Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2915 del 10/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2915 Anno 2014
Presidente:
Relatore:

— Autenticità atto
costitutivo Accertamento

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3227#107) proposto da:
COMUNE di PERTOSA, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Aldo Starace del foro di Napoli ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Claudia De Curtis in Roma, via M. Dionigi n.
57;
– ricorrente contro
COMUNE di AULETTA, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv.to
Francesco Lanocita del foro di Salerno e dall’Avv.to M. Athena Lorizio del foro di Roma, in virtù di
procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo
studio di quest’ultima in Roma, via Dora n. 1;

1

Data pubblicazione: 10/02/2014

- contro ricorrente e ricorrente incidentale nonché sul ricorso incidentale (R.G. n. 2458/08) proposto dal Comune di Aletta
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 16 depositata il 27 settembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2013 dal

L D tut”\–,,9

ATtrEA/c,

udito l’Avv.to Ffe-neesee La-nocita, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sergio Del
Core, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito quello incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 30 ottobre 1990 il Comune di Pertosa — dopo un lungo contenzioso
avviato in sede giudiziale nel 1949 – riassumeva, avanti al Commissario per la liquidazione degli
usi civici per la Campania ed il Molise, in esecuzione di quanto disposto nella sentenza della
Corte di appello di Roma — Sezione Speciale Usi Civici n. 18 del 1989 (cui la controversia era
stata rimessa dalla Corte di Cassazione con decisione n. 654 del 26.11.1966/22.3.1967 a seguito
dell’annullamento della sentenza della Corte di appello di Roma del 13.12.1939/26.1.1940 sul
capo relativo all’esistenza di un giudicato esterno circa la sussistenza della promiscuità a favore
di Pertosa sul territorio di Auletta sito sulla sinistra del fiume Tanagro, non ravvisabile, altresì,
giudicato interno, costituito dalla sentenza commissariale 21.4.1951, in ordine a detta
promiscuità), il giudizio proposto nei confronti del Comune di Auletta, affinchè venisse disposta, in
sede di rinvio ex art. 32, comma 4, della legge n. 1766 del 1927, consulenza tecnica di carattere
storico diplomatico sulla proprietà dei terreni ricompresi nella zona c.d. Grotta dell’Acqua, posti a
destra del fiume Tanagro, nell’ambito della richiesta di accertamento della esistenza di servitù non
reciproca di pascolo su detta area in favore del Comune ricorrente.

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

Espletata ulteriore istruttoria documentale ai sensi dell’ad. 2 della legge n. 1766 del 1927 di
natura specialistica tecnica sugli atti specificamente indicati dal giudice del rinvio (atto di Nicola di
Principato dell’anno 1131 ed i successivi decreti regi di conferma, in particolare l’atto dell’anno
1267), in esito a tale indagine peritale, il Commissario adito, con sentenza n. 2 del 2004, rigettava

di pascolo sulla Grotta dell’Angelo e per l’effetto confermava i precedenti giudicati (sentenza
commissariale del 1951, confermata dalla sentenza della Corte di appello di Roma n. 18 del 1989,
a sua volta confermata dalla sentenza della Code di Cassazione n. 8069 del 1992) che avevano
accertato e dichiarato la demanialità universale della Grotta dell’Angelo a favore del Comune di
Auletta, nonché l’avvenuto scioglimento della promiscuità sui terreni alla destra del fiume
Tanagro.
In virtù di rituale reclamo proposto dal Comune di Pertosa, con il quale lamentava difetto
motivazionale circa la irrilevanza ritenuta dal Commissario con riferimento al documento del
19.1.1811 e al conseguente verbale di scioglimento delle promiscuità del 15.9.1811, oltre ad
erroneo giudizio di non autenticità del privilegio del 1131, confermato dall’istrumento dell’agosto
1267, la Corte di appello di Roma — Sezione Usi Civici, nella resistenza del Comune di Auletta,
rigettava il reclamo, con conferma della sentenza commissariale.
A sostegno dell’adottata sentenza la code capitolina evidenziava — relativamente al merito – che
le critiche mosse alla negata autenticità del privilegio del 1131, relativo ai diritti di pascolo (ed
accessori), unico all’epoca idoneo a fondare l’esistenza di diritti collettivi della popolazione di
Pertosa sulla base di una concessione fatta dal feudatario Nicola di Principato sui demani di sua
diretta disponibilità, non erano condivisibili giacchè l’indagine documentale si fondava su metodo
di analisi imposto dalla stessa sentenza di rinvio, laddove prescriveva di verificare la presenza dei
requisiti propri degli atti dei Comites normanni, donde il rilievo dell’invocazione simbolica e dei
caratteri utilizzati per la scrittura corrispondeva a detto dettato. Aggiungeva che, in tal senso, la

