Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2916 del 03/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 03/02/2017, (ud. 16/11/2016, dep.03/02/2017), n. 2916
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3140/2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, (OMISSIS), in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIO
CALI’ giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1979/30/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di PALERMO del 20/05/2014, depositata il 13/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
16/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. e disposta l’adozione della motivazione semplificata, osserva quanto segue.
1. La controversia verte in tema di Irpef-Irap 2005, con riguardo ad accertamenti bancari su conto corrente cointestato alla contribuente, Dr.ssa M. S.M. (biologa dietista) ed al coniuge dr. M. D.M.P.M. (medico cardiologo dipendente di Azienda Ospedaliera, esercente attività cd. “intramoenia allargata” presso lo studio della moglie).
2. Con sentenza n. 1979 del 13/6/2014, la C.T.R. Sicilia ha dichiarato inammissibile – perchè nuova – la contestazione dell’esistenza (ai fini Irap) di uno “studio associato” tra i coniugi, ed ha respinto – perchè del tutto generica ed assertiva – la contestazione di inadeguatezza della documentazione prodotta dalla contribuente a giustificazione delle movimentazioni bancarie contestate.
3. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la decisione per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2969 c.c., nonchè art. 112 c.p.c., in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4″, per avere la C.T.R. “acriticamente recepito e fatte proprie le argomentazioni e le eccezioni contenute nelle controdeduzioni di parte senza prendere minimamente in considerazione le eccezioni esposte nell’atto di appello dell’Ufficio”, dovendosi perciò la sentenza “considerare del tutto illegittima ed infondata, incongrua nella motivazione adottata la quale ha offerto solo delle affermazioni indimostrate alla luce delle risultane probatorie”. In particolare, la sentenza di primo grado sarebbe “frutto di un’errata valutazione del materiale probatorio e conseguentemente anche la sentenza di secondo grado che ha statuito l’assenza di una volontà di revisione della decisione impugnata appare, analogamente, viziata”.
4. Con il secondo mezzo, contesta altresì, in subordine, la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la C.T.R. “avrebbe dovuto debitamente tener conto del nutrito corredo probatorio addotto dall’Ufficio, nonchè, in maniera specularmente opposta, della significativa carenza in tal senso ascrivibile all’originario contribuente”.
5. I motivi presentano profili sia di inammissibilità che di infondatezza.
6. Invero, a prescindere dalla non pertinenza del riferimento all’art. 2969 c.c. e dalla scarsa chiarezza sia delle denunziate violazioni degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., sia dei rilievi radicalmente formulati in termini di nullità della pronuncia, in sostanza entrambi i motivi sembrano mirare surrettiziamente ad una revisione della valutazione del materiale probatorio concordemente effettuata dai giudici di primo e secondo grado, che però non è consentita in sede di legittimità (ex Cass. s.u. n. 7931/13, Cass. nn. 12264/14, 26860/14, 3396/15, 14233/15), spettando in via esclusiva al giudice di merito la valutazione dei fatti e la selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. un. 962/15, 26860/14).
7. D’altro canto, le censure sollevate non paiono inficiare la solidità delle due rationes decidendi della sentenza impugnata, sia con riguardo alla supposta esistenza (ai fini Irap) di uno “studio associato” – però tardivamente dedotta in secondo grado – sia con riguardo al rilievo del giudice d’appello per cui, a fronte della documentazione prodotta dalla controparte, l’amministrazione si sarebbe limitata a “contrapporre genericamente una propria valutazione soggettiva (“non sembra che la contribuente abbia provato, con documentazione adegiata, di non avere prodotto il reddito”).
8. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
9. Non ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, in quanto per la ricorrente amministrazione pubblica opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. S.U. n. 9338/14; conf. Cass. sez. 6-L, n. 1778/16 e 6-T n. 18893/16).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’amministrazione ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimb. forf., Iva e Cp come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017