Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29162 del 12/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 12/11/2019), n.29162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14121-2017 proposto da:

AGENZIE DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in RDMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CIE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata ROMA VIA ARCHIMEDE 120, presso lo studio

dell’avvocato VIPSANIA ANDREICICH, che la rappresenta e difenda

unitamente agli avvocati DAVIDE MASSIMILIANO GALLASSO, SONIA RIVA,

giusta procura ln calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6370/2016 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 01/12/2016;

udita la relazione della causa svolta pubblica udienza del 25/06/2C13

dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI RUBBO che si riporta agli

scritti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLASSO che ha chiesto il

ricetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso avverso la sentenza n. 6370/13/2016, depositata l’1.12.2016 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che, confermando la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente, accoglieva il ricorso della CIE s.r.l. avverso la cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo formale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 ter, con il quale, ai fini Ires, erano recuperate le detrazioni, relative all’anno d’imposta 2010, per le agevolazioni fiscali riconosciute dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 344, con interessi e sanzioni.

Secondo quanto sostenuto dall’Ufficio, le detrazioni recuperate riguardavano interventi di riqualificazione energetica, con sostituzione di infissi vecchi, presso un immobile della società concesso in locazione a terzi, e pertanto qualificabile come “bene merce”. L’Ufficio, anche sulla base di circolari interpretative della normativa, sosteneva la non spettanza della agevolazione alle opere di riqualificazione eseguite su beni merce, a differenza di quanto riconoscibile per gli interventi eseguiti su beni strumentali dell’impresa. Di contro la società sosteneva che la detrazione del 55% delle spese sostenute per la sostituzione degli infissi con nuovi prodotti a vetrocamera rispettanti specifici standards fosse applicabile alla totalità degli immobili, senza distinzione tra beni merce e beni strumentali dell’impresa.

Seguiva il contenzioso, esitato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecco con la sentenza n. 32/01/2016, con cui erano accolte le ragioni della contribuente.

L’Agenzia proponeva appello, che era rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con la sentenza ora all’attenzione della Corte.

Con unico motivo l’Ufficio censura la decisione, dolendosi della violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 344 a 347, nonchè del D.M. 19 febbraio 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che le detrazioni per opere di riqualificazione energetica spettino ai soggetti esercenti attività d’impresa anche relativamente ai beni merce e non ai soli beni strumentali.

Ha chiesto dunque la cassazione della stessa, con ogni consequenziale statuizione. La società si è costituita con controricorso, contestando le ragioni avverse e chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 25 giugno 2019, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il motivo va rigettato.

L’Agenzia, premettendo che gli immobili per i quali la società chiese l’agevolazione non erano “beni strumentali”, ma cd. “beni merce” perchè oggetto dell’attività immobiliare svolta dalla società contribuente, assume che la normativa fiscale agevolata in materia di riqualificazione energetica fu introdotta ad esclusivo vantaggio di coloro che si erano assunti il peso economico del miglioramento energetico degli immobili. In conseguenza la fruizione della detrazione da parte dei titolari di redditi d’impresa poteva spettare solo per i fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Tali non potevano considerarsi i beni che le società immobiliari concedono in locazione a terzi, dovendosi ragionevolmente ritenere che i costi di riqualificazione energetica degli edifici locati siano posti sostanzialmente a carico dei conduttori.

La ricorrente ritiene pertanto erronee le conclusioni cui perviene la sentenza impugnata, per aver riconosciuto il diritto della contribuente a fruire della detta agevolazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli immobili oggetto dell’attività d’impresa, consistente nella gestione e locazione dei medesimi cespiti.

Questo Collegio ha già assunto decisioni conformi alla presente, riguardanti la medesima materia del contendere (sent. n. 19815/2019; 19816/2019). Ad esse vanno pertanto ricondotte le ragioni del rigetto del ricorso.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 344 e ss. (Finanziaria 2007) ha previsto che, per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2007, relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta una detrazione dall’imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi a carico del contribuente.