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tutte le richieste e le pretese del Comune di Pertosa in ordine alla presunta servitù non reciproca

evidenziazione del legamento ‘ci’ in luogo di ‘ti’ per l’individuazione dell’epoca di redazione del
documento e per la riferibilità al notaio Silvio, che negli altri atti ad egli attribuiti risultava avere
usato costantemente il legamento ‘ti’, oltre alla diversità del signum tabellionis rispetto a quello
tipico del notaio estensore, confortavano la statuizione di non genuinità del documento costitutivo

che non costituiva prova dell’attribuzione della c.d. Grotta dell’Angelo al demanio di Pertosa
neppure il verbale del 12 agosto 1267, non avendo dato il re Carlo I d’Angiò ad Angelo di Bisancio
de Riso il 26.9.1266 alcun mandato di indagare sulla legittimità del c.d. privilegio, ma contando
sulla sua legittimità, aveva dato ordine di farne rispettare il contenuto, ripristinando ‘l’entità
dell’originaria corrisposta in natura (due arieti all’anno)’, deponendo in tal senso sia le espressioni
usate nel conferire il mandato, sia il riferimento, nello stesso atto, all’esistenza di una
consuetudine.
Concludeva che restavano assorbite le ulteriori censure, relative ad atti successivi agli unici
documenti di cui era stata accertata la non autenticità, volte a fondare la prova dell’esistenza dei
diritti collettivi in favore degli uomini di Pertosa.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma — Sezione Specializzata in materia di
usi civici ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Pertosa, articolato su cinque motivi, al
quale ha resistito con controricorso il Comune di Auletta, con il quale ha presentato anche ricorso
incidentale, affidato ad un unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale ed i ricorsi incidentali vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art.
335 c.p.c., in quanto attengono al medesimo provvedimento.
In via pregiudiziale va esaminata la questione della tempestività del reclamo, dedotto dal
Comune di Auletta con l’unico motivo del ricorso incidentale, il quale nel lamentare la erronea

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del diritto vantato dal Comune di Pertosa. Dall’accertata falsità del privilegio del 1131 conseguiva

applicazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 3 della legge n. 890 del 1982, non richiedendo
espressamente la norma che l’agente postale certifichi le ricerche effettuale per la consegna
dell’atto al destinatario, pone il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte di Cassazione se incorra

nella violazione dell’ad. 7, commi 2 e 3 della legge 20 novembre 1982 n. 890 in tema di

un atto giudiziario effettuata dall’agente postale mediante consegna dell’atto stesso al portiere
dello stabile del destinatario senza dare atto della vana ricerca delle altre persone alle quali, in
assenza del destinatario, avrebbe dovuto essere consegnato il plico con precedenza sul
portiere”.
Invero il Collegio pur non disconoscendo la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 7381
del 25 marzo 2013, così massimata “In tema di giudizio per cassazione,
il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa
questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito (quale, nella specie, improponibilità
dell’appello, comunque rigettato, in relazione all’intervenuta rinuncia preventiva all’impugnazione,
disattesa nella sentenza gravata sul presupposto della nullità di detta rinuncia)
ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da
ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o
preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di
merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità
dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale”, non ritiene
però di farne applicazione nella specie trattandosi di indicazione svolta solo per esigenze di
completezza, che pertanto non è vincolante.
Tanto precisato, il motivo non può trovare ingresso avendo la corte distrettuale fatto buon
governo dei principi costantemente affermati da questa Corte in materia di notifica a mezzo posta
ai sensi dell’art. 7 della legge n. 890 del 1982, nel testo anteriore a quello introdotto dall’art. 36,

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notificazione degli atti a mezzo posta, il giudice di merito che ha ritenuto nulla la notificazione di

comma 2 quater, del dl. n. 248 del 2007, convertito in legge n. 31 del 2008, applicabile “ratione
temporis”.
In tema di notifica a mezzo del servizio postale la legge n. 890 del 1982, art. 8, al pari del resto
dell’art. 139 c.p.c., riguardante la notifica eseguita direttamente dall’ufficiale giudiziario, consente

