Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29169 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 13/11/2018, (ud. 31/05/2018, dep. 13/11/2018), n.29169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10091/2013 proposto da:

C.G.V., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI

MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,

entrambi rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrenti –

e contro

D.S.B., G.M.;

– intimati –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO R.G. proposto da:

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI

MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,

entrambi rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrenti successivi –

contro

C.G.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 10078/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/04/2012; r.g.n. 7875/2008;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Roma ha respinto gli appelli, principale e incidentale, proposti rispettivamente da C.G.V. e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nonchè dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva condannato “le amministrazioni resistenti alla reintegrazione di parte ricorrente in incarico equivalente a quello conferitole il 1 marzo 2001” nonchè al risarcimento del danno quantificato in complessivi Euro 50.000,00, respingendo ogni altra domanda;

2. la Corte territoriale ha premesso che alla C.G. era stato conferito un incarico dirigenziale di prima fascia con scadenza al 31 dicembre 2006 e che, a seguito della cessazione automatica disposta ai sensi della L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 7, alla stessa era stato assegnato un incarico di studio per la durata di un anno;

3. il giudice d’appello ha escluso la fondatezza del gravame proposto dal Ministero e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, i quali avevano dedotto di aver conformato la propria condotta alla norma di legge solo successivamente dichiarata incostituzionale, ed ha rilevato che le decisioni relative alla nomina ed alla revoca dei dirigenti devono essere sempre fondate sulla valutazione oggettiva delle qualità e delle capacità professionali dimostrate, sicchè il Ministero non poteva limitarsi a prendere atto della decadenza automatica;

4. la Corte romana ha ritenuto infondato anche l’appello della C. ed ha evidenziato che nel ricorso ex art. 414 c.p.c., era stata richiesta condanna generica al risarcimento dei danni subiti, sicchè doveva ritenersi inammissibile la domanda, formulata solo in sede di gravame, volta ad ottenere il pagamento di somme determinate, indicate nelle retribuzioni che la dirigente avrebbe percepito se il contratto avesse avuto la durata prevista;

5. ha aggiunto che si era formato giudicato sul capo della sentenza con il quale era stata disposta la reintegrazione nell’incarico, per cui doveva essere escluso il lamentato danno patrimoniale;

6. infine il giudice d’appello ha evidenziato che non erano state allegate circostanze idonee a dimostrare, sia pure a livello presuntivo, il danno alla professionalità, non era stato provato che il mutamento delle mansioni avesse comportato il mancato conseguimento di vantaggi di carriera, dovevano ritenersi tardive le allegazioni relative al danno esistenziale ed al danno di immagine;

7. con ricorso notificato il 10 aprile 2013 C.G.V. ha domandato la cassazione della sentenza sulla base di cinque motivi, ai quali il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno resistito con controricorso;

8. il Ministero e la Presidenza del Consiglio hanno anche notificato l’11 aprile 2013 ricorso autonomo avverso la stessa pronuncia, della quale hanno domandato la cassazione sulla base di un unico motivo, contrastato con controricorso dalla C.G.;

9. sono rimasti intimati D.S.B. e G.M., contumaci in entrambi i gradi del giudizio di merito;

10. il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso principale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso;

1.1. quest’ultima modalità, peraltro, non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto di quaranta giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c.(Cass. S.U. n. 7074/2017);

1.2. nel caso di specie, pertanto, il ricorso del Ministero e della Presidenza del Consiglio, in quanto notificato il giorno successivo a quello di notifica dell’impugnazione proposta dalla C.G., va qualificato ricorso incidentale ed è ammissibile perchè risulta rispettato il termine sopra indicato;

2. il primo motivo del ricorso principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, “violazione artt. 1453 e 2119 c.c., in combinato disposto con l’art. 2058 c.c., omessa motivazione”;

2.1. la ricorrente premette che a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 145 del 2002, art. 3,comma 7, la cessazione dell’originario incarico era divenuta priva di titolo giustificativo, al pari del successivo incarico di studio attribuito con decorrenza dal 9 ottobre 2002, incarico che aveva comunque determinato un mutamento in peius delle mansioni;

