Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29149 del 13/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 13/11/2018), n.29149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3058-2013 proposto da:

C.R., C.G., FRIGOCASERTA SRL, domiciliati in

ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’Avvocato IMONDI AUGUSTO (avviso postale

ex art. 135);

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO PROVINCIALE DI CASERTA in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 276/2010 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 27/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. Frigocaserta srl nonchè G. e C.R. propongono tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 276/52/10 del 27 ottobre 2010, con la quale la commissione tributaria regionale della Campania ha dichiarato inammissibile l’appello da essi proposto contro la sentenza n. 59/01/2009 della commissione tributaria provinciale di Caserta. Sentenza, quest’ultima, che aveva ridotto nella misura del 10% il maggior valore venale attribuito dall’agenzia delle entrate, ai fini dell’imposta di registro, al terreno edificabile dedotto in un atto di compravendita intercorso tra le parti il 21 dicembre 2005.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – i contribuenti appellanti avessero formulato motivi specifici di appello, relativamente al fatto che la riduzione di valore operata dai primi giudici nella sola misura del 10% non desse adeguatamente conto degli elementi comparativi di stima desumibili da due atti di compravendita da essi prodotti in giudizio; – pur tuttavia, essi non avessero indicato “l’oggetto della domanda, ossia la richiesta di riforma, in tutto o in parte, della sentenza impugnata”, con conseguente inammissibilità del gravame ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e dell’art. 156 c.p.c., per avere la commissione tributaria regionale ravvisato la mancata indicazione dell’oggetto della domanda costituito dalla riforma della prima decisione, nonostante che la richiesta di riforma (esplicitata nella memoria depositata in appello) fosse ricompresa, quanto a petitum e causa petendi, nel tenore complessivo dell’atto di gravame e, in particolare, nel tenore dei motivi di appello che la stessa commissione tributaria regionale aveva ritenuto sufficientemente specifici.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – motivazione contraddittoria, per avere la commissione tributaria regionale, da un lato, affermato la specificità dei motivi di appello in ordine all’oggetto fondamentale della lite e, dall’altro, sostenuto la mancata indicazione dell’oggetto della domanda.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) nullità della sentenza. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che l’oggetto della domanda (riforma della sentenza di primo grado) doveva comunque desumersi dalla ricostruzione complessiva e sostanziale degli atti di causa, contenenti la richiesta di annullamento dell’atto impositivo siccome erroneamente disattesa dal primo giudice.

p. 2.2 I tre motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la sostanziale identità della questione sollevata, sono fondati.

Va premesso che la nullità della domanda per indeterminatezza dei suoi elementi caratterizzanti presuppone una radicale omissione ovvero uno stato di assoluta incertezza, non univocamente risolvibile in sede di interpretazione della volontà della parte. Interpretazione che deve essere compiuta dal giudice di merito secondo parametri non formalistici nè nominalistici, ma di sostanza ed effettività; sempre avendo a mente le esigenze del contraddittorio ed il diritto di difesa della controparte.

E’ pacifico, in materia, l’indirizzo secondo cui: “L’interpretazione della domanda giudiziale va compiuta non solo nella sua letterale formulazione, ma anche nel sostanziale contenuto delle sue pretese, con riguardo alle finalità perseguite nel giudizio. Pertanto, non può ritenersi nulla la citazione per omessa determinazione dell’oggetto della domanda, essendo necessario, per simile valutazione, che il “petitum” sia del tutto omesso o risulti assolutamente incerto, ipotesi che non ricorre quando il “petitum” sia individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto, tenendo presente che, per esprimerlo, non occorre l’uso di formule sacramentali o solenni, poichè è sufficiente che esso risulti dal complesso delle espressioni usate dall’attore in qualunque parte dell’atto introduttivo” (Cass. 18783/09; così Cass. 20294/14 ed altre).

Ancora, ha osservato Cass. 1681/15 che: “la nullità dell’atto di citazione per “petitum” omesso od assolutamente incerto, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 4, postula una valutazione caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati, nonchè, in relazione allo scopo del requisito di consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovi la controparte”.

Nel giudizio di appello, la ricostruzione della effettiva volontà della parte trova veicolo nella necessaria formulazione di motivi specifici, la cui deduzione implica una consequenziale istanza di riforma – totale o parziale – della sentenza censurata, a sua volta funzionale all’accoglimento della domanda nei limiti del petitum e della causa petendi costituenti l’oggetto sostanziale del giudizio.