una successione preferenziale tassativa e vincolante delle categorie di persone alle quali la copia
deve essere consegnata, successione che presuppone la necessità, ai fini della validità della
notifica, dell’assenza di coloro che si trovino in posizione di precedenza per giustificare la
consegna a soggetti appartenenti alla categoria successiva. E di tale assenza o rifiuto l’ufficiale
postale (o l’ufficiale giudiziario) deve darne atto nell’avviso di ricevimento (o nella relata). Orbene,
nell’ipotesi in esame non risulta che la notifica della sentenza di primo grado — da cui il Comune
di Auletta vorrebbe far decorrere il termine breve per interporrere reclamo – sia avvenuta a mani
del portiere dello stabile, previa indicazione dell’assenza del destinatario ovvero il rifiuto o
l’assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale (persona di famiglia o
addetta alla casa od al servizio del destinatario), come statuito dai giudici del reclamo. Pertanto,
non contenendo la relazione dell’ufficiale postale l’attestazione del mancato rinvenimento delle
persone indicate nella citata norma, la notificazione doveva ritenersi senz’altro nulla e per l’effetto
tempestivo il reclamo proposto dal Comune di Pertosa nel termine lungo.
Passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo l’ente locale ricorrente

la ricezione dell’atto da parte di un soggetto diverso dal destinatario attraverso la previsione di

lamenta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio: in particolare, di avere la corte di merito confermato la statuizione del
Commissario in ordine alla non autenticità del documento con il quale Nicola conte di Principato
nell’agosto 1131 avrebbe concesso il privilegio in contesa, condividendo le risultanze della c.t.u.,
senza avere effettuato — secondo le più accreditate acquisizioni della scienza — un’indagine di tipo

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Nit

grafologico, usando a comparazione gli altri atti rogati dal medesimo notaio Silvio, come richiesto
dal C.T.P., limitando la comparazione alla sola tecnica di confezionamento dell’atto.
Il motivo è privo di pregio.
Va premesso che, per diritto vivente della giurisprudenza di questa Corte, la deduzione di un vizio

legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico – formale, le argomentazioni svolte dal Giudice del merito, al quale spetta, in via
esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le
prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva che alla cassazione della sentenza per vizi della
motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto
dal Giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si riveli incompleto, incoerente e illogico,
e non già quando il Giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un
valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. n. 13910 del
2011; Cass. n. 12362 del 2006). Ciò comporta che il ricorrente che censura di vizio di motivazione
della sentenza ha l’onere di indicare in modo specifico e puntuale le ragioni per cui la motivazione
del provvedimento non sarebbe appagante o adeguata e che, laddove ritenga che l’errore del
giudice sia consistito nell’omessa o erronea valutazione di elementi probatori, di segnalare
esattamente tali elementi, di illustrare il motivo per cui essi sarebbero rilevanti e, a tal fine, di
trascriverne il contenuto, in osservanza del principio di autosufficienza, al fine di consentire alla
Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n.
18506 del 2006).

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di motivazione della sentenza impugnata con il ricorso per cassazione conferisce al giudice di

Sulla base di tali considerazioni, la censura di vizio di motivazione sollevata dal Comune
ricorrente non appare idonea, per come formulata, a superare il preliminare vaglio di ammissibilità
del motivo. Essa attinge un apprezzamento di merito adeguatamente e logicamente fondato dal
giudice del reclamo con richiamo alla condivisibilità del metodo, degli argomenti e delle

scalfiti dalle contrarie osservazioni del consulente di parte del Comune di Pertosa.
In primo luogo la Corte territoriale ha rilevato la necessità di utilizzare un metodo di analisi su
elementi estrinseci, come prescritto dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 19.6.1989,
che nel disporre il rinvio al Commissario per la liquidazione degli usi civici per la Campania ed il
Molise, indicava quale tema di accertamento nell’espletamento dell’indagine documentale del
privilegio del 1131 la verifica della presenza dei requisiti propri degli atti dei Comites normanni
dell’epoca, donde il rilievo dell’invocazione simbolica e dei caratteri utilizzati per la scrittura.
Prosegue sulla rilevanza di evidenziare il legamento ‘ci’ in luogo di ‘ti’ per l’individuazione
dell’epoca di redazione del documento, per essere stato il primo introdotto oltre cinquanta anni
dopo l’epoca alla quale si vorrebbe far risalire il documento in contestazione, e a riprova di ciò
osserva che negli altri atti di sicura attribuzione al notaio Silvio viene utilizzato il legamento ‘ti’.
Per completezza di esame della tesi difensiva del Comune ricorrente non può non rilevarsi come
lo stesso nell’argomentare le proprie critiche non abbia tenuto in alcun conto l’ulteriore elemento
dal quale la Corte distrettuale ha tratto — unitamente agli altri elementi di fatto, precisi e
determinati — il convincimento della non autenticità del titolo in secondo luogo, ossia la diversità di
signum tabellionis (sostanzialmente il sigillo).
Con il secondo motivo l’amministrazione ricorrente lamenta la omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 16
giugno 1927 n. 1766 per avere il giudice del reclamo immotivatamente reputato che il verbale del
12 agosto 1267 era inidoneo a fondare le pretese del Comune di Pertosa, dal momento che il