2.2. aggiunge che le dimissioni rassegnate il 30 ottobre 2003 in pendenza del giudizio di primo grado dovevano ritenersi assistite da giusta causa, in quanto determinate dall’inadempimento del Ministero che l’aveva assegnata a mansioni dequalificanti;

2.3. precisa che la tutela della professionalità è principio immanente nell’ordinamento e va assicurata anche al dirigente, sicchè l’inapplicabilità dell’art. 2103 c.c., affermata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, va limitata ai casi in cui venga attribuito un nuovo incarico dirigenziale mentre deve essere esclusa qualora, come nella fattispecie, si sia in presenza di una revoca anticipata ed immotivata;

2.4. rileva, inoltre, che non poteva essere escluso l’inadempimento colpevole del Ministero, giacchè l’amministrazione era tenuta quanto meno a dare adeguata motivazione delle ragioni per le quali, nonostante i brillanti risultati ottenuti in passato la dirigente era stata destinata ad altro incarico, non equivalente a quello dal quale era decaduta;

2.5. sulla base di dette premesse la C.G. sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere e liquidare il danno derivato dalle dimissioni per giusta causa, quantificato in misura pari a tutte le retribuzioni che sarebbero maturate ove il rapporto a termine fosse proseguito;

2.6. la Corte territoriale, al contrario, ai fini della quantificazione del danno non aveva considerato le circostanze sopra rappresentate, incorrendo nel vizio di omessa motivazione, ed inoltre erroneamente aveva ritenuto che il danno patrimoniale fosse escluso dalla disposta reintegrazione, in realtà non eseguibile;

2.7. la ricorrente principale rileva al riguardo che detto capo della sentenza non poteva essere dalla stessa impugnato, trattandosi di statuizione rispetto alla quale ella non era soccombente, ed aggiunge che ben poteva in appello essere quantificata la pretesa risarcitoria giacchè con il ricorso di primo grado era stata domandata la condanna del Ministero al risarcimento dei danni “secondo giustizia”;

3. la seconda censura del ricorso principale addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 2058 c.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, perchè il risarcimento in forma specifica non può essere disposto per gli incarichi dirigenziali “ora per allora” e quindi doveva essere riconosciuta la tutela per equivalente pari alle retribuzioni che sarebbero maturate sino alla scadenza naturale dell’incarico;

4. con la terza critica la C.G. si duole della violazione degli artt. 2103 e 1207 c.c. e rileva che la corte territoriale avrebbe dovuto liquidare il danno alla professionalità ed il danno esistenziale perchè l’assegnazione a mansioni dequalificanti aveva comportato un “degrado della sfera relazionale nell’ambiente di lavoro” ed aveva leso le ulteriori potenzialità occupazionali, pregiudicando la dirigente nello sviluppo della carriera;

4.1. la ricorrente principale richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che, contrariamente a quanto asserito dal giudice d’appello, nel ricorso di primo grado erano state puntualmente allegate circostanze che andavano valorizzate ai fini della prova presuntiva;

5. la quarta censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2118,2119,1418 e 1325 c.c., perchè le dimissioni dovevano essere ritenute “prive di causa e dunque di effetti” con conseguente riconoscimento del diritto della ricorrente a percepire l’intera retribuzione spettante fino alla scadenza dell’incarico revocato;

6. infine con la quinta critica la ricorrente principale, lamentando la violazione degli artt. 2118,2119,1324 e 1427 c.c., sostiene che la sentenza della Corte Costituzionale avrebbe “rimosso la motivazione che era alla base dell’atto di dimissioni” posto che queste ultime non sarebbero state rassegnate qualora non ci fosse stata la decadenza dall’incarico originario;

7. il ricorso incidentale denuncia con un unico motivo la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2043 c.c., nonchè della L. n. 145 del 2002, art. 7, comma 3” e rileva, in estrema sintesi, che nessun inadempimento poteva essere imputato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali perchè il legislatore aveva previsto la cessazione automatica degli incarichi dirigenziali e, conseguentemente, non poteva essere ravvisata la colpa dell’amministrazione, la quale si era limitata ad adeguare la propria condotta ad una norma cogente, ancorchè incostituzionale;

