Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29149 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9314/2019 proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’avv. GIUSEPPE LUFRANO, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1632/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. del 13.9.2017 il Tribunale di Salerno rigettava il ricorso proposto da M.M. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il M. e la Corte di Appello di Salerno, con la sentenza impugnata, n. 1632/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione M.M. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la storia personale del richiedente.

La censura è inammissibile.

La Corte salernitana ha ritenuto che il racconto del richiedente, che aveva riferito di aver lasciato il proprio paese per timore di “fare una brutta fine” perchè era stato ingiustamente denunciato per l’omicidio di due degli assassini di suo fratello, si risolvesse in una vicenda privata e non fosse idoneo ad integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. Ha poi ritenuto la storia non credibile a fronte delle contraddizioni in cui il richiedente era incorso in relazione alle circostanze della morte del fratello ed ai motivi per cui lui sarebbe stato accusato della morte degli assassini del proprio congiunto. Questa duplice valutazione, di non idoneità e non credibilità, della storia, non è adeguatamente attinta dalla censura, che si incentra, peraltro in termini del tutto astratti, sul solo giudizio di non credibilità, tralasciando completamente l’altra ratio del rigetto.

In proposito, occorre ribadire che quando la decisione di merito si fonda su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi, ovvero la mancata contestazione di essa, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U., Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza, in Pakistan, di una situazione di violenza generalizzata.

La censura è inammissibile.

La sentenza impugnata esamina la situazione esistente in Pakistan, Paese di provenienza del ricorrente, escludendo la sussistenza di un contesto di pericolo diffuso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di informazioni specifiche tratte da fonti internazionali comprese tra quelle di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (cfr. pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata). Il ricorrente contesta genericamente tale valutazione, senza indicare alcuna fonte dalla quale si ricaverebbero informazioni contrastanti con quanto ritenuto dal giudice di merito. In proposito, è opportuno ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte salernitana avrebbe erroneamente denegato anche la concessione della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente non allega, nel motivo in esame, alcuna condizione specifica di vulnerabilità, limitandosi a censurare in modo del tutto generico la decisione impugnata, la quale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria a fronte della mancata allegazione, da parte del richiedente, di un qualsiasi pericolo di lesione dei suoi diritti umani in caso di rimpatrio. Questo passaggio della motivazione non è adeguatamente attinto dalla censura in esame, con la quale il M. lamenta l’assenza di argomentazioni alla base della pronuncia reiettiva del giudice di merito, laddove – invece – dette ragioni erano state, sia pure succintamente, espresse dalla Corte territoriale, onde era preciso onere del ricorrente confrontarsi con esse, dimostrando l’avvenuta allegazione, nel corso del giudizio di merito, di specifici profili di vulnerabilità. In difetto, la doglianza non può essere considerata assistita dal necessario requisito di specificità ed è quindi inammissibile.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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