Il decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 19 febbraio 2007, attuativo di tale art., con riferimento ai “soggetti ammessi alla detrazione”, prevede che il bonus del 55% per interventi di risparmio energetico spetti alle persone fisiche, non titolari di reddito d’impresa – art. 2, comma 1, lett. a) -, nonchè ai soggetti titolari di reddito d’impresa che sostengano spese per l’esecuzione degli interventi di risparmio energetico sugli edifici esistenti, su parti di edifici esistenti o su unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, posseduti o detenuti -art. 2, comma 1, lett. b-.

Il art. 2, comma 2, dispone che, nel caso in cui gli interventi di cui al comma 1 siano eseguiti mediante contratti di locazione finanziaria, la detrazione compete all’utilizzatore ed è determinata in base al costo sostenuto dalla società concedente.

Composto il quadro normativo di riferimento, deve affermarsi che la detrazione d’imposta, ossia il bonus fiscale del 55%, è finalizzata alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti e si rivolge ad un’ampia platea di beneficiari (“soggetti ammessi alla detrazione”), siano essi persone fisiche non titolari di reddito d’impresa, o soggetti titolari di reddito di impresa, incluse le società, con la precisazione che, se gli immobili sui quali è effettuato l’intervento sono concessi a terzi a titolo di leasing, la detrazione è comunque dovuta, ma compete all’utilizzatore anzichè alla società concedente.

L’Agenzia sostiene che, per i redditi d’impresa (inclusi quelli prodotti dalle società), il bonus del 55% spetti solo per gli interventi sui fabbricati strumentali all’attività sociale, mentre dovrebbero rimanere esclusi dall’agevolazione gli “immobili-merce” (o “beni-merce”), categoria nella quale inserisce anche quelli locati a terzi dalle società di gestione immobiliare.

Una simile chiave di lettura è avallata dalla risoluzione 340/E/2008, con la quale l’Agenzia ha affermato che l’attribuzione del beneficio “per un’interpretazione sistematica è riferibile esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli interventi”.

In particolare, per quanto concerne la fruizione della detrazione da parte delle società e dei titolari di reddito d’impresa – prosegue la risoluzione -, essa compete solo in relazione ai “fabbricati strumentali” utilizzati nell’esercizio dell’attività imprenditoriale (ossia in relazione agli immobili la cui unica destinazione è di essere direttamente impiegati per l’espletamento delle attività tipicamente imprenditoriali, e cioè quelli che, per destinazione, sono inseriti nel complesso aziendale e non sono, quindi, suscettibili di creare un reddito autonomo).

Per le imprese dunque, condizione per potere fruire della detrazione è che all’intervento di risparmio energetico consegua un’effettiva riduzione dei consumi energetici nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, mentre l’agevolazione non può riguardare gli interventi realizzati su beni oggetto dell’attività esercitata, come nel caso degli immobili locati a terzi.

Questa Corte rileva innanzitutto che la citata risoluzione, sul piano giuridico, è solo un parere formulato dall’Agenzia in risposta ad uno specifico quesito di un contribuente, che non vincola nè il destinatario nè a maggior ragione il giudice, conformemente a quanto stabilito dalle sezioni unite (Cass. sez. un. 2/11/2007, n. 23031) che, con riferimento all’analoga questione della qualificazione giuridica delle circolari dell’Amministrazione finanziaria, hanno precisato che: “La circolare con la quale l’Agenzia delle entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice) (…)” (cfr Cass. n. 6699/2014).

Nel caso concreto la delimitazione del perimetro applicativo della detrazione, che l’Amministrazione finanziaria assume essere coerente con una “interpretazione sistematica” della normativa di settore collide intanto con il carattere di “detrazione dall’imposta” proprio del beneficio fiscale, che è estraneo al diverso tema della quantificazione del “reddito imponibile”, che, invece, assiste la linea argomentativa del fisco; è inoltre incompatibile con l’interpretazione letterale delle norme che introducono l’agevolazione fiscale, senza prevedere alcuna limitazione soggettiva.

Nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge o di una norma secondaria sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sicchè il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare (cfr. Cass. n. 24165/2018; n. 5128/2001).

D’altronde l’art. 12 preleggi enuncia tutti i criteri ermeneutici della legge, primo tra essi quello dell’interpretazione letterale, in ossequio al principio “in claris non fit interpretatio”, in base al quale nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore. Sono invece strumenti esegetici sussidiari sia quello dell’interpretazione estensiva, che consente l’utilizzazione di norme regolanti casi simili (e non già identici), sia quello dell’interpretazione analogica (analogia legis), che permette l’utilizzazione di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qualche punto in comune con il caso da decidere (in senso conforme: Cass. 24/07/1990, n. 7494).

Ebbene, la ratio legis del bonus fiscale relativo al caso di specie, che traspare con chiarezza dal testo normativo, consiste nell’intento d’incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell’intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell’interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico, ed è coerente e si salda con il tenore letterale delle norme di riferimento, le quali non pongono alcuna limitazione, nè di tipo oggettivo (con riferimento alle categorie catastali degli immobili), nè di tipo soggettivo (riconoscendo il bonus alle “persone fisiche”, “non titolari di reddito d’impresa” ed ai titolari di “reddito d’impresa”, incluse ovviamente le società), alla generalizzata operatività della detrazione d’imposta.

Pertanto il criterio di “interpretazione sistematica” del beneficio fiscale al quale genericamente allude l’Amministrazione finanziaria nell’esaminata risoluzione non può che essere recessivo rispetto al prioritario canone dell’interpretazione letterale, eventualmente integrato (secondo quanto sopra specificato) da quello dell’intenzione del legislatore.

A conferma della validità dell’interpretazione testuale del dato normativo, rafforzata dall’univoca intenzione del legislatore, si rileva che, senza che ciò comporti alcuna riduzione della platea dei destinatari del beneficio, una norma speciale (come suaccennato) stabilisce che, trattandosi di locazione finanziaria, la detrazione (spettante anche in tale ipotesi negoziale, come nella generalità dei casi) non compete alla società concedente, ma all’utilizzatore.

Precisato che non esiste un’analoga norma speciale per le imprese (incluse le società) la cui attività consista nella locazione immobiliare -anzichè nella locazione finanziaria dei medesimi beni-, è evidente che, in tale ultima ipotesi, negata l’introduzione, da parte dell’interprete, di distinzioni soggettive svincolate da una solida base testuale, il diritto alla detrazione dall’imposta -senz’altro sussistente-spetta al proprietario/locatore (che, nella locazione tout court, a differenza di quanto di solito accade in materia di leasing, è proprio il soggetto che compie l’intervento migliorativo, sopportandone il costo) e non al conduttore, semprechè, ovviamente, si tratti di “importi rimasti a carico” del locatore e che, quindi, per previsione negoziale, non debbano essere sostenuti dal conduttore medesimo.

L’inserimento nelle norme fiscali in materia di riqualificazione energetica degli immobili, in virtù di un’indefinita “interpretazione sistematica”, di eccezioni e limitazioni alla fruizione generalizzata, sul piano oggettivo e sul piano soggettivo, del bonus del 5 5 %, configurerebbe un artificiale fattore ostativo, astrattamente idoneo a depotenziare la volontà del legislatore.

D’altronde ad un’identica soluzione si perviene anche ragionando, come mostra di fare l’Amministrazione finanziaria, secondo un’ottica di quantificazione del reddito imponibile delle imprese, peraltro estranea alla ratio legis del bonus fiscale.

Com’è stato evidenziato dalla dottrina, la distinzione, formulata nelle circolari interpretative, tra “immobili strumentali” (destinati, ex art. 43 T.U.I.R., comma 2, alla produzione propria o di terzi), “immobili-merce” (destinati al mercato di compravendita) e “immobili-patrimonio” (destinati al mercato locativo, ai sensi degli artt. 37,90, T.U.I.R.), non rileva ex se, ma incide solo sul piano contabile e fiscale.