8. i motivi del ricorso principale, da trattarsi unitariamente perchè connessi, si incentrano sul mancato apprezzamento delle dimissioni, a detta della C. rassegnate per giusta causa, che la Corte territoriale avrebbe dovuto, invece, valutare ai fini del risarcimento del danno, perchè, essendo divenuta ineseguibile la reintegrazione in forma specifica, disposta dal Tribunale, doveva essere riconosciuto il danno patrimoniale per equivalente, pari alle retribuzioni che la ricorrente principale avrebbe percepito qualora l’incarico dirigenziale fosse stato svolto sino alla sua naturale scadenza;

9. le censure prospettano questioni giuridiche che implicano accertamenti di fatto ai quali non fa cenno la sentenza impugnata che, come evidenziato nello storico di lite, non menziona le successive vicende del rapporto di impiego e, quanto alla tutela in forma specifica, si limita ad evidenziare l’intervenuta formazione del giudicato sulla statuizione, ritenuta non compatibile con il domandato risarcimento del danno patrimoniale;

10. è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui “qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. n. 206/2016 e negli stessi termini fra le più recenti Cass. nn. 15190, 12003, 10510/2018 e Cass. n. 27568/2017);

11. detto onere non è stato assolto nella fattispecie, perchè la ricorrente principale alle pagine 10 e 11 del ricorso si è limitata a dedurre di avere “proposto appello in ragione della modestia del risarcimento liquidato, a fronte della mancata reintegrazione in servizio (impossibile dopo il pensionamento e dopo la scadenza dell’incarico fissata per per il 31.12.2006)” ma non ha riportato il tenore delle censure mosse alla sentenza di primo grado, omettendo di dimostrare che la questione, sulla quale si incentra il ricorso per cassazione, sia stata sottoposta al giudice d’appello;

12. il terzo motivo del ricorso principale, con il quale ci si duole della mancata valorizzazione delle circostanze allegate nell’atto introduttivo, sollecita una diversa valutazione, quanto alla prova del pregiudizio subito, delle risultanze di causa e, quindi, un giudizio di merito non consentito alla Corte di legittimità;

13. a fini di completezza va, comunque, osservato, che la domanda giudiziale si basa su uno specifico accadimento, produttivo di danni, determinato nel tempo e nello spazio, sicchè deve ritenersi domanda nuova, come tale inammissibile, quella fondata su comportamenti o su atti posti in essere dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (Cass. n. 23949/2013);

14. è stato poi affermato da questa Corte, in fattispecie non dissimile da quella oggetto di causa, che “deve escludersi che la pronuncia di incostituzionalità abbia, con effetto a cascata, riverberato i suoi effetti sul contratto di lavoro attributivo dell’incarico di studio elidendo quest’ultimo e la causa delle dimissioni, ove si abbia riguardo al fatto che queste riguardarono il rapporto di impiego e non detto incarico” (Cass. n. 3092/2018);

15. ciò premesso va evidenziato, anche ai fini della valutazione sulla fondatezza del ricorso incidentale, che questa Corte è stata chiamata in più occasioni a pronunciare sugli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 7, nella parte in cui disponeva che gli incarichi dirigenziali cessassero il sessantesimo giorno dall’entrata in vigore della stessa legge, e del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 161, che aveva previsto la decadenza degli incarichi conferiti al personale non appartenente ai ruoli di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, non confermati entro il medesimo termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto (cfr. Cass. n. 3092/2018, Cass. n. 26695/2017, Cass. n. 26596/2017, Cass. n. 26469/2017, Cass. n. 13869/2016, Cass. n. 3210/2016, Cass. n. 20100/2015);

16. quanto al diritto del dirigente al ripristino dell’incarico Cass. n. 3210/2016, nell’affermare il principio secondo cui, a seguito della sopravvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme disciplinatrici del cosiddetto spoil system, il dirigente illegittimamente rimosso va reintegrato nell’incarico per il tempo residuo di durata, senza che rilevi l’indisponibilità del posto eventualmente derivata da interventi organizzativi sopravvenuti nelle more, ha evidenziato che l’effetto ripristinatorio non può essere escluso nei casi in cui al momento della pronuncia di illegittimità costituzionale non si era in presenza di una situazione esaurita, la quale opera come limite all’efficacia retroattiva delle dichiarazioni di incostituzionalità;