La mancanza di motivi specifici può integrare l’ipotesi di invalidità per indeterminatezza del gravame (raggiunto da sanzione di inammissibilità) pur in presenza di un esplicito ed indubitabile petitum di annullamento o riforma della sentenza di primo grado; al contrario, in presenza di motivi specifici, non può l’appello reputarsi inammissibile solo perchè privo della formale istanza di riforma della sentenza appellata. Ciò, del resto, è connaturato alla natura devolutiva dell’appello, la cui proposizione implica di per sè la richiesta di revisione della prima decisione, sebbene nei limiti, appunto, delle doglianze devolute.

Si tratta di principi di ordine generale certamente applicabili anche in materia tributaria.

Dispone il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, che: “1. Il ricorso in appello contiene l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell’art. 18, comma”.

Ora, nel caso di specie la commissione tributaria regionale non ha dichiarato inammissibile l’appello perchè carente dei requisiti contenutistici così prescritti; essa ha anzi espressamente riconosciuto che i contribuenti appellanti avevano formulato motivi sufficientemente specifici, anche se non assistiti dalla nominale richiesta di riforma della sentenza di primo grado.

La conclusione alla quale è così giunta la commissione tributaria regionale è errata sia in diritto sia in fatto (nei suoi connotati strettamente processuali e dunque direttamente attingibili, in presenza di censura di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, anche da questa corte di legittimità: SSUU 8077/12).

Va infatti considerato che l’atto di appello, testualmente riportato nel ricorso per cassazione, conteneva due specifiche censure alla sentenza di primo grado, sotto i seguenti profili: – della insufficienza e contraddittorietà della motivazione con la quale la commissione tributaria provinciale aveva ritenuto assolto, da parte dell’amministrazione finanziaria, l’onere di motivazione dell’avviso di accertamento; – della infondatezza della motivazione con la quale la stessa commissione tributaria provinciale aveva ritenuto congrua una riduzione del valore accertato nella sola misura del 10%, nonostante il maggior divario estimativo evincibile dai due atti comparativi di compravendita dai contribuenti prodotti in primo grado.

All’esito di tali censure, gli appellanti chiedevano: “a. In via principale dichiarare nullo l’avviso per carenza di motivazione; b. In via subordinata determinare una significativa riduzione del valore accertato che abbia effettivamente considerazione dei dati prodotti in giudizio”.

La stessa commissione tributaria regionale mostra di avere ben individuato, nella parte dedicata allo svolgimento del giudizio, l’oggetto della domanda, evidenziando quanto segue: “i contribuenti appellano la menzionata sentenza richiedendo, in via principale, che venga dichiarato nullo l’avviso per carenza di motivazione, avendo l’ufficio stimato il suolo in Euro 33,00 m2, sulla base del valore dichiarato nell’atto registrato il 4 agosto 2005, documento che lo stesso ufficio non ha prodotto in copia nè ha consentito ai contribuenti il suo esame. In via subordinata, i medesimi appellanti chiedono una significativa riduzione del valore accertato, atteso che hanno prodotto due atti di compravendita nei quali il valore dei terreni dichiarati sono significativamente distanti da quello accertato dall’ufficio”.

In considerazione di questa ricostruzione processuale – desumibile da quanto rilevato e riferito dalla stessa commissione tributaria regionale non poteva dunque fondatamente sostenersi che il gravame fosse inammissibile perchè privo di una istanza (riforma del primo decisum) di per sè inequivocabilmente ricompresa in quella di accoglimento delle censure; che, come detto, ben illustravano i vizi e gli errori dai quali si riteneva affetta la sentenza della commissione tributaria provinciale.

E ciò, del resto, era stato pienamente percepito dall’agenzia delle entrate, la quale ebbe a perfettamente cogliere che la domanda degli appellanti di annullare, ovvero ridurre, la pretesa impositiva non poteva non presupporre, sul piano logico prima ancora che giuridico, la riforma della sentenza di primo grado, che tale annullamento o riduzione (se non in misura ritenuta insufficiente) non aveva disposto.

La decisione del giudice regionale – erroneamente basata su un’analisi non formale, ma formalistica, della volontà di parte – va dunque cassata, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Campania che, in diversa composizione, deciderà nel merito l’appello ammissibilmente proposto, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2018

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