Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29143 del 21/12/2020

Cassazione civile sez. I, 21/12/2020, (ud. 27/11/2020, dep. 21/12/2020), n.29143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11211/2019 proposto da:

S.A.R., elettivamente domiciliato in Napoli, Piazza Cavour

139, presso l’avv. Luigi Migliaccio, che lo rappresenta e difende

per procura speciale allegata al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4536/2018 della CORTE D’APPELLO di Napoli,

depositata il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2020 dal Dott. Roberto Bellè.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da S.A.R. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale;

S.A.R. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, poi illustrati da memoria;

il Ministero dell’Interno ha depositato nota di costituzione per la sola partecipazione all’eventuale discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, commi 3 e 5, per non essere stato ascoltato, con riferimento alla protezione dei rifugiati, pur a fronte di elementi di incerta valutazione sulla sua credibilità, nonchè, rispetto alle altre forme di protezione (sussidiaria ed umanitaria), per avere la Corte disatteso la domanda senza applicare idonei criteri di valutazione della credibilità del richiedente e di integrazione delle lacune istruttorie riguardanti la situazione generale del paese di origine;

il motivo va disatteso in tutte le sue articolazioni;

questa Corte ha già sinteticamente ritenuto che “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 7 ottobre 2020, n. 21584; Cass. 13 ottobre 2020, n. 22049);

il motivo, essendo formulato con modalità del tutto generiche, non consente di apprezzare favorevolmente, nei termini di cui alla citata giurisprudenza, le censure così sollevate;

generiche sono anche le critiche rispetto all’inosservanza dei criteri di valutazione della credibilità del ricorrente in relazione alle altre forme di protezione umanitaria, risolvendosi esse nella proposizione di una diversa valutazione di merito di tali dichiarazioni, certamente inammissibile in quanto tale nel giudizio di legittimità e stante la pacifica pertinenza al giudice del merito del giudizio di fatto sull’attendibilità in tema di protezione internazionale (v. tra le molte, Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

con il secondo motivo si afferma l’error in iudicando per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c);

il motivo non può trovare accoglimento, con riferimento alla tutela di cui alla lettera b), in quanto quest’ultima dovrebbe fondarsi sul rischio di danno grave conseguente all’assenza di tutela da parte delle pubbliche autorità rispetto ai rischi specifici di violenze nei suoi confronti da parte di un certo gruppo religioso (MAT);

il racconto del ricorrente che dovrebbe sorreggere tale ipotesi di protezione è stato tuttavia ritenuto non credibile dalla Corte territoriale con affermazione di merito non efficacemente raggiunta dai motivi di ricorso cassazione;

il motivo è invece fondato con riferimento alla protezione ai sensi dell’art. 14, lett. c) cit.;

esso, da rubricare correttamente come denuncia di violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della norma appena citate e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, con riferimento alle regole probatorie proprie della protezione internazionale, censura infatti in modo diretto la mancata indicazione, da parte del giudice, delle fonti da cui si sarebbe tratto il convincimento dell’assenza di conflitto armato o violenza generalizzata nella zona di provenienza dell’istante;

in effetti tale indicazione è del tutto insussistente nella sentenza impugnata e vi è stato dunque mal governo da parte del giudice dei poteri e delle riconnesse modalità motivazionali rispetto alle condizioni proprie della tutela di cui all’art. 14, lett. c) cit., notoriamente consistenti nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

questa Corte ha infatti già ritenuto che “in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto” (Cass. 26 aprile 1019, n. 11312, poi conformi: Cass. 17 maggio 2019, n. 13449; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897 e Cass. 20 maggio 2020, n. 9230);

resta a questo punto assorbito il terzo motivo, destinato alla protezione umanitaria, in quanto i relativi eventuali presupposti non potranno che esser apprezzati sulla base degli elementi istruttori che si rendano complessivamente disponibili, per l’apprezzamento delle complessive condizioni coinvolgenti la persona del ricorrente, sulla base delle indagini da svolgere rispetto al profilo accolto;

5. in definitiva la sentenza va cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rinviandosi alla medesima Corte d’Appello affinchè essa decida previo svolgimento delle verifiche anche officiose precedentemente omesse.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020

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