17. riprendendo e sviluppando detto principio Cass. n. 26469/2017 ha evidenziato che il rapporto può dirsi esaurito, oltre che in presenza di sentenze passate in giudicato, a fronte di fatti ed atti, parimenti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, che producono il medesimo effetto giuridico, sicchè a tal fine non è sufficiente lo spirare del termine originariamente apposto al contratto, nei casi in cui il dirigente dichiarato decaduto, prima della scadenza di detto termine e della dichiarazione di incostituzionalità, abbia tempestivamente reagito alla rimozione ed abbia agito in giudizio per contestare la legittimità dell’atto adottato;

18. in relazione alle pretese risarcitorie, invece, è stato evidenziato dalle decisioni richiamate al punto 15 che l’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma, se comporta che tali pronunzie abbiano effetto anche in ordine ai rapporti svoltisi precedentemente (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite) non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, in epoca antecedente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma poi dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere non dalla cessazione del rapporto bensì per il solo periodo successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, a condizione che a detta data non fosse già decorso anche il termine finale originariamente previsto nel contratto di conferimento dell’incarico;

19. è stata sottolineata, inoltre, da Cass. n. 26695/2017 la duplicità delle situazioni giuridiche coinvolte dall’attuazione del cosiddetto spoil system e delle conseguenti azioni esperibili nei confronti dell’amministrazione, essendo necessario distinguere la cessazione dell’incarico prevista in via generale dal legislatore (in ogni caso dalla L. n. 145 del 2002, art. 3,comma 7, nell’ipotesi di “mancata conferma” dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 161, convertito con modificazioni dalla L. n. 286 del 2006), rispetto alla quale, per il suo carattere di automaticità, non è configurabile responsabilità dell’amministrazione se non nei limiti indicati al punto 18, dalla successiva attribuzione degli incarichi divenuti privi di titolare in conseguenza della cessazione automatica, attribuzione che va effettuata previa valutazione comparativa e nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede;

20. si è precisato al riguardo che fanno capo al dirigente due distinte situazioni giuridiche soggettive, perchè rispetto alla cessazione anticipata dell’incarico lo stesso è titolare di un diritto soggettivo che, ove ritenuto sussistente, dà titolo alla reintegrazione nella funzione dirigenziale ed al risarcimento del danno, nei limiti ed alle condizioni sopra indicate, mentre a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico può essere fatto valere un interesse legittimo di diritto privato, che, se ingiustamente mortificato, non legittima il dirigente a richiedere l’attribuzione dell’incarico non conferito ma può essere posto a fondamento della domanda di ristoro dei pregiudizi ingiustamente subiti;

21. la sentenza impugnata, nel respingere l’appello del Ministero avverso il capo della decisione di primo grado che aveva liquidato alla C. a titolo di risarcimento del danno la somma forfetaria di Euro 50.000,00, si limita ad osservare che “le decisioni relative alla nomina ed alla rimozione dovevano essere sempre fondate sulla valutazione oggettiva di qualità e capacità professionale” sicchè “la risoluzione dell’incarico in termini di mera presa d’atto della decadenza automatica non può che essere considerato ingiustificato e quindi qualificabile in termini di inadempimento contrattuale”;

22. le ragioni per le quali il giudice d’appello ha ritenuto fondata la pretesa risarcitoria contrastano con i principi di diritto sopra enunciati, sicchè, in accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che, tenuto conto delle domande originariamente proposte dalla C.G., ferme le preclusioni derivanti dalla formazione del giudicato interno, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto enunciati nei punti che precedono e valutando, in particolare, quanto al risarcimento del danno asseritamente derivato dall’illegittima cessazione dell’incarico, la data di pronuncia di illegittimità costituzionale della norma in forza della quale è stata disposta la cessazione dell’incarico, il termine finale dell’incarico, il momento della risoluzione del rapporto per volontaria iniziativa della ricorrente principale, perchè il diritto al risarcimento del danno (a detto titolo) presuppone la sussistenza delle condizioni necessarie affinchè l’amministrazione potesse conformare la propria condotta alla pronuncia della Corte Costituzionale;

23. in via conclusiva deve essere accolto il ricorso incidentale e rigettata l’impugnazione principale, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;

24. sussistono quanto alla ricorrente principale le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia per un nuovo esame alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale C.G.V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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