Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29155 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17336/2019 proposto da:

I.E., rappresentato e difeso dall’avv. MASSIMILIANO

CORNACCHIONE, e ROCCO BARBATO, e domiciliato presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI CASERTA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5418/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del 5.1.2018 il Tribunale di Napoli rigettava il ricorso proposto da I.E. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello l’ I. e la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, n. 5418/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione I.E. affidandosi a sei motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza di merito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, art. 10 della Direttiva 2013/32/UE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di motivare, o comunque motivato in modo soltanto apparente, la decisione di rigetto della protezione internazionale.

La censura è infondata.

Il ricorrente aveva riferito di esser stato coinvolto in una lite ereditaria e di essere fuggito dalla Nigeria (suo Paese di origine) a causa del timore per la propria incolumità dipendente dalle minacce e aggressioni subite. La Corte di Appello, condividendo il giudizio del Tribunale, ha ritenuto la storia non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, a prescindere da qualsiasi considerazione in relazione alla sua credibilità. Non si ravvisa, pertanto, alcun profilo di inesistenza, o di mera apparenza, della motivazione, poichè la Corte territoriale ha fatto riferimento alla valutazione del Tribunale di non idoneità del racconto, condividendola.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la sua storia personale.

La censura è inammissibile, poichè la Corte territoriale non ha ritenuto non credibile il racconto, ma ha formulato un giudizio di non idoneità che non risulta attinto dalla censura.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 9, 11, 17, art. 11 della Direttiva n. 2004/83/CE, della Direttiva n. 2001/95/CE, dell’art. 10 della Direttiva n. 2013/32/UE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto esaminare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, prima di passare all’esame della domanda di concessione della protezione sussidiaria.

La censura è inammissibile. Fermo restando che lo status di rifugiato rappresenta la forma di protezione internazionale maggiore, rispetto alla misura della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), non si ravvisa alcun obbligo, per il giudice di merito, di procedere all’esame dello status prima della sussidiaria. Inoltre, nel caso di specie la Corte partenopea ha escluso che la storia riferita dal richiedente fosse idonea al riconoscimento di una qualsiasi forma di protezione internazionale, in tal modo esaminando tanto la domanda di status che quella di protezione sussidiaria dell’art. 14, citato, ex lett. a) e b). Nè, infine, il ricorrente ha allegato alcun vulnus concreto che sarebbe derivato ai suoi diritti di difesa in conseguenza dell’erroneo ordine con cui la Corte campana avrebbe esaminato le varie domande di protezione proposte.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 8,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,17 e 35-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

La censura è inammissibile. La Corte di seconda istanza ha infatti, come già detto, ritenuto che la storia personale del richiedente non fosse idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. Questo giudizio non è attinto dal motivo in esame, che si limita ad una generica contestazione delle valutazioni del giudice di merito, e quindi si risolve in una inammissibile richiesta di revisione dello stesso, in contrasto con i principi posti da questa Corte (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata in Nigeria, suo Paese di origine.

La censura è inammissibile.

La sentenza impugnata esamina la situazione esistente in Nigeria, escludendo la sussistenza di un contesto di pericolo diffuso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di informazioni specifiche tratte da fonti internazionali comprese tra quelle di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata). Il ricorrente contesta genericamente tale valutazione, richiamando alcune fonti internazionali, senza tuttavia indicare lo specifico aspetto per cui le informazioni tratte da quelle fonti sarebbero in contrasto con quanto ritenuto dal giudice di merito. In proposito, è opportuno ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il sesto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, D.Lgs. n. 251 del 1007, art. 34, art. 10 Cost., art. 6, par. 4, della Direttiva n. 115/2018, nonchè della Direttiva n. 95/2011 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente denegato la protezione umanitaria, senza fornire alcuna motivazione a sostegno della propria decisione.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente non allega, nel motivo in esame, alcuna condizione specifica di vulnerabilità, limitandosi a censurare in modo del tutto generico la decisione impugnata, la quale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria a fronte della mancata allegazione, da parte del richiedente, di un qualsiasi pericolo di lesione dei suoi diritti umani in caso di rimpatrio. Questo passaggio della motivazione non è adeguatamente attinto dalla censura in esame, con la quale l’ I. lamenta soltanto di essersi integrato in Italia – senza peraltro neppure indicare il momento del giudizio di merito in cui tale circostanza sarebbe stata allegata e i documenti che la dimostrerebbero – e di non avere più alcun familiare in patria.

La censura, quindi, da un lato è carente del necessario requisito di specificità, e dall’altro lato non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che aveva escluso il rischio da rimpatrio evidenziando che esso non può risolversi nella sola condizione economica del richiedente nel Paese di origine. Questo passaggio della motivazione della sentenza impugnata è, peraltro, pienamente coerente con i principi affermati da questa Corte, secondo cui “Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere. (cfr. Cass. n. 420/2012, n. 359/2013, n. 15756/2013). E’ necessaria, pertanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298, in motivazione, pagg. 9 e 10).

Da quanto precede deriva l’inammissibilità anche dell’ultimo motivo.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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