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conclusioni del c.t.u., chiarendo anche per quali ragioni gli esiti dell’accertamento non erano

c.t.u. nel ricostruire la portata dell’incarico conferito da re Carlo I d’Angiò ad Angelo di Bisancio de
Riso di Bari, segretario di Principato, ha argomentato che si voleva verificare la fondatezza dei
diritti di pascolo e di pesca degli uomini di Pertosa e se questi fossero stati accertati, di
permettere ai suoi dipendenti di esigere solo il tributo dovuto.

concessione, rilasciata, pochi anni prima, da Guglielmo, padre di Nicola (Nicola Conte di
Principato); precisa, altresì, che il documento 12.8.1267 deve considerarsi scritto e come tale
idoneo, ai sensi dell’art. 2 della legge 16.6.1927 n. 1766, a provare l’esistenza dell’uso civico,
anche laddove quest’ultimo si fondi su una preesistente consuetudine. A conclusione del mezzo è
posto il seguente quesito di diritto: “Dica codesta Ecc.ma Corte di Cassazione se incorre nella

violazione dell’art. 2 della legge 16.6.1927 n. 1766 il giudice che non reputi sussistere la prova
documentale a fronte di un regio decreto scritto; dica ancora codesta Ecc.ma Corte di Cassazione
se è incorsa nella violazione dell’ad. 2 della legge 16.6.1927 n. 1766 la Corte di appello laddove
non ha reputato sussistente la prova documentale a fronte del documento 12 agosto 1267″.
Non è meritevole di accoglimento neanche detto mezzo.
A prescindere dal rilevare la genericità del c.d. momento di sintesi (omologo del quesito di diritto)
laddove non illustra il punto di contrasto fra la decisione assunta in sede di reclamo e la dedotta
erronea interpretazione dei documenti indicati, in ogni caso il vizio denunciato attinge una
interpretazione del contenuto del verbale del 1267 che è rimessa in via esclusiva al giudice di
merito, quando — come nella specie — è sufficientemente e logicamente motivata. Infatti il giudice
del reclamo, ritenuto atto costitutivo del privilegio quello del 1131, ha valutato essere i documenti
successivi una mera ricognizione di detto diritto, per cui la verifica degli stessi risultava superata
dalla non autenticità del primo. Del resto appare logica la conclusione secondo cui l’incarico
assegnato da Carlo I d’Angiò ad Angelo di Bisancio de Riso del 26.9.1266 non poteva che essere
ricognitivo di una situazione preesistente e risalente nel tempo, in considerazione del tenore dello

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Aggiunge il ricorrente che, d’altro canto, già il privilegio del 1131 richiama una precedente

stesso, con la conseguenza che anche diversamente argomentando sarebbe risultato frutto di un
errore.
Con il terzo mezzo viene dedotta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per
non avere la corte di appello ritenuto decisivo ai fini della individuazione dei documenti costitutivi

consentirebbe al riconoscimento regio di fondare il diritto degli uomini di Pertosa e cioè la non
appartenenza originaria delle terre ai cittadini di Auletta, che avrebbe impedito la validità di ogni
atto di disposizione del feudatario” (pag. 9 della sentenza).
La censura è inammissibile.
Invero la considerazione fatta dalla corte di appello in merito alla non rilevanza del verbale del
1267 a fondare le pretese del Comune di Pertosa costituisce argomento ulteriore rispetto a quello
della non autenticità del documento del 1131.
Va, a tal fine, rilevato che la riferita affermazione della sentenza impugnata ha natura di
affermazione ad abundantiam, consistente cioè in argomentazione rafforzativa di quella
costituente la premessa logica della statuizione contenuta nel dispositivo. Tali affermazioni vanno
considerate di regola superflue e quindi giuridicamente irrilevanti ai fini della censurabilità qualora,
come nella fattispecie, l’argomentazione rafforzata sia per sè sufficiente a giustificare la pronuncia
adottata. Infatti le argomentazioni ad abundantiam non sono suscettibili di impugnazione in sede
di legittimità indipendentemente dalla loro esattezza o meno, se il dispositivo sia fondato su
corretta argomentazione avente carattere principale ed assorbente.
È quindi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura un’argomentazione della
sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente “ratio decidendi” della
medesima, non avendo nessuna influenza sul dispositivo e, quindi, non producendo effetti
giuridici (da ultimo, Cass. 5 febbraio 2013 n. 2736; ma già Cass. 10 giugno 1999 n. 5714; Cass.
23 luglio 1987 n. 6431 e Cass. 13 giugno 1987 n. 5231).

