sono limitati a riconoscere alla contribuente la qualifica di autoproduttore esentato dal pagamento dell’imposta erariale sul consumo e che dall’esame delle dichiarazioni E.E. relative ai consumi per gli anni 2007 e 2008 è emerso che l’energia elettrica immessa in consumo ai consorziati era stata interamente autoprodotta e proveniente da fonti rinnovabili, quindi esente dall’accisa ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504,’art. 52, comma 3, lett. b), (vd. pagg. 17 e 18, ricorso); parimenti deve dirsi per quanto riguarda la circostanza che l’Ufficio di Porto Empedocle, secondo quanto riferito dalla ricorrente, aveva accolto la qualificazione della Società di autoproduttore e la sua operatività in esenzione di imposta, accettando senza riserve la polizza fideiussoria a garanzia del versamento della sola addizionale.

Queste considerazioni sono in linea con la statuizione, sul punto, del giudice del gravame il quale ha evidenziato che sia la richiesta avanzata alla Direzione provinciale del Piemonte e della Valle d’Aosta che le ulteriori richieste non avevano ad oggetto la specifica questione in esame, cioè l’attività di distribuzione e vendita dell’energia elettrica prodotta in eccesso rispetto al fabbisogno proprio e dei propri consorziati e l’eventuale esenzione dal pagamento dell’accisa su detta quota di energia prodotta, sicchè ha escluso, correttamente, che, dalle risposte o dagli atti adottati, potesse derivare un legittimo affidamento della contribuente sulla questione di fondo in esame.

2.3. Va inoltre precisato che la previsione normativa in esame, così come interpretata, non è in contrasto con i principi costituzionali segnalati dalla società contribuente, perchè al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare quello, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonchè gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatività della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.

2.4. Nè, infine, sussistono i presupposti per dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento “si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).

Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi. E, in proposito, le considerazioni espresse circa l’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, è pienamente coerente con il formante giurisprudenziale interno, a sua volta rispettoso dei principi evincibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della UE.

2.5. Ne consegue che, se l’Amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, con la mancata applicazione di interessi e indennità di mora.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 11.

In particolare, si censura la sentenza per non avere dato rilevanza al legittimo affidamento ingenerato dalla amministrazione doganale con la risposta all’atto di interpello presentato dalla società emessa in data 21 giugno 2005 dalla Direzione regionale per il Piemonte e la Valle D’Aosta, nell’ambito di una procedura di interpello attivata dalla contribuente, con la quale aveva espressamente affermato che alla stessa spettava l’esenzione di cui all’art. 52 T.U. Accise, nonchè con le altre numerose determinazioni amministrative con le quali, a seguito di specifiche richieste ed all’esito di una valutazione della sua situazione personale, aveva ad essa riconosciuto la spettanza dell’agevolazione.

3.1 I motivo è infondato.

Va evidenziato che il giudice del gravame ha escluso la sussistenza, nella fattispecie, di atti di interpello da cui far derivare la vincolatività della risposta data dall’amministrazione doganale sulla base di due circostanze: la natura preventiva della istanza rispetto alla successiva condotta del contribuente; la mancanza, sotto il profilo sostanziale, della natura di interpello delle istanze presentate.

Se è vero che, come osservato dalla difesa di parte ricorrente, il carattere preventivo dell’istanza deve essere riferito all’adozione, da parte del contribuente, delle condotte fiscali che si ritiene di dovere fare conseguire dalla realizzazione di una fattispecie imponibile, va tuttavia osservato che, con riferimento all’ulteriore profilo, nessuno dei provvedimenti assunti dalla Amministrazione doganale, che hanno riconosciuto a Idroenergia S.c.r.l. la qualifica di soggetto esente da accisa, sono stati resi all’esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dalla L. n. 212 del 2000, art. 11, come correttamente evidenziato dal giudice del gravame.

Invero, l’interpello del 21 giugno 2005 è stato ritenuto inammissibile dall’Amministrazione doganale, sicchè ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita (peraltro, riguardante l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise) non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall’Amministrazione medesima.

Gli altri atti, invece, non sono stati emessi a seguito di regolare procedura di interpello, procedura che sola può determinare l’effetto vincolante previsto dalla citata disposizione di legge.

Del resto, l’efficacia della risoluzione o della circolare che segue l’interpello “vincola l’Amministrazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 3, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza o, al più, con riguardo ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello” (Cass. n. 735 del 13/01/2017).

Nel caso di specie, si tratta di accise (e non di addizionali provinciali) relative agli anni 2009-2013, successive, pertanto, all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 26 del 2007, che ha comportato una integrale rivisitazione della materia; con riferimento a tali anni nessuna istanza di interpello risulta presentata all’Amministrazione doganale; nè il provvedimento del 17 aprile 2009, che ha esentato Idroenergia s.c.r.l. dall’obbligo di cauzione, è qualificabile come risposta ad un interpello, così come gli ulteriori atti citati nel presente motivo di ricorso (verbale di verifica del 2 agosto 2000 dell’Ufficio delle dogane di Torino;

provvedimento dell’ufficio delle dogane di Palermo, competente per Agrigento, con cui veniva accettata la polizza fideiussoria presentata ai sensi dell’art. 57, TUA; verbale dell’ufficio delle dogane di Aosta del 2004; comunicazione dell’ufficio delle dogane di Como dell’8 novembre 2004.