L’art. 1, citato comma 344 (Finanziaria 2007), non mostra alcuna differenza oggettiva e riconosce la detrazione d’imposta per gli interventi di risparmio energetico (consequenziali alla Dir. comunitaria in materia, che, a sua volta, non contiene distinzioni) “per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente”.

La L. n. 244 del 2007, comma 20, (art. 1) recepisce le modalità applicative del D.M. n. 19 febbraio 2007, che, all’art. 2, comma 1, lett. b), si riferisce senza distinzioni ai soggetti titolari di redditi d’impresa.

Il richiamo testuale agli “importi rimasti a carico” potrebbe essere letto secondo una chiave interpretativa diversa da quella sopra indicata, vale a dire come un indice rivelatore (nel comma 344) del fatto che la detrazione d’imposta spetta nella misura in cui il costo “a monte” non sia altrimenti deducibile.

L’art. 90 T.U.I.R., comma 2, afferma che le spese relative agli “immobili-patrimonio” non sono ammesse in deduzione; ciò che accade perchè, riguardo specificamente ai fabbricati concessi in locazione (non costituenti “beni strumentali” o “beni-merce”), il reddito è di regola determinato ponendo a confronto il canone di locazione, ridotto fino a un massimo del 15% dello stesso, e le spese di manutenzione ordinaria (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. a), documentate ed effettivamente rimaste a carico (vale a dire non recuperate dagli inquilini).

L’art. 90 T.U.I.R., comma 2, dunque, speciale e derogatorio rispetto al principio generale dell’inerenza dei componenti negativi del reddito, sancisce un divieto assoluto di deducibilità per tutti i componenti negativi relativi agli “immobili-patrimonio”.

Al riguardo questa Corte, anche di recente, ha precisato che: “In tema di redditi d’impresa, i beni immobili non strumentali nè riconducibili ai beni-merce agli effetti del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 57 (ora 90) – che prevede l’indeducibilità dei relativi costi ed il concorso alla formazione del reddito secondo la disciplina sui redditi fondiari – vanno individuati in ragione della loro natura e della destinazione all’attività di produzione o di scambio oggetto dell’attività d’impresa. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la strumentalità di numerosi cespiti appartenenti ad un’impresa commerciale, operante nel settore immobiliare, in quanto locati a terzi, senza approfondire se gli stessi fossero, in tutto o in parte, destinati alla vendita).” (Cass., n. 2153/2019).

Nel caso concreto pertanto, in ragione dell’indeducibilità delle spese di miglioramento energetico, benchè inerenti e migliorative, il bonus fiscale del 55% spetta alla società contribuente, esattamente come spetterebbe ad una persona fisica, non titolare di redditi d’impresa, che nulla può dedurre dalla base imponibile.

Nè al fine della esclusione dal beneficio è utile il richiamo alla giurisprudenza di legittimità, pur invocata dalla ricorrente, riguardante la fattispecie agevolativa di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 1, in materia di disposizioni tributarie concernenti interventi di recupero del patrimonio edilizio (Cass., n. 12466/2015). Secondo tale arresto giurisprudenziale “In tema di reddito di impresa, la norma di agevolazione introdotta dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 1, si riferisce alla sola ipotesi di determinazione del reddito immobiliare secondo il criterio del reddito fondiario, atteso che, in questa ipotesi, i costi sostenuti (in particolare, per gli interventi di ristrutturazione) non concorrono come componenti negativi ma costituiscono un onere per alleviare il quale il legislatore ha introdotto tale beneficio; viceversa, in caso di redditi derivanti da immobili strumentali, il reddito è il risultato della somma tra le entrate e i costi sostenuti, deducibili dall’imponibile, sicchè l’applicazione della suddetta agevolazione si tradurrebbe in una duplicazione della deduzione e, dunque, in una indebita locupletazione poichè non correlata ad un costo effettivamente rimasto a carico dell’imprenditore.”.

