Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29163 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35894/2018 r.g. proposto da:

U.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Massimo

Goti, presso il cui studio elettivamente domicilia in Prato, alla

via Q. Baldinucci n. 71.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI TRIESTE depositata in

data 02/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 30/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 2 agosto 2018, n. 465, la Corte di appello di Trieste, ha respinto il gravame promosso da U.A. contro l’ordinanza resa, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, dal Tribunale di quella stessa città il 21 giugno 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale o il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. In particolare, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto sostanzialmente inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Pakistan), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

2. Avverso la menzionata sentenza, U.A. ricorre per cassazione affidandosi ad un motivo. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La formulata doglianza – rubricata “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Pakistan e dell’omessa attività istruttoria in relazione all’art. 360, comma 1, punto 5). Violazione art. 6 CEDU. Violazione art. 10, comma 3 e art. 46 della Direttiva 2013/32/UE” contesta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria dovuto, essenzialmente, all’asserita violazione del dovere di cooperazione istruttoria che impone al giudice di accertare la situazione reale del Paese di provenienza del richiedente, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale. Essa si rivela inammissibile.

1.1. Giova, invero, sottolineare che la corte territoriale ha esposto (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) le ragioni che l’hanno indotta a considerare inattendibile (come già aveva opinato il tribunale), il racconto dell’odierno ricorrente (che aveva dichiarato di aver lasciato il suo Paese – Pakistan – per le accuse, minacce e percosse subite perchè accusato di apostasia dagli anziani del paese).

1.2. Va altresì rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui assolutamente insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Nessuna specifica censura in tal senso è stata sollevata da U.A., il cui concreto argomentare sul punto nemmeno rispetta le puntuali modalità di deduzione di un siffatto vizio come precisate da Cass., SU, n. 8053 del 2014. Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura della sentenza oggi impugnata, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito dall’appena citato arresto delle Sezioni Unite di questa Corte. La ritenuta inattendibilità dell’odierno ricorrente gli preclude, dunque, la possibilità di ottenere lo status di rifugiato; ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lettera c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, il Pakistan non appare caratterizzato dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

1.3. A tanto deve solo aggiungersi che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 9842 del 2019; Cass. n. 30105 del 2018).

1.4. Conclusioni pressochè analoghe si impongono, da ultimo, con riferimento al profilo di censura volto a contestare il mancato riconoscimento della cd. protezione umanitaria (da scrutinarsi sulla base della relativa disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; Cass. n. 4890 del 2019), atteso che la Corte triestina ha altresì specificamente escluso l’esistenza di situazione di effettiva vulnerabilità del richiedente, senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata replica nell’illustrazione del motivo suddetto.

1.5. In definitiva, la doglianze sviluppata in ricorso investe, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019). In altri termini, non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13954 del 2007; Cass. n. 12052 del 2007; Cass. n. 7972 del 2007; Cass. n. 5274 del 2007; Cass. n. 2577 del 2007; Cass. n. 27197 del 2006; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674 del 1963, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

2. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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