Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2917 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. I, 08/02/2021, (ud. 24/07/2020, dep. 08/02/2021), n.2917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3576/2019 proposto da:

U.S., elettivamente domiciliato in Roma Viale Parioli N. 63,

presso lo studio dell’avvocato Lucchesi Fabio Giuseppe, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ferrari Piero, con

procura speciale;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 13/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con ricorso depositato il 18.1.18 U.S. – cittadino del (OMISSIS) – propose opposizione avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di diniego della domanda di protezione internazionale che il Tribunale di Milano, con decreto del 13.12.18 ha rigettato, osservando che: non sussistevano i presupposti della protezione internazionale in quanto non era credibile il racconto del ricorrente che presentava numerose contraddizioni intrinseche, non superate nel corso dell’audizione innanzi al Tribunale, riguardo alla vicenda dell’investimento del bambino e del procedimento penale nei suoi confronti; non ricorrevano i presupposti della protezione sussidiaria, di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), data l’inattendibilità del ricorrente, e alla lett. c), poichè dai report internazionali acquisiti non si desumeva nel paese d’origine del ricorrente una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitti armati; non era riconoscibile il permesso umanitario per l’insussistenza di condizioni individuali di vulnerabilità, considerando che la precaria attività lavorativa svolta non era indice di un effettivo radicamento in Italia.

U.S. ricorre in cassazione con due motivi.

Non si è costituito il Ministero intimato.

Diritto

RITENUTO

Che:

Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver il Tribunale omesso la decisione sull’eccezione di nullità del provvedimento della Commissione territoriale per la mancata traduzione del decreto impugnato nella lingua bangla, espressamente indicata quale unica lingua conosciuta e comprensibile dall’istante.

Con il secondo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il Tribunale omesso la valutazione della prova documentale offerta dal richiedente in ordine alla pendenza del procedimento penale a proprio carico in Bangladesh.

Al riguardo, il ricorrente si duole che il Tribunale non abbia esaminato i documenti allegati al ricorso introduttivo – comprensivi del verbale degli atti d’indagine con l’indicazione dell’imputazione relativa all’omicidio del bambino e dei soggetti coinvolti, fra i quali il ricorrente, dei verbali delle varie udienze del processo penale e del mandato di cattura dello stesso ricorrente – e che ciò ha precluso il riconoscimento, quantomeno, della protezione umanitaria atteso che per il reato di omicidio la legge del Bangladesh commina la pena di morte, commutabile nell’ergastolo in caso di risarcimento del danno ai familiari della vittima.

Il primo motivo è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa (Cass., n. 18723/19; n. 16470/19; n. 7385/17).

Nel caso concreto, il ricorrente ha lamentato genericamente la mancata traduzione nella lingua bangla del provvedimento della Commissione territoriale, senza allegare una specifica lesione del diritto di difesa che fosse conseguenza diretta dell’omessa traduzione.

Il secondo motivo va accolto.

Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., n. 16812/18; n. 19150/16).

Nel caso concreto, il Tribunale ha escluso che nei confronti del ricorrente pendesse un procedimento penale in Bangladesh per il reato d’omicidio in ordine alla vicenda da lui narrata relativa all’investimento del bambino, sulla base dell’inattendibilità del racconto reso dall’istante, senza però dar conto dei documenti citati nel ricorso, allegati al ricorso introduttivo del procedimento (documento n. 5).

Ora, i documenti non esaminati, alla stregua della prospettazione del ricorrente, offrono o potrebbero offrire la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito. In altri termini, la prova della pendenza del suddetto procedimento penale potrebbe indurre a ritenere superate le argomentazioni addotte dal Tribunale che ha invece considerato non credibile il ricorrente sulla vicenda del procedimento penale per omicidio pendente nei suoi confronti, senza di conseguenza tener conto del rischio di subire in caso di rimpatrio la pena di morte; al riguardo, peraltro, il Tribunale ha omesso ogni verifica diretta ad accertare se la legislazione del paese di provenienza del ricorrente commini la pena di morte per il reato in questione, e comunque a verificare la situazione carceraria nel paese. Deve pertanto rilevarsi che la verifica sulla credibilità intrinseca ed estrinseca del ricorrente non poteva prescindere dall’esame dei documenti prodotti in quanto strettamente inerenti all’oggetto del racconto, circa la pendenza del procedimento penale, trattandosi di un riscontro oggettivo di quanto raccontato dal ricorrente in ordine al rischio di essere sottoposto, in caso di rimpatrio, alla pena capitale o comunque a carcerazione.

Per quanto esposto, in accoglimento del secondo motivo, il decreto impugnato va cassato, con rinvio al Tribunale di Milano, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo. Cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del grado di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

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