A prescindere dalla constatazione che per un verso questa giurisprudenza esclude un certo beneficio per i “beni strumentali”, laddove invece nella presente controversia l’Amministrazione sostiene che la detrazione fiscale spetti solo per la riqualificazione energetica dei “beni strumentali” e che, per altro verso, Cass. 12466/2015 si occupa del tema della “deduzione” di costi -al fine di quantificare la base imponibile delle imprese, consistente in linea di massima nella differenza tra i costi e i ricavi- e non della materia, in generale non sovrapponibile alla prima, della “detrazione” dall’imposta, va qui rimarcato che tale pronuncia non è affatto “in termini” rispetto alla materia del contendere anche da un altro punto di vista.

L’agevolazione di cui alla citata L. n. 449 del 1997, detto art. 1,, secondo il significato letterale della norma, era espressamente volta ad incentivare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, con riferimento “all’imposta sul reddito delle persone fisiche”.

La Corte quindi con l’ordinanza n. 12466/2015, ha risolto la questione dell’applicazione estensiva del beneficio a favore dei soggetti economici diversi dalle persone fisiche (che erano le uniche menzionate dalla norma), ed è giunta alla condivisibile conclusione, rispettosa di un’esigenza di parità di trattamento delle persone fisiche e delle imprese, che la norma agevolativa si riferisse soltanto ai “beni patrimoniali” (e non ai “beni strumentali”), produttivi di reddito fondiario, i cui costi (nella specie, gli interventi di ristrutturazione), non concorrono, come componenti negativi, alla formazione del reddito di impresa, ma costituiscono un onere che il legislatore ha inteso attenuare riconoscendo il beneficio. Nella stessa prospettiva, invece, è stato escluso che l’agevolazione si applicasse ai redditi d’impresa delle società derivanti dagli immobili che sono da considerarsi “strumentali” o “beni-merce”, posto che detto reddito è la risultante della differenza tra costi e ricavi, essendo i primi già dedotti dall’imponibile, sicchè, se anche in quest’ipotesi si riconoscesse l’agevolazione, ne deriverebbe una duplicazione delle “deduzioni” e, in definitiva, un indebito arricchimento dell’imprenditore. Nella fattispecie concreta, al contrario, il beneficio fiscale introdotto dalla Finanziaria 2007 non riguarda (testualmente) la più limitata categoria dei (soli) soggetti IRPEF, ma è diretta (di regola, salva l’ipotesi speciale del leasing, nella quale la detrazione spetta al conduttore) a beneficio di tutte le categorie immobiliari e di tutti i soggetti che ne hanno la proprietà, inclusi i titolari di reddito d’impresa (e le società), a condizione che questi ultimi abbiano sostenuto spese per il potenziamento dei loro cespiti (ed a prescindere dalla categoria reddituale di riferimento), in coerenza con la finalità pubblicistica di un generalizzato miglioramento energetico del patrimonio immobiliare nazionale, che rimarrebbe parzialmente (con riferimento ai beni posseduti dalle società di gestione immobiliare) indebolita a causa dell’interpretazione restrittiva proposta dall’Agenzia.

In conclusione deve affermarsi il seguente principio di diritto: “Il beneficio fiscale, consistente in una detrazione dall’imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, di cui alla L. n. 296 del 2006, artt. 1, commi 344 e seguenti (Finanziaria 2007) e al decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 19 febbraio 2007, per le spese documentate relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta anche ai soggetti titolari di reddito d’impresa (incluse le società), i quali abbiano sostenuto le spese per l’esecuzione degli interventi di risparmio energetico su edifici concessi in locazione a terzi.” Conf. 19815/19/Cass.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese, che si liquidano in favore della società nella misura di Euro 1.500,00 per competenze ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie pari al 15% e accessori.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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