Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29150 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9903/2019 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO n. 95,

LOTTO C, SCALA A, presso lo studio dell’avvocato DONATO CICENIA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 839/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del 29.9.2017 il Tribunale di Napoli rigettava il ricorso proposto da B.S. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il B. e la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, n. 839/2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione B.S. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7,8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non sussistenti i pericoli di persecuzione.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente aveva riferito di provenire da una zona molto povera della Casamance; di aver svolto il ruolo di capo-salina in una comunità che sopravviveva con i proventi della raccolta e vendita del sale; di essere stato coinvolto in uno scontro con una etnia rivale, aggredito e picchiato; che la sua comunità si era vendicata aggredendo il gruppo rivale e causando la morte di uno dei suoi membri; che, pertanto, in caso di rimpatrio egli era esposto al rischio di subire persecuzioni nell’ambito della faida etnica sopra descritta. La Corte di Appello ha ritenuto che il racconto del richiedente, a prescindere dalla sua credibilità, non fosse idoneo ad integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, in quanto il richiedente aveva riferito di esser stato coinvolto in episodi che anche secondo la legge italiana sarebbero considerati reati (lesioni aggravate, uso di arma, rissa e omicidio). Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto non credibile la storia, in assenza di specificazione, da parte del richiedente, dei fatti relativi all’intervento delle forze dell’ordine locali, che certamente avrebbero dovuto essere coinvolte, posto il riferito ricovero in ospedale di feriti gravi o gravissimi.

Questa duplice valutazione, di non idoneità e non credibilità, della storia, non è adeguatamente attinta dalla censura, che si incentra, peraltro in termini del tutto astratti, sul solo giudizio di non idoneità, tralasciando completamente l’altra ratio del rigetto.

In proposito, occorre ribadire che quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi, ovvero la mancata contestazione di essa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U., Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza, in Senegal (Paese di provenienza del richiedente), di una situazione di violenza generalizzata.

La censura, la cui intestazione risulta incongrua con il contenuto, posto che la valutazione in merito alla ricorrenza delle condizioni per la protezione sussidiaria è prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è in ogni caso inammissibile.

La sentenza impugnata esamina la situazione esistente in Senegal, escludendo la sussistenza di un contesto di pericolo diffuso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di informazioni specifiche tratte da fonti internazionali comprese tra quelle di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (cfr. pagg. 8 e ss. della sentenza impugnata). Il ricorrente contesta genericamente tale valutazione, richiamando il contenuto del rapporto di Amnesty International del 2016, e del sito “(OMISSIS)”, senza tuttavia indicare lo specifico aspetto per cui le informazioni tratte da quelle fonti sarebbero in contrasto con quanto ritenuto dal giudice di merito. In proposito, è opportuno ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, perchè la Corte salernitana avrebbe erroneamente denegato anche la concessione della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente non allega, nel motivo in esame, alcuna condizione specifica di vulnerabilità, limitandosi a censurare in modo del tutto generico la decisione impugnata, la quale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria a fronte della mancata allegazione, da parte del richiedente, di un qualsiasi pericolo di lesione dei suoi diritti umani in caso di rimpatrio. Questo passaggio della motivazione non è adeguatamente attinto dalla censura in esame, con la quale il B. lamenta soltanto l’assenza del giudizio comparativo tra le condizioni di vita in Italia e i rischi di lesione dei diritti fondamentali dell’individuo derivanti dal rimpatrio, ma non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che aveva comunque escluso il rischio da rimpatrio. Era quindi preciso onere del ricorrente confrontarsi con questo argomento, dimostrando l’avvenuta allegazione, nel corso del giudizio di merito, di specifici profili di vulnerabilità. In difetto, la doglianza non può essere considerata assistita dal necessario requisito di specificità ed è quindi inammissibile.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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