Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29160 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 13/11/2018), n.29160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28503-2013 proposto da:

CASTELLO FINANCE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SICILIA

66, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO FANTOZZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato EDOARDO BELLI

CONTARINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2013 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 24/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

Fatto

Premesso

Che:

1. La srl Castello Finance ricorre, con tre motivi, illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 72/11/2013, del 24 maggio 2013, con la quale sono state respinte le impugnazioni proposte da essa ricorrente contro tre avvisi di liquidazione dell’imposta di registro in misura proporzionale dell’1% sui crediti ammessi al passivo del fallimento della società (OMISSIS) srl in forza di tre sentenze emesse dal Tribunale di Bari, ai sensi della L. fall., art. 99 (nel testo vigente prima della riforma introdotta dal D.Lgs. 12 gennaio 2007, n. 169), prendendo atto di transazioni intervenute tra l’odierna ricorrente e la curatela;

2.L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso, la Castello Finance lamenta la falsa applicazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, lett. c), d) e g) della tariffa parte prima, allegato A, del D.P.R. n. 131, art. 20, e degli artt. 3 e 53 Cost., per avere la commissione tributaria regionale ritenuto che le tre sentenze del tribunale fallimentare avessero contenuto accertativo laddove invece le stesse, meramente recettive delle transazioni, avevano natura ed effetti solo dichiarativi talchè, per la relativa registrazione, era dovuta non l’imposta proporzionale prevista del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8 lett. c) – l’applicazione della quale finirebbe, secondo la ricorrente, per assoggettare il creditore concorsuale chirografario, quale è, appunto, la ricorrente, ad un obbligo d’imposta eccessivo ed irragionevolmente superiore rispetto al creditore comune non soggetto ad alcuna falcidia – ma l’imposta fissa prevista dal predetto D.P.R., art. 8 lett. d);

2. con il secondo motivo di ricorso, la Castello Finance lamenta la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 5, comma 2, artt. 40 e 43, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8 della tariffa parte prima, e degli artt. 3 e 53 Cost., per avere la commissione tributaria regionale negato che ricorressero i presupposti applicativi del principio di alternatività tra Iva ed imposta di registro, di cui al D.P.R. n. 131, art. 40, con la motivazione per la quale le sentenze emesse dal tribunale fallimentare erano sentenze di mero accertamento e non recavano condanna al pagamento di corrispettivi onde si era “fuori del campo di applicazione dell’Iva”, così trascurando che i crediti oggetto del giudizio di opposizione allo stato passivo derivavano da operazioni di finanziamento compiute da banche e da società di capitali ed erano quindi operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’Iva talchè le ridette sentenze non potevano essere assoggettate all’imposta proporzionale pretesa dell’amministrazione;

3. con il terzo motivo di ricorso, la Castello Finance lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la commissione tributaria regionale della Puglia omesso di pronunciare sul dedotto vizio di difetto di motivazione degli avvisi impugnati;

4. rispetto alle questioni poste con i tre motivi di ricorso è assorbente il rilievo per cui la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 177 del 2017, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 8, comma 1, lett. c), della Tariffa, Parte prima, (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), “nella parte in cui assoggetta all’imposta di registro proporzionale, anzichè in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l’accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”. Nella motivazione della sentenza si legge che, “il trattamento differenziato tra sentenze di condanna e sentenze di accertamento “non risponde a ragionevolezza qualora l’accertamento del credito soggetto a IVA sia, come nel caso dell’accoglimento dell’opposizione allo stato passivo, il presupposto necessario e sufficiente della partecipazione de creditore all’esecuzione collettiva, che è strumentale al pagamento del credito stesso, sia pure in “moneta fallimentare”. Sotto tale profilo, la differenza tra le pronunce di accertamento e le pronunce di condanna, da cui la richiamata giurisprudenza trae la conclusione dell’inapplicabilità del regime fiscale agevolato alle prime, tende a sfumare sino a dissolversi. Per la soddisfazione del credito ammesso al passivo, infatti, non è richiesta una successiva pronuncia di condanna suscettibile di esecuzione forzata, preclusa dal divieto della L. fallimentare, ex art. 51. Da questo angolo visuale, la ratio sottesa all’alternatività fra l’imposta di registro e l’IVA risulta comune a entrambe le situazioni messe a confronto ed esige pertanto che l’ambito di applicazione del beneficio fiscale sia esteso alle pronunce in questione, non essendo rilevante che il pagamento del corrispettivo soggetto a IVA, in sede di riparto dell’attivo fallimentare, sia un evento futuro e incerto nell’an e nel quantum, ben potendo valere questa stessa affermazione anche per il pagamento coattivo in seguito a condanna, che dipende comunque dalla capienza del patrimonio del debitore”.

5. in ragione della sentenza appena citata – certamente riferibile al caso che occupa trattandosi qui di imposta di registro pretesa in misura proporzionale, su tre sentenze, emesse dal Tribunale di Bari, in accoglimento di opposizioni allo stato passivo, relative a crediti (incontestatamente) rinvenienti da operazioni di finanziamento soggette ad Iva, anche se solo teoricamente perchè di fatto esenti D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, n. 1, (sulla alternatività tra Iva e imposta di registro anche per operazioni esenti, v. Cass. n. 24268 del 27/11/2015 e Cass. n. 9403 del 20/04/2007) – il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendovi accertamenti in fatto da svolgere, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento dell’iniziale ricorso della società contribuente;

8. in ragione della sopravvenienza delle sentenza delle Corte Costituzionale, si ravvisano i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’iniziale ricorso della contribuente; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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