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del privilegio il verbale del 1267 sull’assunto che “non si ricava l’altra caratteristica che

Il quarto mezzo, con cui è denunciata la omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge 16 giugno 1927 n.
1766, dell’ad. 161 e dell’art. 346 c.p.c. per avere la corte di merito ritenuto di limitare il suo esame
ai soli documenti del 1131 e del 1267, culmina nel seguente quesito di diritto: “Dica codesta

1766 e dell’art. 161 c.p.c. e dell’ad. 346 c.p.c. il giudice di appello che non esamini i documenti
ritualmente prodotti dinanzi al giudice di prime cure, pur in assenza di qualsiasi avversa censura
in punto di inammissibilità; dica ancora codesta Ecc.ma Corte di Cessazione se è incorsa nella
violazione dell’art. 32 della L. 16 giugno 1027 n. 1766 e dell’art. 161 c.p.c. e dell’ad. 346 c.p.c. la
Corte di appello laddove ha reputato assorbite le censure svolte per criticare la valenza probatoria
attribuita dal Commissario al verbale del 19.1.1811 ed al conseguente verbale 15.9.1811 nonché
quelle fondate sull’atto 4 marzo 1786”.
Con il quinto motivo è denunciata la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare con riferimento al verbale del
gennaio 1811, che come evidenziato dal C.T.P. Caggiano, costituisce l’unica autentica
ricognizione territoriale dei demani del Comune di Auletta, tra cui è inclusa la sola Grotta
dell’Acqua e non anche la Grotta dell’Angelo. Aggiunge il ricorrente che la corte di merito si
sarebbe limitata ad una indagine lacunosa, reputando che la non menzione della Grotta
dell’Angelo nel documento del 19.1.1811 sarebbe da riferire all’irrilevanza del luogo di piccola
estensione ed inadatto alla coltura ed al pascolo, mentre tutta la storia dell’area sarebbe stata
costellata da accese contestazioni religiose e vertenze giudiziarie, che ne dimostrerebbero la
primaria rilevanza per le comunità interessate, come sottolineato dal C.T.P. Caggiano.
Gli ultimi due mezzi, tra loro strettamente dipendenti, vedendo entrambi sulla valenza
probatoria dell’impianto istruttorio, non possono dirsi fondati.

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Ecc.ma Corte di Cassazione se incorre nella violazione dell’art. 32 della L. 16 giugno 1027 n.

La Corte territoriale, infatti, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente ha esaminato i verbali
del 1811 e l’atto datato 4 marzo 1786, escludendone la rilevanza al fine della prova dell’esistenza
dei diritti collettivi sull’assunto della accertata non autenticità del privilegio del 1131.
Tale valutazione, inerendo al merito della controversia ed essendo inserita nel complesso degli

detto, che ha diffusamente esaminato tutta la documentazione in atti, non appare suscettibile di
scrutinio in questa sede di legittimità.
Lo stesso deve dirsi per tutte le altre censure che il ricorrente muove alla sentenza impugnata
sotto il profilo della motivazione. Gli argomenti posti dalla Corte d’appello a base della decisione,
appaiono, infatti, fondati su un attento ed esaustivo esame delle risultanze istruttorie e
correttamente e coerentemente argomentati sotto il profilo logico-giuridico, con la conseguenza
che si sottraggono a qualunque vaglio in sede di legittimità anche perché le censure avanzate dal
ricorrente tendono a far valere una diversa interpretazione delle risultanze processuali in tal modo
investendo inammissibilmente il merito della decisione.
Né la circostanza della omessa valutazione della controversia definita dalla Santa Sede nel 1711
relativa al riconoscimento dei diritti di proprietà e di giurisdizione della Chiesa di Pertosa su dette
terre per donazione effettuata da Pietro de Barleo, di cui si assume fatta menzione nella
consulenza tecnica di parte del 15.2.1996, può essere esaminata in sede di legittimità, stante la
genericità della doglianza che oltre a non indicare quando sarebbe stata introdotta nel giudizio di
merito, non riporta neanche il tenore dell’atto.
In definitiva, alla luce delle esposte ragioni, il ricorso principale e quello incidentale vanno
respinti, e le spese del presente giudizio compensate in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q. M.

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elementi presi in esame dalla Corte territoriale con l’ampia motivazione di cui si è in precedenza

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 23 ottobre 2013.

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