Correttamente, quindi, il giudice del gravame ha ritenuto di non potere dare rilevanza all’atto di interpello sopra citato e negato la sussistenza del legittimo affidamento.

E vale da ultimo evidenziare che non è irragionevole, sotto il profilo costituzionale ed unionale, la diversità di disciplina degli effetti prevista dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 e art. 11. Infatti, l’ipotesi prevista da quest’ultima disposizione, che comporta la grave conseguenza della nullità

dell’atto impositivo, riguarda una situazione in cui

l’Amministrazione finanziaria ha dato una risposta specifica ad un formale quesito del contribuente, ingenerando nello stesso il ragionevole convincimento della correttezza della soluzione fornita, laddove negli altri casi si tratta di indicazioni di carattere generale o particolare formulate in via di prassi generale o applicativa, senza che la specifica problematica sia stata formalmente posta dal contribuente alla puntuale valutazione dell’Ufficio.

4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e art. 2602 c.c. e s.s., per non avere riconosciuto alla ricorrente la qualificazione di “autoproduttore” in quanto l’energia era stata consumata dai consorziati ai quali era stata ceduta e per avere ritenuto che gli stessi erano soggetti terzi rispetto al produttore.

In particolare, si evidenzia che la definizione del concetto di autoproduttore contenuto nel citato D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, non è esaustivo, dovendosi fare riferimento alla definizione contenute nel decreto Bersani, art. 2, comma 2, e, inoltre, che la causa consortile imporrebbe un superamento della formale terzietà tra consorzio e consorziati.

4.1. Il motivo è infondato.

Invero, ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), non è sottoposta ad accisa l’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni.

L’applicabilità del regime di esenzione, quindi, è strettamente connessa al presupposto che l’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonte rinnovabile sia consumata da imprese di autoproduzione, sicchè, ove le stesse non consumino l’energia per sè, in autoconsumo, ma la cedano a terzi, si è al di fuori del campo di applicazione della previsione normativa in esame.

Va quindi osservato che i consorziati, in quanto soggetti non autoproduttori, sono cessionari di energia elettrica, con la conseguenza che la società consortile assume nei loro confronti la qualità di fornitore ed è quindi tenuta al pagamento dell’accisa.

Si pone, quindi, la questione della valenza, a fini interpretativi, della previsione contenuta nel D.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 2, comma 2, laddove prevede che “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonchè per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Sul punto, va osservato che questa Corte (Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529) ha precisato che non può influire sulla regolamentazione della presente fattispecie una definizione contenuta in una legge diretta a scopi diversi da quelli perseguiti dalla normativa tributaria, essendo il D.Lgs. n. 79 del 1999 finalizzato a regolare il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, restando la materia fiscale estranea a tale normativa.

Pertanto, la nozione di autoproduttore di cui al citato D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52 TUA, comma 3, lett. b), i quali non rientrano nella menzionata definizione.

Ad ulteriore supporto di tale argomento valgano le seguenti considerazioni:

a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, precisa che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale;

b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la Direttiva n. 96/92/Ce sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, mentre il T.U. Accise, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del T.U. Accise.

Ciò precisato, non corretta è la tesi difensiva di parte ricorrente secondo cui la qualifica di autoproduttore di cui all’art. 52 T.U. Accise, andrebbe riferita non solo all’ipotesi in cui il consorzio consumi per sè l’energia autoprodotta, ma anche a quella in cui l’energia sia consumati dai propri consorziati.

Va, infatti, osservato che l’esenzione prevista dal T.U. Accise, art. 52, comma 3, lett. b), con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, vd. Cass. civ., 9 aprile 2014, n. 8293; Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa.

Occorre precisare che la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni Iva spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del c.d. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Cass. civ., 4 ottobre 2018, n. 24320; Cass. civ., 9 febbraio 2018, n. 3166; Cass. civ., 26 luglio 2017, n. 18437) segue uno schema differente, ma ciò in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio.

Diversa è, invece, la fattispecie in esame, relativa al caso dell’autoproduzione, in cui è la stessa società consortile a svolgere, legittimamente (Cass., Sez. U., 14 giugno 2016, n. 12190), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati: in questa ottica, valorizzata dalla ricorrente, va precisato che lo scopo consortile non è certo quello di godere della agevolazione fiscale, ma di approvvigionarsi di energia elettrica a costi contenuti.

Alle suddette considerazioni va aggiunto che la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911, applicabile solo con riferimento all’anno d’imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che “il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

La suddetta disposizione richiama pedissequamente solo la prima parte del decreto Bersani, art. 2, comma 2, includendo, pertanto, nell’esenzione, i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ma non estendendo l’esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

Da ciò deriva, ai fini interpretativi, che la estensione dell’esenzione alle sole società cooperative di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016.

5. In conclusione, i motivi di ricorso sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso. Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’Agenzia delle dogane.

Si dà atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso. Spese compensate.

Dà atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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