Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29159 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17706/2019 proposto da:

N.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO n. 95,

presso lo studio dell’avvocato DONATO CICENIA, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2526/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del 5.9.2017 il Tribunale di Napoli rigettava il ricorso proposto da N.B. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il N. e la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, n. 2526/2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.B. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per un verso, l’erronea valutazione di non credibilità del racconto personale condotta dalla Corte di Appello e, per altro verso, la mancata e incompleta acquisizione di informazioni sulla condizione di violenza generalizzata esistente in Nigeria, suo Paese di origine.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la concessione della protezione sussidiaria.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Il ricorrente aveva riferito di essere orfano di padre, di avere una madre affetta da gravi handicap, di far parte di una famiglia numerosa e molto povera e di essersi allontanato dalla Nigeria, suo Paese di origine, a causa delle condizioni di estrema povertà in cui il nucleo familiare era costretto a vivere. Aveva anche raccontato di aver fatto vari tentativi per guadagnarsi da vivere onestamente, dapprima in Niger e poi in Libia, tutti falliti. Il Tribunale aveva ritenuto la storia non credibile e la Corte di Appello, dopo aver dato atto che il N. aveva impugnato la decisione di prime cure abbandonando la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ha condiviso l’opinione del giudice di primo grado, escludendo la sussistenza, in Nigeria (Paese di provenienza del richiedente), di un contesto di pericolo diffuso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di informazioni specifiche tratte da fonti internazionali comprese tra quelle di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Il ricorrente contesta genericamente tale valutazione, richiamando alcune fonti internazionali, senza tuttavia indicare lo specifico aspetto per cui le informazioni tratte da quelle fonti sarebbero in contrasto con quanto ritenuto dal giudice di merito. In proposito, è opportuno ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 27 e 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato anche il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è fondata.

La Corte territoriale, invero, ha escluso la concessione della tutela umanitaria sulla base della sola affermazione che “Non può riconoscersi nemmeno il diritto del richiedente ad un permesso di soggiorno umanitario poichè il medesimo allo stato non versa in una condizione di vulnerabilità personale tale da consentire siffatta forma di protezione” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Il ricorrente aveva dedotto di essere vissuto in miseria e di avere la madre gravemente handicappata; aveva inoltre allegato di aver ripetutamente provato a reperire i mezzi per una vita dignitosa, nel corso del suo viaggio verso l’Italia, senza riuscirci. A fronte di questa storia, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare il suo grado di integrazione in Italia ed il rischio di compromissione del nucleo ineludibile dei diritti umani in caso di rimpatrio: tale valutazione è invece mancata del tutto, posto che l’unico passaggio della motivazione dedicato all’esame della domanda di protezione internazionale si risolve in una affermazione apodittica, non fondata su alcun elemento concreto e, come tale, non idonea ad integrare il cd. “minimo costituzionale” della motivazione (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

In relazione alla protezione umanitaria, invero, merita di essere ribadito che “Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere. (cfr. Cass. n. 420/2012, n. 359/2013, n. 15756/2013). E’ necessaria, pertanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298, in motivazione, pagg. 9 e 10). Il giudice di merito, dunque, è onerato di compiere, caso per caso, una valutazione in concreto, che prenda le mosse dall’esame del contesto di provenienza del richiedente, valuti il suo grado di integrazione socio-lavorativa in Italia e consideri il rischio di lesione del nucleo ineludibile dei suoi diritti fondamentali derivante dal rimpatrio: solo all’esito di questa articolata disamina, che investe tanto l’aspetto oggettivo, legato alla condizione del Paese di origine, che quello soggettivo, posta la centralità della storia personale del richiedente asilo, è possibile accertare la sussistenza, o meno, dei requisiti di vulnerabilità in concreto ai quali la legge condiziona la concessione della tutela umanitaria.

In definitiva, vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi ed accolto il terzo. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Napoli, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

la Corte dichiara inammissibili il primo e secondo motivo ed accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Napoli, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

 

 

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